Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43789 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con l’ordinanza Indicata in epigrafe il Tribunale di Enna, deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, non ravvisando i presupposti dell’istituto, ha respinto la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato presentata ai sensi dell’art. 671 c.p.p., nell’interesse di M.A. in relazione alle pene inflittegli, con le sentenze divenute irrevocabili nei suoi confronti meglio precisate nell’istanza, in quanto le argomentazioni addotte a sostegno della richiesta non prospettavano significativi elementi di novità, rispetto a quelle prospettate in una precedente Istanza rigettata con provvedimento del 12 marzo 2008, espressamente specificando al riguardo, che le circostanze riferite alla Procura della Repubblica di Torino da tal P.G. il 1 dicembre 2009, in quanto non scrutinate nella loro fondatezza nell’apposita sede dibattimentale, non apportavano "elementi probatori idonei a supportare una pronuncia di accoglimento della (…) richiesta ex art. 671 c.p.p.". 2. Contro tale ordinanza l’interessato ha proposto impugnazione, per il tramite del suo difensore, deducendone la illegittimità per violazione di legge e vizio di motivazione, sostenendo, con diffuse argomentazioni, per un verso, che i reati oggetto delle due sentenze di condanna meglio specificate nella richiesta, riguardavano dei reati (l’omicidio di S.F., commesso il (OMISSIS); la partecipazione, fino al 1991, all’associazione per delinquere di tipo mafioso, Varsalona Bonaffini) senz’altro unificabili nei vincolo della continuazione, essendo stato l’omicidio commesso proprio in attuazione del programma criminoso dell’associazione criminale di appartenenza, tante che la responsabilità del ricorrente per il reato associativo risultava desunta proprio dalla commissione del reato fine; dall’altro, che le motivazioni addotte a giustificazione del mancato accoglimento della richiesta erano del tutto insufficienti ed inadeguate, risolvendosi le stesse in un generico rinvio alle motivazioni addotte in un precedente provvedimento di rigetto.

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta dal M. è inammissibile.

L’ordinanza impugnata, che ha rigettato l’istanza di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, risulta infatti corredata di motivazione adeguata, attinente alle questioni proposte con l’istanza, e logicamente coerente, nel quadro di un ragionamento unitario, articolato in argomentazioni saldamente connesse alle risultanze processuali e svolto sulla base di concetti razionalmente ordinati ed espressi.

In proposito occorre considerare, infatti, che Incontestato il dato che analoga istanza proposta dal M. era stata già rigettata dal medesimo Tribunale il 12 marzo 2008, e che le dichiarazioni rese nel 2009 da tal P.G., ritenute dal giudice dell’esecuzione l’unico elemento di novità prospettato con la nuova richiesta, non erano state scrutinate nell’apposita sede dibattimentale, era evidentemente onere del condannato fornire e compiutamente illustrare gli elementi di novità dell’istanza che il giudice dell’esecuzione non avrebbe adeguatamente considerato e spiegare, in particolare, le ragioni per cui le dichiarazioni del P., sebbene non vagliate in sede dibattimentale, dovevano ritenersi attendibili e soprattutto rilevanti ai fini dell’accoglimento della richiesta. Solo per completezza di esposizione, va in ogni caso precisato, con riferimento alle diffuse deduzioni difensive svolte in ricorso per rappresentare lo stretto legame, anche probatorio, esistente tra i reati oggetto delle due sentenze di condanna emesse nei confronti del M., che secondo la giurisprudenza di questa Corte il programma associativo di un’associazione per delinquere va tenuto distinto dal disegno criminoso la cui unicità costituisce presupposto essenziale per la configurabilità della continuazione fra più reati, atteso che quest’ultima richiede la rappresentazione, fin dall’inizio, dei singoli episodi criminosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali, e pertanto è ravvisabile solo quando risulti che l’autore abbia già previsto e deliberato in origine, per linee generali, l’iter criminoso da percorrere e i singoli reati attraverso i quali si snoda; ne consegue che la partecipazione ad un’associazione per delinquere (nel caso In esame la cosca Varsalona- Bonaffini) non può costituire, di per sè sola, prova dell’unicità di disegno criminoso fra i reati commessi per il perseguimento degli scopi dell’associazione (così Cass. sez. 1, sentenza n. 3834 del 15 novembre 2000 – 31 gennaio 2001, ric. Barresi).

Se a ciò si aggiunge che il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-fine – che non va impostato in termini di compatibilità strutturale – si risolve in una "quaestio facti" la cui soluzione è rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito (in tal senso, ex multis Cass. sez. 5, 18 ottobre – 6 dicembre 2005, n. 4606, ric. Traina) e che nel caso in esame la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della continuazione è stata negata con l’ordinanza del 12 marzo 2008, la quale non risulta sia stata impugnata dal condannato con esito positivo, l’infondatezza del ricorso sul punto risulta manifesta.

2. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo Ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinabile in Euro 1000,00, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara Inammissibile il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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