Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-06-2012, n. 9436 Norme processuali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 10 dicembre 2007 il Tribunale di Latina, in accoglimento della domanda proposta da D.T.C., procuratore generale di D.T.R.L., dichiarò, per quanto qui interessa, che il contratto di affitto del fondo, di proprietà dell’attore, ubicato in (OMISSIS), con annessi manufatti rurali e corpi di fabbrica, era scaduto il 10 novembre 2007, per l’effetto condannando D.A., che occupava i predetti immobili in virtù di un rapporto di mezzadria, convertito in affitto, a rilasciarli; affermò inoltre l’incompetenza funzionale della sezione agraria relativamente alla domanda riconvenzionale di usucapione, avanzata dal convenuto.

Proposto gravame dal soccombente, la Corte d’appello di Roma, in data 31 marzo 2010, lo ha respinto.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre D.A., affidando le sue doglianze a quattro motivi.

Resiste con controricorso D.T.L., nella qualità.

Motivi della decisione

1 Con il primo motivo, denunciando violazione degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 276, 132 cod. proc. civ., e art. 161 cod. proc. civ., comma 2, nonchè vizi motivazionali, il ricorrente critica il rigetto dell’eccezione di nullità della sentenza di prime cure, in quanto pronunciata da un collegio diverso da quello dinnanzi al quale si era svolta la discussione orale, considerato che l’udienza di spedizione della causa a sentenza era stata presieduta dal Dottor C., mentre la sentenza risultava emessa da un collegio presieduto dal Dott. Ce..

L’assunto del giudice di merito che aveva ritenuto il rilievo privo di pregio – alla luce di un attestato di cancelleria nonchè di una empirica comparazione tra la firma apposta in calce alla sentenza impugnata e altre firme di cui era indiscussa l’attribuzione al Dott. C. – era arbitrario, perchè, in realtà, la sottoscrizione era indecifrabile.

2 Le critiche sono infondate.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che la nullità della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione, nullità la quale è insanabile e rilevabile d’ufficio ex art. 158 cod. proc. civ., può esser dichiarata solo quando vi sia la prova della non partecipazione al collegio deliberante di un giudice che aveva invece assistito alla discussione della causa, prova che non può tuttavia evincersi dalla sola omissione, nella intestazione della sentenza, del nominativo di quel giudice, almeno tutte le volte in cui esso sia stato invece riportato nel verbale dell’udienza di discussione. Tale affermazione si giova dei seguenti, concorrenti rilievi: a) l’intestazione della sentenza non ha una sua autonoma efficacia probatoria, riproducendo i dati del verbale d’udienza; b) da siffatto verbale, che fa fede fino a querela di falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della riserva espressa dagli stessi a fine udienza di prendere la decisione in camera di consiglio, nasce la presunzione, in mancanza di elementi contrari, che è onere del ricorrente indicare, della deliberazione della sentenza da parte delle medesime persone fisiche che hanno partecipato all’udienza collegiale; c) tale presunzione è poi ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dell’art. 276 cod. proc. civ., tra i compiti del presidente del collegio vi è quello di controllare che i giudici presenti nella camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione.

Ciò comporta che l’erronea indicazione nella intestazione della sentenza del nome di un componente del collegio o, come in questo caso, dello stesso presidente, nome correttamente indicato, invece, nel verbale di udienza, si presume determinata da errore materiale emendabile con il rimedio della correzione, ai sensi degli artt. 287 e 288 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 6 luglio 2010, n. 15879;

Cass. civ. 27 maggio 2009, n. 12352; Cass. civ. sez. un. 6 novembre 1991, n. 11853).

Ne consegue che la tesi della nullità della pronuncia di prime cure, posta a base delle critiche dell’esponente, è destituita di fondamento. E ciò tanto più che, nello specifico, come affermato in controricorso e non smentito dall’impugnante, la sentenza del Tribunale di Latina è stata effettivamente corretta.

3 Le censure svolte nel secondo e nel terzo motivo di ricorso, che si prestano a essere esaminate congiuntamente, in quanto intrinsecamente connesse, hanno ad oggetto l’affermata validità della disdetta, malgrado l’omessa individuazione nella stessa delle particelle catastali sulle quali insisteva il fabbricato abitato dal convenuto;

la ritenuta inerenza al rapporto agrario della detenzione,. in capo all’affittuario, di tale immobile, benchè, secondo l’appellante, esso, in quanto palazzo d’epoca, non potesse essere considerato una pertinenza del terreno; l’irrilevanza, nel presente giudizio, di eventuali atti di interversione del possesso, idonei a dare fondamento a una domanda di usucapione, posto che la cognizione della relativa azione esulava, in ogni caso, dalla competenza funzionale della sezione specializzata agraria. In particolare con il secondo mezzo l’impugnante, lamentando violazione degli artt. 112 e 116 cod. proc. civ., nonchè vizi di motivazione, torna a ribadire che la richiesta di rilascio del fabbricato non era stata preceduta da regolare disdetta, e ciò tanto più che, dalla documentazione prodotta e dalle risultanze istruttorie, emergeva l’assoluta inconferenza della qualificazione dello stesso in termini di casa colonica. Con il terzo denuncia, come contraddittorietà della motivazione, anche in relazione al dispositivo, ex art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, la mancata corrispondenza tra la dichiarazione di incompetenza funzionale della sezione specializzata agraria a decidere sulla domanda di usucapione del fabbricato e l’ordine di rilascio dello stesso, mentre nella motivazione detta domanda era stata rigettata.

4 Trattasi di critiche infondate.

Esse, in più punti oscure e ridondanti, sono anzitutto prive di autosufficienza, nella parte in cui richiamano il contenuto di documenti senza adempiere agli oneri imposti dall’art. 366 cod. proc. civ., n. 6. E invero il ricorrente per cassazione, il quale intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, deve sia indicare esattamente in ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo si trovi il documento in questione; sia trascriverne o riassumerne il contenuto, con la precisazione che la violazione anche di uno soltanto di tali adempimenti rende il ricorso inammissibile (Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303).

Non è poi superfluo ricordare che le sezioni unite di questa Corte, pur avendo chiarito che l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, "gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda" è soddisfatto, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, mediante la produzione dello stesso, e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione, presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., comma 3, hanno tuttavia precisato che resta ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 cod. proc. civ., n. 6, del contenuto degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari al loro reperimento (confr. Cass. civ. 3 novembre 2011, n. 22726).

Ora, nella fattispecie, per come innanzi evidenziato, siffatto contenuto espositivo del ricorso è del tutto omesso.

5 A ciò aggiungasi che il giudizio di irrilevanza della mancata indicazione, nella disdetta, dei dati catastali del fabbricato, è assolutamente corretto, considerato che non vi è mai stata incertezza sull’identificazione dell’immobile e che l’impugnante neppure deduce in che modo e in quale misura l’omissione abbia pregiudicato l’esercizio dei suoi diritti difensivi.

Quanto poi alle caratteristiche dell’edificio caratteristiche che, secondo la tesi difensiva dell’esponente, varrebbero a sottrarlo al regime del contratto agrario – quel che rileva in questa sede è esclusivamente il titolo in base al quale il deducente ne ha avuto il godimento. Ora, posto che il giudice di merito ha accertato che il D. ha usufruito dell’immobile proprio in quanto affittuario del fondo, l’allegazione che la detenzione dello stesso era legittimata da una fonte autonoma, diversa e distinta dal contratto agrario – e peraltro neppure specificata – oltre a essere perciò stesso irrimediabilmente carente sotto il profilo dell’autosufficienza, attiene a un profilo di stretto merito del convincimento della Corte territoriale, come tale incensurabile in questa sede.

6 Infine neppure è chiaro il senso della dedotta contraddittorietà tra la conferma della declaratoria di incompetenza a decidere sulla domanda di usucapione del fabbricato e l’ordine di rilascio dello stesso, atteso che la Corte d’appello, senza in alcun modo scrutinare la fondatezza o meno della riconvenzionale spiegata dal convenuto, si è limitata a ribadire la correttezza della pronuncia di incompetenza adottata dal giudice di prime cure. Ne deriva che le critiche sono aspecifiche, in quanto prive di riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata.

7 Con il quarto motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè, ancora una volta, vizi motivazionali, contesta la ritenuta infondatezza delle censure da lui avanzate contro il governo delle spese processuali stabilito nella sentenza di prime cure, non essendosi tenuto conto nè della indicazione di una data di inizio del rapporto diversa da quella ritenuta dal decidente, nè del rigetto della domanda cautelare avanzata dalla controparte in corso di causa.

8 Anche tali critiche non possono essere condivise.

Il giudizio di totale soccombenza del convenuto è stato correttamente formulato dal decidente in ragione dell’assoluta marginalità, nell’ambito del complesso contenzioso insorto tra le parti, della individuazione, negli atti introduttivi, di date di inizio e di cessazione del rapporto diverse da quelle ritenute in sentenza, di talchè il principio della soccombenza non risulta in definitiva violato.

A ciò aggiungasi che il ricorrente neppure ha contestato l’affermazione secondo cui dell’esito delle fasi della domanda cautelare avanzata in corso di causa il Tribunale non aveva tenuto conto nella liquidazione degli importi, di talchè le critiche, ancora una volta, sono eccentriche rispetto alle argomentate ragioni della decisione.

9 Il ricorso è respinto.

L’impugnante rifonderà alla controparte le spese di giudizio, nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.200,00 (di cui Euro 6.000,00 per onorari), oltre IVA e CPA, come per legge.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

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