Cass. civ. Sez. III, Sent., 11-06-2012, n. 9433 Legittimazione a ricorrere ed a resistere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Comune di Senise conveniva in giudizio l’Ing. P. per la restituizione della somma (pari a circa L. 307 milioni, oltre accessori), percepita sine titulo, in mancanza di pattuizione in forma scritta del contratto d’opera professionale. Assumeva di averla corrisposta – previa delibera del Comune del giugno del 1989 – per la redazione di un progetto esecutivo, approvato dal Comune nell’aprile dello stesso anno, nell’ambito di un progetto finanziato dall’Agenzia per lo Sviluppo del Mezzogiorno. Precisava che nel 1986, in esito a delibera Comunale, con scrittura privata, era stato conferito l’incarico all’Ingegnere di redigere un progetto di massima e il Comune aveva assunto l’impegno di conferire l’ulteriore incarico di redigere il progetto esecutivo, impegnandosi a pagare L. 300.000, in caso di mancato finanziamento.

L’ingegnere eccepiva l’esistenza dell’incarico in forma scritta del 1986; la successiva approvazione del progetto esecutivo; avanzava domanda riconvenzionale subordinata di ingiustificato arricchimento.

Il Tribunale di Lagonegro, accogliendo parzialmente la domanda del Comune, condannava l’Ingegnere alla restituzione di circa Euro 74.000,00, come quantificato dal consulente, oltre accessori.

La Corte di appello di Potenza rigettava l’impugnazione proposta dall’ingegnere e confermava la sentenza di primo grado (sentenza del 29 dicembre 2009).

2. Avverso la suddetta sentenza, l’ing. P. propone ricorso per cassazione con dieci motivi.

Resiste con controricorso il Comune di Senise.

Motivi della decisione

1. Con i primi due motivi di ricorso, strettamente connessi, si deduce il difetto di legittimazione processuale del convenuto, la nullità della citazione e della sentenza (violazione degli artt. 75, 101, 163, 164 cod. proc. civ.; artt. 2033, 2697 cod. civ.).

Il ricorrente denuncia il difetto di legittimazione processuale del convenuto, attuale ricorrente, per essere stato evocato in giudizio per la restituzione della somma l’ing. P.A., titolare dello Snat studio, mentre il pagamento era avvenuto a favore dello Snat studio sas, dell’ing. P.A.. Quindi, il P. sarebbe stato convenuto in giudizio come persona fisica, mentre il pagamento era stato effettuato in favore della società (come evincibile dal documento depositato ex art. 372 cod. proc. civ.), con la conseguenza che non sarebbe stato convenuto in giudizio l’accipiens, cui la somma era stata pagata.

1.1. Il primo e il secondo motivo vanno rigettati.

Pur prospettando una questione di legittimazione processuale, in realtà la questione dedotta concerne la legittimazione passiva alla restituzione della somma, per essere stato evocato in giudizio personalmente il professionista che ha realizzato il progetto, e non la società che aveva ricevuto il pagamento.

La titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto in causa, costituisce una questione di merito che non può essere sollevata per la prima volta nel giudizio di cassazione; conseguentemente, non è ammissibile, ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ. la produzione di documenti volti a dimostrare il difetto di legittimazione passiva del convenuto (Cass. 1 marzo 2004, n. 4121).

2. Il terzo e quarto motivo, strettamente connessi, riguardano la legitimatio ad processum del Comune.

La Corte di merito ha rigettato l’eccezione dell’ingegnere appellante, relativa al difetto di legittimazione del Comune, Precisato che l’autorizzazione a stare in giudizio attiene alla legitimatio ad processum, ha rilevato che, pur originariamente mancante, era stata prodotta prima della conclusione del giudizio di primo grado, avendo la Giunta Comunale ratificato l’attività svolta sino ad allora (sulla base di delibera del Consiglio Comunale), confermando la nomina del precedente difensore.

2.1. Con il terzo motivo, deducendo la violazione degli artt. 112, 182, 189, 190 bis e 281-quater cod. proc. civ., denuncia, in particolare, la violazione dell’art. 112 cod. proc, civ., per non avere il giudice di appello deciso sul motivo di omessa pronuncia, sollevato per non avere il giudice di primo grado deciso, la prima volta che la causa era stata rimessa al collegio, la eccepita carenza di legittimazione ad processum del Comune, consentendo così al Comune di regolarizzare, nella successiva fase di regressione istruttoria.

Con il quarto motivo si duole del fatto che la Corte di merito, nonostante l’autorizzazione della Giunta sia intervenuta nel 2001, non abbia motivato in ordine al rispetto della normativa di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, verificando se lo Statuto Comunale prevedeva la rappresentanza processuale in capo al Sindaco o ad altro soggetto e se lo Statuto prevedeva l’autorizzazione della Giunta o del dirigente.

2.2. Il terzo motivo va rigettato. E’ assorbente la considerazione che la prima volta che la causa è stata rimessa al Collegio il giudice avrebbe dovuto promuovere la sanatoria, assegnando un termine per il rilascio della necessaria autorizzazione ex art. 182 cod. proc. civ.. Infatti, risolvendo un contrasto di giurisprudenza, di recente le Sezioni Unite (19 aprile 2010, n. 9217) hanno stabilito che "L’art. 182 cod. proc. civ., comma 2 (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009), secondo cui il giudice che rilevi un difetto di rappresentanza, assistenza o autorizzazione "può" assegnare un termine per la regolarizzazione della costituzione in giudizio, dev’essere interpretato, anche alla luce della modifica apportata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 2, nel senso che il giudice deve promuovere la sanatoria, in qualsiasi fase e grado del giudizio e indipendentemente dalle cause del predetto difetto, assegnando un termine alla parte che non vi abbia già provveduto di sua iniziativa, con effetti ex tunc, senza il limite delle preclusioni derivanti da decadenze processuali".

2.3. Il quarto motivo è inammissibile.

Nel nuovo sistema istituzionale degli enti locali, il D.Lgs. n. 267 del 2000 consente che lo Statuto, o il regolamento comunale (se lo Statuto lo consente), possano affidare la rappresentanza a stare in giudizio ai dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di competenza, ovvero ad esponenti apicali della struttura burocratico- amministrativa del Comune, e possano richiedere l’autorizzazione della Giunta o una preventiva autorizzazione del dirigente (o l’una o l’altra in relazione all’oggetto della controversia). Ma, in mancanza di specifica previsione statutaria o regolamentare, il Sindaco conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, previa autorizzazione della Giunta Comunale (Sez. Un. n. 12868 del 2005).

Poichè, nella specie, il Sindaco agiva sulla base di delibera di Giunta, in conformità alla regola generale prevista dalla legge, in mancanza di specifiche contestazioni attinenti alla diversa regolamentazione nello statuto o nel regolamento del Comune, il Giudice non era tenuto di sua iniziativa a svolgere ulteriori accertamenti (Cass. 3 dicembre 2008, n. 28662). Mancanza di accertamenti di cui i ricorrente si lamenta senza dare contezza di averli chiesti in sede di appello. Conseguente è l’inammissibilità della censura.

3. Con quinto motivo si deduce la violazione delle norme, a tutela della concorrenza, parità di trattamento e trasparenza, relative alle modalità di scelta, da parte del Comune, dell’avvocato quale prestatore di servizio (fondamentalmente, della L. n. 142 del 1990, art. 56, D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 27, in attuazione della normativa europea), che inciderebbe sulla procura rilasciata, senza il rispetto di tali procedure, dal Sindaco all’avvocato difensore, in primo e secondo grado.

3.1. A parte la difficile ipotizzabilità della incidenza della normativa relativa alle procedure di scelta dell’avvocato difensore, ai fini di tutela della concorrenza, trasparenza ecc, sulla validità della procura alle liti, preliminarmente, il motivo è inammissibile, stante la novità della prospettazione per la prima volta in questa sede.

4. I restanti motivi di ricorso concernono il merito della controversia. Al loro esame, per comodità espositiva, si premette la sintesi della sentenza impugnata.

La Corte di merito, che ha confermato la sentenza di primo grado, ha ritenuto nullo il contratto di opera professionale, per difetto di forma scritta, e sine titulo il pagamento effettuato dall’Amministrazione. Poi, dopo aver esaminato in astratto le condizioni richieste per il riconoscimento al professionista dell’indennizzo per l’arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. – precisando che per la quantificazione dell’indennizzo è esclusa la possibilità di applicazione diretta della tariffa professionale, valevole solo come parametro di valutazione e limite massimo di liquidazione – ha ritenuto inammissibile l’azione di indebito arricchimento, per mancanza del requisito della sussidiarietà, dovendosi applicare ratione temporis – stante l’epoca della delibera di approvazione del progetto esecutivo da parte del Consiglio Comunale (aprile 1989) – il D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, che prevede la responsabilità diretta dell’amministratore o del funzionario.

5. Con il sesto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2033 cod. civ., unitamente a insufficiente e contraddittoria motivazione perchè, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte di appello nel confermare la decisione di primo grado, sussisteva un contratto valido, quello del 1986, e il pagamento era avvenuto sulla base di quello, con la conseguenza che l’Amministrazione avrebbe dovuto agire per l’annullamento di quel contratto.

5.1. Il motivo va rigettato.

La Corte di appello ha ritenuto nullo il contratto di opera professionale, per difetto di forma scritta, e sine titulo il pagamento effettuato dall’Amministrazione, sulla base delle seguenti argomentazioni: – manca la stipulazione in forma scritta del contratto per la predisposizione del progetto esecutivo dell’opera pubblica; – il progetto esecutivo predisposto nel 1989 non è riconducibile alla scrittura privata del 1986, avente per oggetto la predisposizione del progetto di massima, e nella quale, proprio la previsione dell’obbligo di affidare la redazione del definitivo allo stesso ingegnere rende evidente che occorreva la stipulazione di un ulteriore contratto; – l’approvazione del progetto esecutivo adottata dalla Giunta Municipale nell’aprile 1989 non è idonea a integrare la forma scritta richiesta a pena di nullità, insuscettibile di sanatoria (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, artt. 16 e 17); – è applicabile ratione temporis il R.D. 3 marzo 1934, art. 87, abrogato dal D.Lgs. 8 giugno 1990, n. 142, art. 274, di estensione ai Comuni delle forme stabilite per i contratti dello Stato.

5.1.1. Così decidendo, la Corte ha fatto corretta applicazione del principio, secondo cui, "in base al R.D. n. 2440 del 1923, artt. 16 e 17, il contratto d’opera professionale stipulato con la P.A., pure se questa agisca iure privatorum, deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta. L’osservanza di detto requisito richiede la redazione di un atto recante la sottoscrizione del professionista e dell’organo dell’ente legittimato ad esprimerne la volontà all’esterno, nonchè l’indicazione dell’oggetto della prestazione e l’entità del compenso, dovendo escludersi che, ai fini della validità del contratto, la sua sussistenza possa ricavarsi da altri atti – quali, ad esempio, la delibera dell’organo collegiale dell’ente che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico, ovvero una missiva con la quale l’organo legittimato a rappresentare l’ente ne abbia comunicato al professionista l’adozione – ai quali sia eventualmente seguita la comunicazione per iscritto dell’accettazione da parte del medesimo professionista, poichè non è ammissibile la stipula mediante atti separati sottoscritti dall’organo che rappresenta l’ente e dal professionista, prevista esclusivamente per i contratti conclusi con imprese commerciali. Il contratto mancante del succitato requisito è nullo e non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, poichè gli atti negoziali della P.A. constano di manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti" (Cass. 6 luglio 2007, n. 15296).

Nella specie, infatti, chiaramente diverso era l’oggetto della convenzione stipulata nel 1986, concernente il solo progetto di massima e il rinvio ad altro contratto per il progetto esecutivo; nè i requisiti di forma richiesti potevano ritenersi integrati dalla approvazione del progetto esecutivo da parte della Giunta Municipale, non potendo ricavarsi la validità del contratto da atti diversi.

6. Con il settimo motivo si censura la sentenza (art. 112 cod. proc. civ. e art. 2033 cod. civ.) per non aver pronunciato sul motivo di appello, con il quale il professionista aveva dedotto l’ultrapetizione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva riconosciuto come dovuto al professionista un pagamento di L. 156.045.919, quale corrispettivo della prestazione professionale espletata, e accolto parzialmente la domanda di indebito oggettivo proposta dal Comune, pur ritenendo nullo il contratto e inammissibile l’azione di indebito arricchimento, proposta in via riconvenzionale subordinata dal professionista, in tal modo riconoscendo una riduzione del prezzo della prestazione senza domanda de Comune.

6.1. Il motivo va accolto.

In effetti, nella sentenza impugnata (sintetizzata in 4) è totalmente assente la decisione e motivazione sul motivo di censura di ultrapetizione e contraddizione, svolto dal professionista impugnando la sentenza di primo grado (v. p. 9 ricorso, p. 15 atto di appello), laddove aveva riconosciuto al professionista la suddetta somma per la prestazione professionale espletata, pur in mancanza di convenzione e pur non riconoscendo l’indebito arricchimento (p. 7, 8 ricorso).

Nè all’esame di tale motivo di appello era di ostacolo la mancata proposizione dell’appello incidentale da parte del Comune. Infatti, avendo l’appellante presentato domanda riconvenzionale subordinata di indebito arricchimento aveva interesse alla caducazione dell’accoglimento parziale della domanda di indebito oggettivo proposta dal Comune e all’esame della propria domanda subordinata.

7. I motivi ottavo e nono restano assorbiti dall’accoglimento del settimo.

7.1. L’ottavo, per certi versi non limpido nella esplicazione, in parte ripropone la tematica del settimo; per il resto è incompatibile con l’accoglimento del settimo, e quindi è sostanzialmente subordinato al mancato accoglimento del settimo, atteso che, sul presupposto della legittimità del parziale pagamento riconosciuto come dovuto dall’Amministrazione al professionista, ne chiede l’incremento riproponendo le critiche alla consulenza, sulla base della quale il primo giudice aveva determinato l’importo.

7.2. Il nono concerne l’omesso esame da parte della Corte di merito del motivo di appello che lamentava il riconoscimento della svalutazione sulla somma che il professionista era stato condannato a restituire, nonostante l’Amministrazione avesse chiesto solo gli interessi. Pertanto, presupponendo la legittimità del parziale pagamento riconosciuto come dovuto dall’Amministrazione al professionista, è incompatibile con l’accoglimento del settimo motivo, essendo sostanzialmente subordinato al mancato accoglimento dello stesso.

8. Con il decimo motivo di ricorso (art. 2041 cod. civ., del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, unitamente a difetti motivazionali), si deduce che, erroneamente, la Corte di appello, e prima il Tribunale, avevano ritenuto inammissibile, ai sensi del D.L. n. 66 del 1989, art. 23, l’azione di ingiustificato arricchimento. Infatti, secondo il ricorrente: a) la disciplina del 1989 non è applicabile per prestazioni professionali effettuate, come nella specie, precedentemente alla sua entrata in vigore; b) la delibera di liquidazione della parcella del 1989 prevede la copertura finanziaria della spesa in conformità con l’art. 23 del cit. D.L.. Stanti, poi, l’esecuzione della prestazione e il riconoscimento dell’utilità da parte della amministrazione, l’azione di indebito arricchimento avrebbe dovuto essere dichiarata fondata.

8.1. Il motivo è fondato, perchè l’azione di indebito arricchimento avrebbe dovuto essere ritenuta ammissibile.

Come detto (par. 4), la Corte ha ritenuto, nella specie, inammissibile l’azione di indebito arricchimento per mancanza del carattere della sussidiarietà, stante l’applicabilità del D.L. 2 marzo 1989, n. 66, art. 23, che, per il corrispettivo dovuto al professionista, prevede la responsabilità diretta dell’amministratore e del funzionario, dovendosi fare riferimento all’epoca della delibera di approvazione del progetto esecutivo da parte del Consiglio Comunale (aprile 1989).

8.2. Deduce il ricorrente, e sul punto non vi è contestazione, che il progetto esecutivo è stato fornito al Comune il 20 ottobre 1986 (doc. 3 fase, appello), in epoca ben precedente all’entrata in vigore del D.L. n. 66 del 1989.

Di conseguenza, trattandosi di prestazioni rese in data anteriore al D.L. in argomento, si applica il principio consolidato, secondo cui "Non potendosi, in difetto di espressa previsione normativa, affermare la retroattività del D.L. n. 66 dei 1989 (convertito in L. n. 144 del 1989 e riprodotto senza sostanziali modifiche dal D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35), deve ritenersi l’esperibilità dell’azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. per tutte le prestazioni e i servizi resi alla stessa anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa, non difettando il requisito della sussidiarietà per il fatto che il privato può agire direttamente contro chi – amministratore o funzionario – abbia invalidamente commissionato le opere o i servizi, atteso che la responsabilità diretta di funzionari e dipendenti pubblici è posta dall’art. 28 Cost., su di un piano alternativo e paritetico" (Cass. 11 maggio 2007, n. 10884).

Resta assorbito il secondo profilo dedotto.

9. In conclusione, la sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e la Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, deciderà la controversia esaminando il motivo di appello, in ordine alla ultrapetizione del giudice di primo grado rispetto alla domanda di indebito oggettivo proposta dalla amministrazione (motivo settimo del ricorso per cassazione) e, nell’ipotesi di accoglimento, procederà ad esaminare nel merito la domanda subordinata di ingiustificato arricchimento proposta dal professionista (motivo decimo del ricorso per cassazione); provvederà, inoltre, a liquidare le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il settimo e il decimo motivo di ricorso; rigetta il primo, secondo, terzo e sesto motivo; dichiara inammissibili il quarto e quinto motivo; dichiara assorbiti l’ottavo e il nono motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte di appello di Potenza, in diversa composizione, anche per le spese processuali del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 5 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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