Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43779 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il GIP del Tribunale di Napoli, deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione sulle istanze proposte nell’interesse di S. R., con ordinanza del 24 giugno 2010iha rigettato sia la richiesta di rideterminazione, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., delle pene a lui inflitte – con due sentenze di condanna ivi meglio specificate – riguardando le stesse reati unificabili nel vincolo della continuazione in quanto asseritamente commessi in attuazione del programma criminoso dell’associazione criminale capeggiata da M.M.; sia quella di applicazione dell’indulto concesso con L. n. 241 del 2006. 1.1. Quanto alla prima istanza, il giudice dell’esecuzione ha disatteso la tesi secondo cui i reati oggetto delle sentenze di condanna erano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in base al rilievo che tra l’estorsione in danno della ditta Vivai, di V.A. commessa in (OMISSIS) (e l’omicidio in danno di F.A., commesso in (OMISSIS), era intercorso un "consistente lasso temporale (quasi tre anni)" e che non erano stati offerti significativi Indizi in base ai quali affermare che i predetti reati fossero espressione di un’unica preordinazione, anche alla luce del dato che per il reato di omicidio risultava esclusa l’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 originariamente contestata, fermo restando, in ogni caso, che la commissione di reati con modalità camorristico – mafiose o per agevolare un’associazione di stampo camorristico – mafioso non è di per sè un elemento sintomatico dell’unicità del disegno criminoso, che non può identificarsi con un modo di vita, cioè con una generale inclinazione a compiere un certo tipo di reati, sotto la spinta dell’occasione, delle tendenze e dei bisogni.

1.2. Quanto alla seconda richiesta, il giudice dell’esecuzione, nel premettere che lo S. risultava aver già fruito del beneficio dell’indulto nella misura di anni due e mesi sei con riferimento alla pena (di anni dodici di reclusione) applicatagli per l’omicidio, la rigettava, osservando che, per costante giurisprudenza, risultano esclusi dall’applicazione dell’indulto concesso con la L. n. 241 del 2006, i delitti in relazione ai quali sia intervenuto l’accertamento giudiziale della sussistenza della circostanza aggravante prevista dalla D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, conv. con modif. in L. 12 luglio 1991, n. 203, ancorchè tale aggravante non abbia prodotto effetti sulla pena per il riconoscimento della circostanza attenuante prevista dal successivo art. 8. 2. Avverso l’indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il condannato, per il tramite del suo difensore, denunziandone l’illegittimità:

– con il primo motivo dedotto, per erronea applicazione della legge penale e per contraddittorietà e carenza della motivazione, con riferimento alla mancata applicazione della disciplina del reato continuato, in quanto il giudice dell’esecuzione Incongruamente aveva attribuito rilevanza ad alcuni elementi di valutazione (il dato temporale; l’esclusione dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7), da ritenersi, invece, scarsamente significativi, ove si consideri che lo S., tratto in arresto nel luglio 2004 nell’immediatezza della consumazione dell’estorsione, era stato detenuto sino all’autunno 2006, e che una volta scarcerato, il prevenuto aveva subito consumato altre estorsioni sino all’arresto, nel febbraio 2007, per l’omicidio del F., perpetrato proprio a seguito di una richiesta estorsiva non accolta. Tale "serrata" sequenza temporale, secondo il ricorrente è già di per sè stessa indice dell’esistenza di un programma criminoso specifico, laddove l’esclusione dell’aggravante speciale, valorizzata dal giudice dell’esecuzione, rappresenta un dato assolutamente equivoco e non decisivo, in quanto, come il giudicante avrebbe potuto facilmente verifica re ove avesse acquisito copia della sentenza, tale decisione era stata determinata unicamente dalla circostanza che il reato di cui trattasi non era stato oggetto di attività collaborativa – iniziata solo nel 2007 – sicchè era risultata carente la prova, relativamente all’individuazione dei mandanti, all’epoca rimasti "ignoti"; – con il secondo motivo, per erronea applicazione della legge, in quanto il riconoscimento allo S. della diminuente di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8, comporta, per espressa previsione normativa, l’inapplicabilità dell’aggravante ex art. 7 stessa legge, da intendersi come eliminata "in radice". 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l’accoglimento del ricorso, limitatamente al secondo motivo, relativo all’applicazione dell’indulto, da ritenersi fondato anche in considerazione del contenuto della recente pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, emessa il 25 febbraio 2010, imp. Cotaldo.

Motivi della decisione

1. L’impugnazione proposta nell’interesse dello S. è basata su motivi infondati.

1.1. Con riferimento al primo motivo dedotto, relativo al rigetto dell’Istanza ex art. 671 cod. proc. pen., va osservato. In primo luogo, che la tesi del ricorrente secondo cui il giudice dell’esecuzione si sarebbe limitato ad esaminare il solo certificato penale e non anche il testo della prima sentenza – quella del Tribunale di Nola, relativa all’estorsione – in quanto asseritamele non acquisita, costituisce un’affermazione apodittica, ed In contrasto con il contenuto del provvedimento impugnato, nel quale (rigo 9 della prima pagina) si afferma esattamente il contrario.

1.2. Ciò premesso, ritiene la Corte che l’ordinanza impugnata, relativamente al rigetto dell’istanza di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, sia corredata di motivazione adeguata, attinente alle questioni proposte con l’istanza dello S., e logicamente coerente, nel quadro di un ragionamento unitario, articolato in argomentazioni saldamente connesse e svolto sulla base di concetti razionalmente ordinati ed espressi.

In proposito occorre considerare, infatti, che secondo la giurisprudenza di questa Corte "il programma associativo di un’associazione per delinquere va tenuto distinto dal disegno criminoso la cui unicità costituisce presupposto essenziale per la configurabilità della continuazione fra più reati, atteso che quest’ultima richiede la rappresentazione, fin dall’inizio, dei singoli episodi criminosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali, e pertanto è ravvisabile solo quando risulti che l’autore abbia già previsto e deliberato in origine, per linee generali, l’iter criminoso da percorrere e i singoli reati attraverso i quali si snoda; ne consegue che la partecipazione ad un’associazione per delinquere (nel caso in esame il clan Maretta) non può costituire, di per sè sola, prova dell’unicità di disegno criminoso fra i reati commessi per il perseguimento degli scopi dell’associazione (così Cass. sez. 1, sentenza n. 3834 del 15 novembre 2000 – 31 gennaio 2001, ric. Barresi).

Se a ciò si aggiunge che il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-fine – che non va impostato in termini di compatibilità strutturale – si risolve in una "quaestio facti" la cui soluzione è rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito (in tal senso, ex mute Cass. sez. 5, 18 ottobre – 6 dicembre 2005, n. 4606, ric. Traina) e che nel caso in esame la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della continuazione è stata negata in base a ineccepibili valutazioni sull’autonomia oggettiva, soprattutto temporale, dei vari fatti per i quali lo S. ha riportato condanna, tra i quali è intervenuto anche un congruo periodo di detenzione, l’infondatezza del ricorso sul punto risulta manifesta.

1.3. Infondato deve ritenersi anche il secondo motivo d’impugnazione dedotto. Ed Invero, come già più volte affermato da questa Corte, "il legislatore, con l’uso nella L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 2, lett. d), del termine "ricorre", ha invero inequivocamente espresso la volontà di dare rilievo, come condizione sufficiente per l’esclusione del beneficio indulgenziale, all’intervenuto accertamento giudiziale della esistenza (….) degli estremi dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 a prescindere dal fatto che la circostanza stessa abbia o meno nella fase di cognizione potuto trovare applicazione, nel caso di specie impedita dalla concorrenza dell’attenuante premiale, e così produrre gli effetti sul piano processuale e sanzionatorie che le sono propri.

Tale scelta appare chiaramente dettata, in piena sintonia con la ratio delle disposizioni ostative contenute nella L. n. 241 del 2006, dalla considerazione delle connotazioni di particolare e qualificata pericolosità dell’autore del reato che l’aggravante di cui si tratta – non elisa, ma solamente resa non operativa dall’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8 – esprime, pericolosità che d’altra parte, come dalla giurisprudenza di questa Corte costantemente affermato, non si può ritenere di fatto automaticamente venuta meno in conseguenza della riconosciuta collaborazione con la giustizia (cfr. al riguardo tra le molte, in materia di misure cautelari e di misure di prevenzione, Sez. 5, 12/1/99, imp. Galasso, rv. 212.340;

Sez. 6, 6/4/99, Grillo, rv. 214.750; Sez. 5, 8/10/03, Seidita, rv.

227.858, Sez. 1, sentenza n. 10679 del 14/01/2008, dep. 07/03/2008, Rv. 239652, imp. De Giglio; ed in senso conforme, Sez. 1, Sentenza n. 44331 del 18/11/2008, dep. 27/11/2008, Rv. 242200, imp. P.M. in proc. Mazzola).

1.4 Nè, per altro, la circostanza che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 10713 del 25 febbraio 2010, imp. Contaldo, deliberando in tema di concorso di circostanze eterogenee con la circostanza ad effetto speciale prevista dal D.L. n. 152 del 1991, art. 8 e di esclusione della stessa dal giudizio di comparazione tra circostanze, abbia affermato, in quello che sostanzialmente si configura, nell’economia della decisione, come un obiter dictum, che il riconoscimento della circostanza attenuante ad effetto speciale della cosiddetta "dissociazione attuosa", prevista dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 8, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203 determini "l’elisione automatica" della circostanza aggravante di cui all’art. 7 del medesimo decreto, citato D.L. n. 152 del 1991, può costituire, ad avviso del collegio, motivo sufficiente per ritenere che la contestata aggravante speciale, così come sostenuto dal ricorrente e dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, debba ritenersi "insussistente", non ricorrente, anche ai fini della operatività dell’Indulto, specie ove si consideri che, proprio l’indicata pronuncia delle Sezioni Unite ha specificamente fatto riferimento, quanto alla ratìo della normativa di cui trattasi, alla necessità "di coniugare premialità, personalizzazione del trattamento sanzionatorio e proporzionalità del medesimo rispetto alla misura di lesività effettiva del fatto costitutivo del reato", impedendo "che dissociazione e contributo investigativo elidano la concreta offensività del fatto". 2. Il rigetto del ricorso comporta ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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