Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43722

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il 16 luglio 2009 il Tribunale di Nola pronunciava sentenza di condanna alla pena di sette anni di reclusione, mesi due di arresto ed Euro 100,00 di ammenda a carico di D.D.M., riconosciuto colpevole del reato di tentato omicidio ( artt. 56 e 575 c.p.) per aver colpito con alcune coltellate M.E., al quale cagionava ferite alla milza ed al rene idonee a causarne la morte, non sopraggiunta per il pronto soccorso chirurgico, nonchè del reato di porto non autorizzato di un coltello con lama di cm.

19,5 ( L. n. 110 del 1975, art. 4 e art. 2, n. 2) utilizzato per il ferimento di cui innanzi; in (OMISSIS).

A sostegno della decisione i giudici di prime cure ponevano il racconto dell’imputato e della p.o., alla quale davano credito maggiore per la coerenza delle relative dichiarazioni, nonchè gli atti di indagine eseguiti nell’immediatezza dei fatti dai CC, accorsi sul luogo ove i fatti si erano verificati.

1.2 Avverso la sentenza di prime cure proponeva appello l’imputato:

a) insistendo nella tesi difensiva di aver agito in stato di legittima difesa quanto meno putativa, b) domandando la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine di sentire il consulente della difesa sui segni lasciati sulla carrozzeria dell’autovettura del prevenuto dall’ombrello utilizzato come arma dalla p.o., c) istando per la derubricazione del contestato reato omicidiario in quello di lesioni gravissime e d) richiedendo sia il riconoscimento delle attenuanti generiche, sia la riduzione della pena inflittagli.

Avverso la stessa sentenza proponeva appello, altresì, il rappresentante della pubblica accusa, il quale lamentava l’erronea esclusione dell’aggravante del nesso teleologico di cui all’art. 61 c.p., n. 2 c.p. (contestata con la contravvenzione per il porto di coltello) e l’esiguità della sanzione irrogata, della quale chiedeva maggiore severità. 1.3 Con pronuncia del (OMISSIS) la Corte di Appello di Napoli, rigettando nel resto i gravami, accoglieva l’ultima delle richieste difensive appena elencate e per l’effetto, confermando il giudizio di colpevolezza dell’appellante e rigettando ogni altra sua richiesta, rideterminava la pena in anni sette di reclusione per il delitto e mesi uno e giorni dieci di arresto ed Euro 70,00 di ammenda per la contravvenzione.

Motivava la sentenza, la Corte distrettuale, confermando la ricostruzione degli accadimenti in linea con quanto testimoniato dalla p.o., racconto secondo cui il M. conosceva di vista il D.D., ritenuto nel paese persona poco raccomandabile e con il quale aveva avuto mesi prima dei fatti di causa un diverbio per attenzioni non gradite verso una sua nipote; aggiungeva la p.l. che qualche giorno prima dei fatti di causa era stato fatto oggetto di sputi, parolacce e gesti insultanti con la mano da parte dell’imputato, comportamento del quale aveva chiesto ragione al D. D. il (OMISSIS), ricevendo come risposta che si trattava di un equivoco e lui non diretto. A questo punto, secondo il suo racconto, mentre la p.o. si stava allontanando, avendo percepito il rumore dello sportello dell’autovettura ove si trovava l’imputato chiudersi ed essendosi per questo girato, aveva visto il D. D. il quale, con un coltello in mano, lo stava aggredendo. Si era difeso per questo con un braccio, senza evitare però di essere più volte colpito.

Sulla base di siffatta ricostruzione degli accadimenti, la Corte rilevava l’infondatezza della tesi difensiva della legittima difesa putativa, perchè smentito dalle acquisizioni processuali sia il racconto secondo cui il D.D. sarebbe stato aggredito dalla p.o., la quale avrebbe iniziato a dare ombrellate contro la sua macchina, sia che, uscito da questa e rilevata la persistenza del M. nel suo intento aggressivo con il mezzo dell’ombrello, l’imputato si era armato del coltello che teneva con sè nell’autovettura per difendersi.

Assumeva la Corte territoriale la non credibilità di una aggressione con il mezzo dell’ombrello, posto che nessuna lesione è stata riscontrata sul corpo del D.D., nessun danneggiamento sull’autovettura del D.D. risulta accertato come riferibile alla punta di un ombrello e posto che, viceversa, le lesioni accertate a carico della p.l. confermerebbero la versione della p.o..

Quanto alla qualificazione della condotta, rilevava il giudice di merito che l’animus necandi era deducibile dall’arma utilizzata, dalle modalità dell’azione e dalle ferite cagionate in parti vitali del corpo della vittima, la quale nello specifico ha evitato l’evento esiziale per il pronto intervento chirurgico praticato e che nella fattispecie il dolo omicidiario era di natura diretta, quanto meno nelle forme giurisprudenzialmente note del dolo alternativo. La Corte di merito infine, in riforma sul punto della pronuncia di prime cure, concedeva all’imputato le circostanze attenuanti generiche, tenendo peraltro conto delle osservazioni del P.G. nella determinazione della pena, che fissava nei termini già innanzi precisati.

2. Ricorre per cassazione avverso la sentenza di secondo grado il D. D., assistito dal difensore di fiducia.

Si duole la difesa ricorrente della credibilità riconosciuta dai giudici di merito al narrato della p.o. nonostante le discrasie e le contraddizioni di esso, nonchè l’acredine del M. verso l’imputato e nonostante la parte lesa abbia riconosciuto in dibattimento di aver colpito con una ombrellata l’avversario, non riuscendo poi a ricostruire con precisione la sua posizione al momento del ferimento.

Sottolinea poi la difesa istante che:

il C.T. del P.M. ha riferito di una sola coltellata, che avrebbe sfiorato il gomito ed attinto poi il corpo della vittima, con ciò mettendo in luce una ulteriore contraddizione del racconto offerto da quest’ultima;

le tracce di sangue rinvenute sulla maniglia dello sportello sinistro dell’auto dimostrano inequivocabilmente che la p.o. si trovava vicino all’autovettura quanto l’imputato si difendeva uscendo da essa;

di qui le insanabili discrasie del racconto offerto dal M. e la veridicità della versione offerta dall’imputato a giustificazione della tesi della legittima difesa quanto meno putativa;

la Corte territoriale avrebbe omesso ogni motivazione su punti decisivi dell’impugnazione, come quello relativo all’unicità del colpo inferto dall’imputato secondo conclusioni del CT;

la unicità o la molteplicità dei colpi ha rilevanza decisiva ai fini della sintomaticità della condotta per dedurre il dolo omicidiario o meno e rileva altresì ai fini della tesi difensiva della legittima difesa;

altra omissione motivazionale è quella riferibile alla persona rimasta ignota e che, per la p.o., si sarebbe intromessa per fermare la mano omicida del D.D.;

anche il rigetto della istanza difensiva volta alla rinnovazione del dibattimento si appalesa illegittima perchè, se riscontrati i segni di danneggiamento con l’ombrello sull’auto dell’imputato, sarebbe emerso un’altra circostanza confermativa del racconto reso dall’imputato;

la pena inflitta appare inadeguata in relazione alle riconosciute attenuanti generiche, considerata la circostanza che la pena principale è rimasta identica a quella inflitta in prime cure.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1 Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Di qui il conseguente corollario, anch’esso oggetto di reiterato insegnamento di questa Corte, secondo il quale ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo). Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata. In tali termini va inquadrata la critica difensiva al narrato della p.o. al fine di valorizzare quello dell’imputato, posto che adeguatamente ha la Corte territoriale posto in rilievo l’inverosimiglianza della versione del D.D., sottolineando che nessun danneggiamento è stato accertato sulla vecchia autovettura dell’imputato riferibile alla punta di un ombrello, che non può considerarsi una aggressione determinante pericolo grave quella effettuata con un ombrello e che, infine, nessuna lesione è stata riscontrata sulla persona dell’imputato.

Nè ha mancato il giudice di secondo grado, dovendosi con ciò smentire l’assunto difensivo illustrato in questa sede di legittimità, di richiamare la deposizione sia della C.T., sia della dott.ssa del pronto soccorso che prestò le prime cure alla parte offesa, secondo le quali le ferite sul braccio sinistro sono più d’una e non di striscio, ma tre.

Di qui la conferma di quanto correttamente argomentato dai giudicanti di merito in ordine ai dati sintomatici dai quali dedurre il dolo omicidiario nelle forme del dolo alternativo (coltello utilizzato con lama di circa 20 cm, parti vitali del corpo attinte, numero dei colpi inferti, gravità e natura micidiale delle lesioni cagionate, evento morte scongiurato per il pronto intervento sanitario e per l’intervento chirurgico prontamente apprestato). Di qui, anche, l’irrilevanza delle denunciate omissioni motivazionali, per un verso insussistenti (i rilievi sui colpi portati dall’aggressore; l’assenza di danneggiamento sull’autovettura accertata fotograficamente) per altro verso non decisive ai fini della decisione (il mancato riconoscimento della persona che avrebbe fermato l’aggressione).

Quanto, infine, alle censure circa il trattamento sanzionatorio, osserva il Collegio che la Corte di merito ha tenuto doverosamente presenti le censure contenute nell’impugnazione del rappresentante della pubblica accusa, che della ritenuta mitezza della pena era doluto con specifico motivo di appello, di poi bilanciando queste con il riconoscimento in favore dell’imputato delle circostanze attenuanti generiche.

A parte ciò, in tema di determinazione della misura della pena, secondo consolidatissimo principio giurisprudenziale, il giudice del merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 c.p., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula una analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto.

4. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile ed alla declaratoria di inammissibilità consegue sia la condanna al pagamento delle spese del procedimento, sia quella al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo determinare in Euro 1000,00.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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