Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43719 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.C. ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte di appello di Reggio Calabria, datata 5.11.2010/1.2.2011, che, a conferma della pregressa decisione del gup del tribunale di Locri in data 6.5.2010, ribadiva la condanna , in abbreviato, alla pena della reclusione di anni tre e mesi otto per i delitti in continuazione di lesioni aggravate dall’uso delle armi e di porto abusivo di pistola, nonchè del delitto, non in continuazione con precedenti, di detenzione abusiva di una pistola cal. 38, deducendo quattro ragioni di doglianza: carenza di motivazione in ordine alla denegata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 2, ancora della attenuante di cui alla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 5, dell’attenuante di cui all’art. 62 bis c.p., in ordine, infine, alla ritenuta congruità della pena come inflitta dal primo giudice.

Nessuna delle quattro merita accoglimento: non la prima, per avere i giudici di merito sottolineato la mancanza di un fatto ingiusto condizionante la reazione sorretta peraltro, più che da uno stato di ira, da un sentimento di rancore e di ritorsione innescato da una pregressa lite per futili motivi tra il proprio figlio, C. e L.V.. In particolare i giudici di merito hanno sottolineato che l’imputato, informato della lite dal figlio rientrato in casa, si recava verso l’abitazione del L., bussava con decisione alla porta che gli veniva aperta dal fratello di V., P., che, dopo aver tentato di calmarlo, lo spingeva fuori dell’immobile, scatenando la reazione dell’imputato che estratta la pistola, esplodeva due colpi di una pistola presumibilmente di cal. 38, il primo dei quali attingeva al ginocchio la persona offesa, L.P., il secondo la porta che quest’ ultimo prontamente riusciva a chiudere evitando l’introduzione abusiva dello sparatore. Ne consegue che la circostanza attenuante della provocazione non può essere riconosciuta in favore di chi abbia a sua volta provocato con il proprio pregresso comportamento la reazione della persona offesa del reato.

Non la seconda, per avere i giudici di merito sottolineato la gravità della condotta dell’imputato che ha esploso colpi di pistola nella direzione della persona offesa, attingendola al ginocchio e che successivamente ha nascosto la pistola evitando che fosse recuperata dalle forze dell’ordine. Ora è noto, per giurisprudenza pacifica, che in tema di reati concernenti le armi, ai fini del riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto, è demandata al giudice di merito una duplice e successiva indagine, consistente, in via primaria, nella verifica della possibilità di concessione dell’attenuante in questione in relazione ai connotati soggettivi e oggettivi che caratterizzano il porto e la detenzione delle armi stesse, e in via successiva (all’esito positivo della prima verifica), nell’accertamento della sussistenza della circostanza oggettiva della quantità e potenzialità delle armi (Sez. 1, 17.6/15.7.2010, Rabbia Rv. 247716). Può aggiungesi,poi, alle considerazioni giudiziali, che l’avere impedito alle forze dell’ordine il sequestro dell’arma con il nasconderla, ha impedito anche di valutarne le caratteristiche e l’eventuale abrasione del numero di matricola. Ed ancora costituisce giurisprudenza di questa Corte il principio alla cui stregua, in tema di reati concernenti le armi, la clandestinità costituisce una "qualità" dell’arma tale da attribuirle una particolare pericolosità per l’ordine pubblico, attesa l’impossibilità di risalire alla sua provenienza, alle sue modalità di acquisizione, ai suoi trasferimenti: ne consegue che la diminuente del fatto di lieve entità, specificamente prevista dalla L. 2 ottobre 1967, n. 895, art. 5, non è applicabile in relazione alle armi clandestine (Sez. 1, 6.3/8.4.2008, Vespa,Rv 239905).

4- Il diniego delle attenuanti generiche e la conferma della pena inflitta dei giudici di primo grado sfuggono alle critiche difensive nella misura in cui svolgono il tentativo di indurre il giudice di legittimità a valutazioni di merito, una volta che questi ha sottolineato la gravità del comportamento delittuoso dell’imputato che ha esploso colpi di arma da fuoco in seguito ad una lite tra ragazzi e per giunta contro persona che a quella lite non aveva partecipato, che poi non ha fornito alcuna notizia in merito alla provenienza dell’arma ed alla sua attuale collocazione. In proposito è noto che la circostanza comune di cui all’art. 62 bis c.p., come la determinazione dell’entità della pena resta interamente affidata al potere discrezionale del giudice di merito, al fine di adeguare la pena alla concreta entità del fatto ed alla personalità del reo, qualora lo stesso giudice ritenga l’esistenza di circostanze diverse da quelle previste da altre disposizioni attenuatrici della pena, che rendano l’imputato meritevole di clemenza. Ne consegue che il dovere di motivazione sulla ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e per la determinazione della pena è adempiuto dal giudice ove, con una pur sintetica espressione, dia dimostrazione di avere valutato la gravità del fatto, che è uno degli indici normativi per la determinazione del trattamento sanzionatorio. E nel caso di specie i giudici di merito hanno motivato a sufficienza, con riferimenti specifici a modalità della condotta, al pericolo cagionato alla persona offesa, alla intensità del dolo, per far emergere in misura sufficiente la loro valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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