Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43718

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il (OMISSIS), verso le ore 7,40, lungo una via centrale di (OMISSIS), S.R. guidava la sua FIAT 500 con a bordo la figlia (OMISSIS) V.M.. Secondo la ricostruzione degli accadimenti fatta propria dai giudici di merito in entrambi i gradi di giudizio, ricostruzione difensivamente contestata quanto al ruolo effettivo tenuto dall’imputato ricorrente, P.P., questi, al sopraggiungere della predetta autovettura, si poneva ad essa davanti, costringendo la guidatrice a fermarsi, mentre, in quel frangente, il fratello P.M. iniziava a colpire con una spranga di ferro (per la precisione un tubolare in ferro utilizzato nell’edilizia per l’allestimento di ponteggi) l’automezzo, danneggiandolo seriamente e mandando in frantumi i vetri. Per sottrarsi all’aggressione la S. tentava di allontanarsi manovrando lentamente l’autovettura, che però si spense, ragione per la quale madre e figlia uscirono dall’abitacolo tentando la fuga liberatoria, tentativo frustrato dall’inseguimento immediato dei due fratelli, uno dei quali, P.M., con lo stessa mazza di ferro già prima utilizzata contro la FIAT 500, iniziò a colpire sia la S., attinta ad un braccio, al sedere ed alle spalle, sia la piccola M., colpita due volte alla testa ed una al braccio proteso a difesa, accompagnando la sua violenta condotta con minacce di morte ed insulti volgari.

In tali frangenti P.P. avrebbe istigato con frasi violente il fratello, sia proferendo analoghe minacce di morte verso l’intero nucleo familiare delle pp.oo., sia insultando pesantemente la S..

Posto termine all’aggressione per l’intervento dei numerosi, casuali presenti, la piccola M. veniva trasportata in elicottero presso un centro neurologico, essendole stato diagnosticato trauma cranico con riserva di prognosi (in particolare il referto medico attestò:

ematoma sottodurale in sede temporale con rima di frattura).

2. A carico dei due fratelli, poi giudicati separatamente, veniva contestato, in concorso, il reato di tentato omicidio in danno della S. e della figlia minore ( artt. 56, 81, 110 e 575 c.p.) il reato di danneggiamento aggravato dell’autovettura sulla quale viaggiavano le pp.ll. ( artt. 110 e 635 c.p.) ed il porto ingiustificato fuori della propria abitazione del tubo di ferro ( L. n. 110 del 1975, art. 4) ed il Tribunale di Vibo Valentia, con sentenza resa il 3 giugno 2009, dichiarava P.P. colpevole dei reati ascrittigli, uniti dal vincolo della continuazione, e con la concessione delle attenuanti generiche ritenute prevalenti sulla contestata recidiva ed unificati i reati a mente dell’art. 81 c.p., lo condannava alla pena di anni sei di reclusione.

3. Avverso la sentenza di prime cure proponeva appello l’imputato e la Corte distrettuale di Catanzaro, qualificato il reato più grave in quello di lesioni volontarie aggravate, in riforma della sentenza impugnata rideterminava la pena a carico del P. in anni due di reclusione.

A sostegno della decisione il giudice di appello deduceva:

– il racconto delle parti lese reso nel corso del dibattimento di primo grado era sincero, verosimile e pienamente attendibile;

– da esso si deduce che la condotta dell’imputato fu quella di bloccare l’auto, di inseguire con il fratello l’auto che tentava di superare l’ostacolo improvviso e di istigare quindi alla violenza il fratello, impegnato nel danneggiamento dell’autovettura prima e nell’aggressione fisica delle pp.ll. dopo;

– la consulenza del medico legale, CT nominato dal P.M. secondo cui la FIAT 500 sarebbe stata bloccata da altra autovettura dalla quale sarebbe poi sceso un uomo che con un tubo di ferro dette corso all’aggressione, non può essere assunto a fonte di prova;

– essa consulenza, infatti, ha argomentato su circostanze escluse dal campo di indagine assegnatogli dal magistrato, indica conclusioni prive di sostegno logico e probatorio ed è in palese contrasto con i dati certi forniti dalle pp.ll. e dalle altre risultanze istruttorie acquisite al processo;

– i testi a discarico, attraverso i quali la difesa dell’imputato ha sostenuto la tesi della totale estraneità del P.P. all’aggressione ed al danneggiamento, non hanno peso decisivo ai fini della decisione;

– la teste Ma., sentita ai sensi dell’art. 210 c.p.p., è teste palesemente non credibile, sia per i legami affettivi con gli imputati, sia per le discrepanze delle sue dichiarazioni (dapprima ebbe a dichiarare che nulla aveva visto ed in seguito ha dato una versione degli accadimenti favorevole alla difesa);

– la teste C. per sua stessa ammissione ha dichiarato di aver appuntato la sua attenzione sull’aggressione materiale, per riparare poi in una pasticceria in preda a forte sentimento di paura;

– i testi L.B. e G. nulla hanno riferito di rilevante ai fini di causa;

– ciò premesso la condotta di P.P. è giuridicamente qualificabile come concorso materiale e morale;

– la sua condotta va però qualificata diversamente da quanto affermato dai giudici di prime cure, come peraltro concluso dalla Corte di Appello di Catanzaro in sede di pronuncia della sentenza a carico di P.M., sentenza pronunciata il 20 maggio 2009, in seguito alla quale quest’ultimo è stato condannato per il reato di lesioni aggravate in seguito alla riqualificazione in tali termini della sua condotta, originariamente contestatagli a mente degli artt. 56 e 575 c.p.;

– non v’è prova sufficiente che P.M. abbia agito con volontà omicidiaria, sia perchè i colpi non furono impressi con la forza necessaria per cagionare lesioni mortali; sia perchè le parti attinte del corpo della S. attinte non erano vitali, sia perchè le lesioni provocate alla minore furono di lieve entità (trauma cranico di lieve entità secondo il CT del P.M.), sia perchè i colpi portati al capo della piccola M. non furono pesanti e comunque idonei a cagionarne la morte.

4. Ricorrono per cassazione chiedendo l’annullamento, in varia misura, della sentenza di secondo grado, sia il rappresentante della pubblica accusa sia l’imputato.

4.1 Il Procuratore Generale di Catanzaro. in particolare, denuncia difetto e contraddittorietà della motivazione, osservando che: la idoneità della condotta omicidiaria non deve collegarsi al concreto esito della condotta medesima, giacchè in tal caso l’azione sarebbe sempre inidonea nella ipotesi del tentato omicidio;

nello specifico, viceversa, al fine di valutare se nel caso specifico l’agente sia stato o meno animato dalla volontà di uccidere, occorre fare riferimento, secondo insegnamento del giudice di legittimità, ai dati sintomatici offerti dalla concreta fattispecie eppertanto alla durata ed alla entità dell’aggressione, alla parte del corpo colpita, alla micidialità del mezzo utilizzato;

la Corte di merito ha ignorato i riferiti elementi sintomatici attraverso i quali dedurre la sussistenza o meno del dolo omicidiario;

la Corte ha svilito la circostanza che la piccola M. sia stata colpita alla testa, ha sostenuto apoditticamente che la forza impressa ai colpi portati contro la minore non fu notevole e questo perchè non impugnata l’arma impropria con due mani ma con una mano soltanto, che anche i colpi ai vetri dell’autovettura verosimilmente fecero scoppiare il materiale vetroso non già per la forza dei colpi, ma perchè il vetro, se colpito debolmente anche in un solo punto, può andare in mille frantumi;

la Corte entra in contraddizione quando, dopo aver svilito la violenza dell’aggressione per cui è causa, ai fini della determinazione della pena riconosce la gravità delle modalità esecutive utilizzate dall’aggressore e l’allarme sociale destato dalla condotta giudicata, consumata in pieno centro urbano, alla presenza di molte persone, in danno di due donne delle quali una di età minore;

la Corte, infine, imputa alle pp.ll. il deficit probatorio in ordine al movente dell’aggressione, rimasto sconosciuto, e valorizza illogicamente la finalità aggressiva in danno della madre per escludere la gravità di quella realmente portata in danno della figlia minore.

4.2. Anche l’imputato, come detto, propone impugnazione di legittimità, assistito in questo dal difensore di fiducia, il quale a tal fine illustra quattro motivi di ricorso.

4.2.1 Denuncia con il primo di essi la difesa ricorrente violazione di legge in relazione alla disciplina normativa in materia di concorso nel reato, in particolare osservando che:

– l’azione del fratello dell’imputato fu dettata certamente da impeto ed estemporaneità;

– di qui la non confìgurabilità di un apporto morale dell’imputato ad una condotta decisa improvvisamente ed estemporaneamente;

– anche se non istigato è indubbio che P.M. avrebbe consumato la sua aggressione;

– di qui la conclusine secondo cui non può ritenersi penalmente rilevante il contributo che non sia stato apprezzabilmente determinante sul piano materiale e psicologico del fatto costituente reato.

4.2.2. Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente la inosservanza di una norma processuale, l’art. 526 c.p.p., comma 1, stabilita a pena di nullità, in particolare deducendo che:

– sia in prime cure che nel giudizio di appello i giudici di merito hanno travisato le prove testimoniali a discarico, riducendone immotivatamente la portata oggettiva, segnata dalla circostanza processuale che in esse non compare mai un apporto apprezzabile dell’imputato alla condotta del fratello M.;

– la Corte svilisce le testimonianze in parola con l’argomento che i testi avrebbero avuto l’attenzione attratta sull’esecutore materiale della condotta aggressiva e non avrebbero per questo posto attenzione a quella dell’imputato ricorrente;

– immotivatamente poi la Corte di merito avrebbe dichiarato non credibile Ma.Ti., convivente con P.M., non considerando la sua facoltà di non dire la verità e solo perchè avrebbe reso in dibattimento dichiarazioni su fatti che, inizialmente, in sede di prime indagini, avrebbe negato di aver visto;

– la teste in realtà, pur facultata a non deporre contro il convivente, ha poi dichiarato in seguito alla decisione del compagno di rendere confessione;

– del pari immotivata si appalesa la valutazione di genericità espressa in ordine all’ultimo testimone a discarico escusso in dibattimento.

4.2.3 Lamenta ancora la difesa ricorrente, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), la mancata assunzione del confronto richiesto dalla difesa tra S.R. e la figlia M. al fine di redimere le divergenze tra i narrati resi dalla S. stessa nell’immediatezza dei fatti (non avendo in tale circostanza nulla riferito a carico di P.P.) ed in dibattimento;

– il confronto era reso necessario dalla decisività delle circostanze dedotte e dalla deposizione della CT del P.M., la quale aveva fornito una ricostruzione dei fatti del tutto diversa da quella accreditata in forza delle testimonianze delle pp.ll.;

– la Corte ha svilito le conclusioni della consulente in favore delle confidenze delle persone offese ricevute in ospedale da un funzionario di Polizia, confidenze divenute dichiarazioni processuali e poste, da sole, a fondamento del giudizio di colpevolezza;

– le dichiarazioni delle pp.ll., indiscutibilmente interessate, non hanno riscontro processuale e sono contraddette dalla confessione resa da P.M., che ha esplicitamente escluso ogni coinvolgimento del fratello;

– le dichiarazioni delle pp.ll. non hanno coerenza interna (perchè contrastanti per quanto riguarda le prime dichiarazioni della S.) e non hanno coerenza esterna perchè contraddette da quelle dei due fratelli P. e dalle testimonianze a discarico.

4.2.4 Col quarto motivo di ricorso, infine, lamenta la difesa ricorrente la severità della pena inflitta, la quale, in considerazione del ruolo comunque marginale del ricorrente negli accadimenti di causa, avrebbe potuto e dovuto essere ricondotta ai minimi edittali.

5. I ricorsi sono entrambi infondati.

5.1 Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Corollario necessario del principio appena richiamato è quello, anch’esso costantemente riaffermato da questa Corte, secondo il quale ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo).

Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, sia del rappresentante della pubblica accusa, sia dell’imputato, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata.

5.2 Di merito appaiono infatti le deduzione del procuratore istante circa la valutazione dei dati sintomatici offerti dal processo e dai quali dedurre o meno l’intenzione omicida, dappoichè quelli presi in considerazione dalla parte ricorrente sono esattamente quelli altresì considerati dai giudicanti, i quali però pervengono a conclusioni e valutazioni (di merito) diametralmente opposte, ma sufficientemente argomentate con la individuazione delle parti non vitali attinte dei colpi portati a S.R. e con la non particolare forza impressa ai colpi indirizzati alla minore, dedotta – siffatta valutazione – dalle conclusioni precisate dal CT nominato dal P.M..

Del pari in fatto si appalesano le considerazioni svolte dalla difesa ricorrente in ordine alla dinamica dei fatti, considerazioni volte ad accreditare l’assenza di un contributo causale apprezzabile da parte dell’imputato e comunque la sua irrilevanza rispetto al proponimento aggressivo del fratello, che si assume estemporaneo ed improvviso (eppertanto non concordato) se solo si consideri, in contrario, come la sentenza impugnata ha posto in rilievo che P.M. fu decisivo nel frapporsi come ostacolo all’autovettura delle vittime (azione che comprova quindi un accordo con il fratello e con esso la correttezza della ipotesi concorsuale contestata) autovettura che fu per questo costretta a fermarsi, rendendo agevole l’aggressione al bene materiale e poi alle persone. E’ altresì rilevante, secondo i giudici territoriali, oltre che apprezzabile e significativo ai fini della contìgurabilità del concorso nei reati per cui è causa, la continua e verbale istigazione a colpire le vittime, imputata al ricorrente e testimoniata agli atti del processo.

5.3 Del tutto privo di fondamento è infine la tesi difensiva – di cui al secondo motivo illustrato nell’interesse del P. – circa il travisamento della prova testimoniale da parte della Corte distrettuale, sia perchè, almeno in parte, genericamente illustrata, sia perchè, là dove non aspecifica, palesemente volta a sostituire la logica lettura dei giudici territoriali con quella di parte.

5.4 Altresì non condivisibile appare il terzo motivo di censura articolato nell’interesse del P. in riferimento al mancato confronto tra madre e figlia, il quale è stato correttamente motivato attraverso la indicazione delle ragioni per le quali la madre nei primi attimi della vicenda non parlò dell’imputato, oggetto questo individuato difensivamente a sostegno della necessità del confronto, reso inutile invece proprio da dette ragioni.

La Corte di merito, inoltre, non ha valorizzato affatto le confidenze fatte in ospedale dalla vittima al poliziotto, come difensivamente sostenuto, ma ha richiamato ed utilizzato le dichiarazioni dibattimentali delle pp.ll., rese nel contraddittorio delle parti. A carico di P.P., infine, i giudicanti non si sono limitati a motivare sulla base della accuse mosse dalle due vittime dell’aggressione, comunque di per sè già sufficienti sul piano probatorio, ma hanno affermato – con tesi giuridicamente corretta – che certamente l’imputato nulla fece per fermare il fratello e che ciò integra concorso causale certo e voluto.

5.4 Rimane da valutare il quarto ed ultimo motivo di impugnazione, motivo manifestamente infondato.

Ha infatti la Corte distrettuale motivato il trattamento sanzionatorio evidenziando, nonostante la sua riqualificazione, la gravità della condotta consumata, criterio sufficiente per la esaustività della decisione sul punto, espressione tipica della discrezionalità del giudicante (Cass., Sez. Unite, 25/02/2010, n. 10713).

6. I ricorsi, vanno, in conclusione, rigettati ed il ricorrente P. condannato altresì, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi condanna P.P. al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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