Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 11-06-2012, n. 9425 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 12.12.2005/14.2.2006 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza resa dal Tribunale di Roma il 14.6,2002, impugnata da T.C., dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato fra il predetto e le Poste Italiane per il periodo 1.6.1999/30.10.1999, ai sensi dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994, "per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi ed in attesa del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane"; contratto che aveva fatto seguito ad altro stipulato, per la stessa causale, con riferimento al periodo 17.3.1998/30.4.1998, prorogato di giorni trenta.

Osservava in sintesi la corte territoriale che, trattandosi di contratto stipulato successivamente al 30.4.1998, si doveva ritenere che gli accordi sindacali intervenuti successivamente all’accordo del 25.9.1997 non fossero meramente ricognitivi del perdurare delle esigenze legittimanti le assunzioni a tempo determinato, ma erano piuttosto volti a stabilire precisi limiti di scadenza all’autorizzazione alla stipulazione di contratti a tempo determinato, con la conseguenza che era inibito alle parti di autorizzare retroattivamente, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, la stipulazione di contratti a termine non più legittimati per effetto della durata in precedenza stabilita.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con due motivi. Resiste con controricorso, illustrato con memorie, T.C., il quale ha anche proposto ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso principale la società ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 425 c.p.c. e dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle già stabilite dall’ordinamento, poteva essere esercitato senza limiti di tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, con la conseguenza che agli accordi c.d. attuativi del contratto del 25.9.1997 non poteva che riconoscersi una funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessità di stipulare ulteriori contratti a termine.

Con il secondo motivo la società ricorrente censura la sentenza impugnata, prospettando violazione degli artt. 1217e 1233 c.c., per aver omesso di verificare se vi fosse stata effettiva costituzione in mora da parte della lavoratrice e per aver, comunque, omesso di accertare, ai fini dell’entità del risarcimento, se e in che misura la stessa avesse svolto attività lavorativa successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro a termine, potendo essere l’aliunde perceptum sol genericamente dedotto dal datore di lavoro.

2. Col primo motivo del ricorso incidentale l’intimato prospetta violazione degli artt. 112, 114 e 432 c.p.c. e artt. 1218, 1219 e 1227 c.c., nonchè vizio di motivazione, rilevando che erroneamente la corte territoriale aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nei limiti del triennio successivo alla cessazione del rapporto a termine.

Con il secondo motivo prospetta violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 2 e 3 e della L. n. 56 del 1987, art. 23, rilevando che erroneamente la corte territoriale aveva ritenuto la legittimità della proroga del primo contratto, sebbene nelle giustificazioni fornite dal datore di lavoro non fossero all’evidenza ravvisabili le esigenze contingenti ed imprevedibili a tal fine richieste dalla legge.

3. I ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

4. Va preliminarmente dichiarata la inammissibilità della costituzione, quale nuovo procuratore della società ricorrente, dell’avvocato Rossana Clavelli, fermo restando la permanente validità della costituzione del precedente difensore. Deve, infatti, ribadirsi che (nel regime anteriore alla L. n. 69 del 2009) "la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, poichè l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’elencare gli atti in margine o in calce ai quali può essere apposta la procura speciale, indica con riferimento al giudizio di cassazione soltanto quelli sopra individuati; ne consegue che se la procura non è rilasciata in occasione di tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal comma 2 del cit. art. 83, cioè con atto pubblico o scrittura privata autenticata, facenti riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata" (così ad es. Cass. n. 8708/2009, Cass. n. 18528/2009).

Nè, nella fattispecie, potrebbe invocarsi ratione temporis il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso e dal controricorso (come, nel caso, la memoria di nuovo difensore in aggiunta o in sostituzione del difensore originariamente designato), in quanto lo stesso si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45 (4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine o in calce al ricorso o al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2 (v. da ultimo Cass. n. 4476/2012).

5. Con riferimento al primo motivo del ricorso principale ed al secondo motivo di quello incidentale, vanno, quindi, ribaditi i principi, ormai acquisiti, che questa Suprema Corte ha affermato con riferimento alla disciplina dell’istituto nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001.

Questa Corte ha, infatti, affermato, sulla scia di Cass. S.U. n. 4588/2006, che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. n. 21063/2008,v. anche Cass. n. 9245/2006, Cass. n. 4862/2005, Cass. n. 14011/2004). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. n. 21062/2008, Cass. n. 18378/2006).

In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. n. 18383/2006, Cass. n. 7745/2005, Cass. n. 2866/2004). In particolare, come questa Corte ha più volte rilevato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. n. 20608/2007, Cass. n. 7979/2008, e da ultimo ad es. Cass. n. 6294/2011; Cass. n. 7502/2011).

Quanto, poi, alla legittimità della proroga del contratto stipulato fra le parti, va rilevato che, in casi analoghi (v. fra le altre Cass. n. 19696/2007), questa Corte ha reiteratamente confermato la legittimità della proroga dei rapporti di lavoro a termine in scadenza al 30-4-1998, sulla base della sussistenza, riconosciuta in sede collettiva (accordo del 27-4-1998), delle esigenze contingenti ed imprevedibili richieste dalla legge e connesse con i ritardi che avevano inciso negativamente sul programma di ristrutturazione.

In base agli esposti criteri interpretativi, ormai consolidati, ed al valore dei relativi precedenti, devono, quindi, rigettarsi tanto il primo motivo del ricorso principale che il secondo di quello incidentale.

6. Riguardo al secondo motivo del ricorso principale, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens, (nel caso i nuovi criteri di determinazione del danno, introdotti dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6), che la nuova disciplina del rapporto controverso sia pertinente alle censure formulate col ricorso, tenuto conto della natura del giudizio di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi del ricorso (cfr.

Cass. n. 10547/2006).

In tal contesto, è necessario che il motivo del ricorso, che investa, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia, altresì, ammissibile, secondo la disciplina sua propria. In particolare, con riferimento alla disciplina invocata, la necessaria sussistenza della questione ad essa pertinente presuppone, nel giudizio di cassazione, che i motivi del ricorso investano specificatamente le conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine, che non siano tardivi, generici, o affetti da altra causa di inammissibilità, ivi compresa la mancata osservanza del precetto dell’art. 366 bis c.p.c., ove applicabile ratione temporis.

In caso di assenza o inammissibilità di una censura in ordine alle conseguenze economiche della clausola di durata, illegittimamente apposta, il rigetto per tali cause dei motivi non può, quindi, che determinare la stabilità e irrevocabilità delle statuizioni di merito contestate.

Premessi tali principi, è da rilevare che la società ricorrente contesta che la corte di merito ha, da un lato, omesso ogni verifica circa la sussistenza di un idoneo atto di messa in mora da parte della lavoratrice, dall’altro che non ha preso in considerazione l’eccezione di aliunde perceptum, pur genericamente dedotto. Non si può non considerare, tuttavia, che la corte romana ha nel caso accertato che la costituzione in mora del datore di lavoro era stata operata con l’istanza per il tentativo obbligatorio di conciliazione (nella quale si rinvenivano "espressioni atte a rivelare la volontà del lavoratore di essere ripreso in servizio") e su tale presupposto ha determinato il danno risarcibile.

A fronte di tale accertamento era, pertanto, onere della società ricorrente documentare, con la trascrizione dell’atto di messa in mora, oltre che delle difese e richieste svolte in punto di aliunde perceptum, l’erronea valutazione delle risultanze di causa, per come richiesto dal principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, che, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, impone alla parte che denuncia, in sede di legittimità, il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie e processuali, l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento o delle risultanze trascurati o erroneamente interpretati dal giudice di merito, provvedendo alla relativa trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse, dato che questo controllo, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere compiuto dalla corte di cassazione sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (v. ad es. per tutte Cass. n. 10913/1998; Cass. n. 12362/2006; Cass. n. 18375/2010).

Ne deriva, in difetto, l’inammissibilità delle censure svolte col secondo motivo del ricorso principale.

7. Non meritevole di accoglimento è anche il primo motivo del ricorso incidentale, che deve ritenersi infondato alla luce dello ius superveniens, il quale ha delimitato il danno risarcibile a seguito della pronuncia di nullità del termine in una misura inferiore a quella nel caso stabilita dai giudici di merito, e che non potrebbe eccedere quest’ultima, fosse o meno tale statuizione corretta alla luce della disciplina previgente e fermo restando la sua immodificabilità per effetto del divieto di reformatio in peius.

8. Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.

Spese compensate, stante la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2012

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