Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43716

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte d’assise d’appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado e in accoglimento degli appelli del P.M. e delle parti civili, riteneva M.V. e M.S. colpevoli del triplice omicidio ai danni di C.A., C.L. e T.M. avvenuto mediante taglio della gola e colpi di arma da fuoco al capo, ed escluse le aggravanti contestate, tranne quella della crudeltà, li condannava alla pena dell’ergastolo.

Il fatto si era verificato il (OMISSIS) nell’abitazione di (OMISSIS) della famiglia C. durante la mattina e le indagini si erano rivolte verso il mondo degli affari della vittima, definiti illeciti in quanto aventi a oggetto un giro di false fatturazioni tra società riferibili a C. e, tra le altre, società aventi sede in (OMISSIS) facenti capo a tale M.V..

Il giudizio di appello aveva inizio con la decisione di considerare il materiale probatorio acquisito in primo grado del tutto sufficiente a giungere a una decisione e respingendo ogni richiesta di rinnovazione del dibattimento.

In primo luogo la Corte affrontava il problema dell’ora della morte delle tre vittime, considerato elemento fondamentale visto che, essendo ancora vivo C.A. al momento della scoperta delle vittime, avvenuta verso le 13,40 della mattina, se il fatto si fosse verificate in un orario prossimo a questo, gli attuali imputati sarebbero stati scagionati, in quanto intorno alle ore 11 si trovavano certamente a (OMISSIS), in realtà osservava la Corte, in accordo con quella di primo grado, che a deporre per il fatto che l’evento si fosse verificato verso le 9 della mattina vi era la circostanza che nessuno dei componenti della famiglia aveva acceso i cellulari, contrariamente al solito, le finestre del primo piano erano rimaste chiuse, nessuno aveva risposto al telefono dalle 9,30 in poi. Inoltre alle 8,30 della mattina la T. aveva risposto al citofono e aveva detto alla donna di servizio, senza alcuna logica spiegazione, che non poteva quel giorno lavorare perchè vi era stato un cambiamento di programma; infine un teste aveva visto uscire dall’abitazione dei C. tre uomini verso le 9,15. In cucina era stata rinvenuta solo una tazza, probabilmente di thè, bevanda che solitamente beveva il C. e nulla d’altro. La circostanza che nonostante il taglio della gola la vittima fosse ancora viva, a differenza dei suoi familiari, dopo tante ore, era dovuta al fatto che non vi era stato il taglio della vena giugulare, circostanza accertata mediante esame autoptico, ragion per cui non era necessario alcun ulteriore approfondimento.

In secondo luogo la Corte affrontava il problema della credibilità soggettiva di G.D., accusato del medesimo reato, assolto dal GUP per mancanza di prove certe della sua partecipazione al delitto, con processo pendente in appello, che aveva reso dichiarazioni accusatorie nei confronti dei due odierni imputati.

Costui era stato identificato come il proprietario dell’utenza telefonica (OMISSIS) che aveva avuto contatti con C. nei giorni antecedenti il fatto e, dopo un congruo periodo di meditazione, aveva reso dichiarazioni accusatorie contro i due imputati. Si trattava di un individuo che viveva di espedienti, un faccendiere in contatto con vari mondi della malavita, tra i quali anche i M.. Aveva reso dichiarazioni palesemente false e altre riscontrabili per cui affermava la Corte che dovesse procedersi alla valutazione della sua credibilità soggettiva, non con riferimento al suo passato ma con riferimento alla condotta tenuta nel presente processo. La sentenza di primo grado aveva invece escluso la sua credibilità proprio per il suo passato e per la presenza di circostanze non veritiere nel suo racconto, nonchè sulla base del sospetto che avesse conosciuto dei fatti per averli appresi dalla polizia e dai giornali.

La Corte territoriale partiva nella sua analisi dalla verifica della sussistenza di riscontri alla affermazione del dichiarante di essere stato presente al momento del triplice omicidio e riteneva di dover discostarsi dalla decisione di primo grado, in quanto vi erano prove della sua effettiva presenza sul luogo del fatto, in virtù dei seguenti elementi:

– G. era stato a (OMISSIS) solo insieme a M. il giorno (OMISSIS), e mai in precedenza; in tale giorno aveva fatto un viaggio veloce, come testimoniato dagli orari di ingresso e uscita dall’autostrada e dai tabulati telefonici che lo collocavano nei pressi dell’abitazione di C. che lui non conosceva e col quale non aveva mai avuto rapporti;

– vi era certamente stato la sera del (OMISSIS) perchè da quella zona era stata fatta la telefonata col suo cellulare al numero di ricerca degli utenti telefonici per avere il numero di C.;

– aveva memorizzato il percorso tanto da poter condurre i militari sul luogo il mese dopo durante le indagini;

era stato in grado di fornire una descrizione vera e specifica del piano terra dell’abitazione di C., mai vista prima e con dettagli mai riferiti dalla stampa, affermazione provata da un rigoroso controllo su tutti gli articoli apparsi sull’argomento;

– aveva indicato il luogo dove aveva parcheggiato l’auto, un parcheggio per disabili effettivamente presente davanti all’abitazione di C., e aveva riferito che C. aveva risposto al campanello, non col citofono, ma affacciandosi alla finestra del piano terra che infatti sarà poi trovata aperta, attraverso la quale erano entrati in casa i soccorritori;

– aveva riferito che gli autori del crimine avevano usato guanti di plastica zigrinati e che poi avevano pulito ogni superficie che avevano eventualmente toccato, prima di indossare i guanti, circostanza risultata vera dalle tracce ritrovate delle zigrinature;

aveva poi riferito il particolare importante dello smontaggio dei pannelli della vasca di idromassaggio alla ricerca di denaro, circostanza veritiera e mai riferita da alcun giornale;

– aveva riferito che l’arma era col silenziatore, circostanza confermata dal fatto che nessuno dei vicini aveva udito colpi provenire dall’abitazione.

Concludeva la Corte che da tali elementi era possibile ricavare la prova dell’effettiva presenza del G. sulla scena del crimine e quindi, a differenza di quanto affermato dal primo giudice, era da questo dato che si doveva partire per verificare la sua credibilità soggettiva e la sua attendibilità; infatti, pur avendo reso anche dichiarazioni palesemente false, tali falsità dovevano trovare giustificazione nella ricerca spasmodica di non restare coinvolto in un simile evento, potendosi quindi procedere alla fase della valutazione frazionata della sua credibilità. La versione resa non era certo per lui conveniente, l’unico legame che lo collegava a C. era M. e il suo legame con M. era vitale, visto che costui gli forniva addirittura il denaro per mangiare.

Al di là delle sue dichiarazioni la presenza dei M. in quei giorni a (OMISSIS) era pacifica e il suo contatto con G. riscontrato dal fatto che, appena arrivati a (OMISSIS) in auto, i due cugini gli avevano telefonato, come emerso dal tabulato del suo cellulare, utilizzando una scheda prepagata trovata in possesso di M.V. al momento dell’arresto. Ne discendeva secondo la Corte che il giudizio sulla credibilità soggettiva del dichiarante era suffragata proprio da questi riscontri anche individualizzanti, mentre le circostanze riferite, non riscontrate o addirittura false, riguardavano fatti di contorno che non coinvolgevano il nucleo principale del racconto.

Sempre secondo la Corte non poteva ritenersi smentita la presenza del G. sul luogo del fatto per le dichiarazioni di alcuni testimoni che, nel descrivere le tre persone che la sera del (OMISSIS) e la mattina del (OMISSIS) si erano presentati davanti alla abitazione C., non avevano descritto un uomo con le sue fattezze e cioè alto m. 1,90 e robusto; infatti secondo la Corte i testimoni avevano riferito le loro sensazioni con riguardo a una scena che per loro non aveva in quel momento alcun interesse, anche se effettivamente avevano descritto con sufficiente precisione le altre due persone con caratteristiche fisiche identiche a quelle dei due M., forse perchè appartenenti a normotipi non comuni in quel territorio. Tutte le circostanze raccontate da G. e prive di riscontro sul suo ruolo di consulente per conto dei M. nell’incontro con C., sul suo ruolo di mero spettatore insieme ad un quarto uomo, della cui esistenza non vi era traccia, sul suo ruolo di vittima, sottoposta a costrizione nel corso della esecuzione del crimine, se false, servivano a chiamarlo fuori da ogni coinvolgimento.

La Corte esaminava poi tutte le incongruenze evidenziate dai difensori e dalla decisione di primo grado nel racconto del G. e forniva spiegazioni in merito al diverso orario del noleggio dell’auto, al luogo della ricarica del cellulare, al luogo in cui avevano fatto colazione il giorno dopo, tutte fondate sulla mera imprecisione o confusione di momenti, nonchè sulla marginalità delle circostanze.

In relazione a quanto accaduto il pomeriggio del (OMISSIS) e la sera, risultava provato dai tabulati che G. si era recato a (OMISSIS), anche se emergeva un vuoto di un paio d’ore sul quale non aveva fornito alcuna indicazione.

Osservava la Corte poi che vi era un ulteriore riscontro al racconto di G. e cioè il fatto che aveva riferito che la vittima aveva loro aperto indossando una maglietta bianca ed un paio di mutande dello stesso colore, e proprio con tali indumenti era stato rinvenuto poi in fin di vita.

Aveva poi aggiunto che aveva indossato un paio di pantaloni azzurri e anche questi erano stati rinvenuti.

La Corte osservava che l’incongruenza di tale versione con le abitudini della vittima e con le dichiarazioni di una teste che aveva escluso che fosse in mutande non sussisteva tenuto conto del fatto che C. conosceva bene i M., mentre non avrebbe ricevuto degli estranei a quell’ora della mattina, e del fatto che la teste non lo aveva visto a figura intera, ma a mezzo busto.

La Corte offriva poi una spiegazione sulle ulteriori incongruenze e cioè quelle inerenti le modalità di apertura della porta e la deposizione fornita da un teste che aveva smentito tale resoconto ed in particolare che la porta non si fosse aperta col pulsante a causa dell’umidità; quella inerente la posizione della cassaforte e il fatto che fosse coperta o meno da un quadro; quella inerente il momento in cui M. dopo l’uccisione si sarebbe tolto i guanti, cioè se fuori o dentro l’abitazione. Riteneva invece provata la falsità del riferimento al suo stato di costrizione, mancando di ciò ogni segno fisico, e alle minacce ricevute dopo il fatto da M., visto che il messaggio telefonico non proveniva da M. e i suoi contatti con l’imputato erano stati continui e del tutto cordiali, anche dopo i fatti.

Osservava che G. aveva una personalità incline alla mistificazione che si muoveva con grande abilità in un mondo illecito variegato ma che, non avendo mai avuto rapporti con la vittima nè di natura lecita nè di natura illecita, non aveva alcun motivo di farsi coinvolgere in una vicenda così grave se non fosse stato effettivamente presente.

Osservava poi la Corte che non sussisteva alcuna ipotesi alternativa alla responsabilità dei M. visto che non vi era alcuna prova di altri contatti con persone diverse da G. e dai M. o con altre persone legate comunque ai traffici illeciti di G. e che avessero però rapporti anche con C..

La Corte passava poi a individuare i riscontri oggettivi alla versione offerta da G. sulla partecipazione dei due M. alla vicenda criminosa.

Il giorno prima del fatto i due M. erano giunti dalla (OMISSIS) a (OMISSIS) insieme a bordo della loro auto ed avevano preso subito contatto con G.. Quella sera poi insieme avevano effettuato il medesimo giro a (OMISSIS) già fatto il (OMISSIS), non con l’auto che avevano a disposizione ma prendendo a noleggio un’auto diversa che sarà poi descritta, per il tipo e la marca, come presente davanti all’abitazione di C. con tre uomini a bordo. Non risultando aver preso alloggio in albergo doveva dedursi che i due avessero dormito a casa di G., e non disponendo G. di auto doveva dedursi che egli si era recato a (OMISSIS) insieme agli altri due. La descrizione di ciò che i tre uomini avevano fatto quella sera davanti alla abitazione di C., fornita da un teste, coincideva nella sostanza con il racconto fatto da G.. La sentenza operava poi una dettagliata valutazione di tutte le incongruenze rilevate nelle descrizioni sopra indicate e ne dava una spiegazione sia in relazione all’orario sia in relazione alle telefonate partite dalle utenze in uso al G.. In particolare vi era una telefonata al numero di servizio utenti nel quale una persona aveva chiesto il numero di telefono di C. chiamandolo C., e tale circostanza coincideva con lo stesso errore commesso da M.V. al momento del suo fermo, come riferito da un verbalizzante che aveva colto come costui chiamasse la vittima C.. Riteneva la Corte che tale deposizione fosse utilizzabile anche se riferita da un verbalizzante in quanto non si trattava di dichiarazioni rese dall’indagato al di fuori del formale interrogatorio, ma solo della percezione di un modo di dire che ben poteva essere riferito dai verbalizzanti e quindi ben poteva essere utilizzato.

La Corte passava ad esaminare le dichiarazioni rese dai testi sulla descrizione dei tre uomini che la sera prima e la mattina del fatto erano stati visti davanti all’abitazione di C. e concludeva per una compatibilità con la descrizione dei due M., mentre con riguardo alla terza persona descritta osservava che l’atteggiamento di G., con un andamento curvo e trasandato, poteva aver ingannato il fuggevole sguardo dei testi sulla sua altezza effettiva.

Ulteriori elementi di riscontro a carico di M.V. e S. erano costituiti dalla circostanza che avevano effettuato il viaggio dalla (OMISSIS) senza cellulari per evitare di essere individuati; la inconsistenza della versione difensiva che la venuta a (OMISSIS) era da riconnettersi alla necessità di portare documenti al commercialista F.; infatti non poteva essere valido motivo del viaggio la consegna di una gazzetta ufficiale, che ben poteva essere scaricata da internet, tanto che tale documento era stato affidato a G., proprio scaricato da internet, affinchè ne curasse la consegna al commercialista nel giorno lavorativo successivo. Nonostante avessero la disponibilità di una propria auto, ne avevano noleggiato un’altra anonima, probabilmente allo scopo di non essere identificati dalle vittime nella ricerca del contatto a sorpresa; mentre risultava non anomalo il fatto che M.V. avesse dato le sue generalità alla società di autonoleggio visto che in quel momento il suo scopo non era uccidere, ma ottenere del denaro.

La Corte valorizzava poi un altro elemento costituito dalla presenza di M.V. insieme a G. a (OMISSIS) sempre il (OMISSIS) alla ricerca di tale T., sodale di C., ricerca avvenuta sempre con le medesime modalità e sempre per ottenere del denaro così come riferito dal teste Ga., non valorizzato dal giudice di primo grado. In quella occasione Ga. aveva riferito che M.V. aveva stigmatizzato il comportamento dei due sodali che rubavano i soldi e poi andavano in vacanza.

Per quanto riguardava la posizione di M.S., la Corte osservava che G. aveva escluso la sua presenza la sera del (OMISSIS) nel tentativo di accreditare la tesi che il giorno dopo fosse presente un quarto uomo in realtà inesistente. Ne conseguiva che da un lato la descrizione fornita dai testi ben si attagliava alla sua persona, dall’altro non era vero che era andato a casa di G. a riposare, visto che non aveva le chiavi e che G. era tornato da (OMISSIS) a casa con lui, tanto che ivi aveva ricevuto una telefonata alle 16,14, e quindi se ne doveva dedurre che entrambi i cugini, legati da comunanza di affari e interessi, erano stati insieme in ambedue i giorni. Inoltre il teste Ga. aveva riferito che il giorno (OMISSIS) presente al primo sopralluogo vi era anche S.. Per il giorno 28 l’unica difesa da lui approntata era stata quella di aver dormito fino a tardi, senza specificate che G. non era presente in casa al suo risveglio, fornendo così un alibi falso.

In relazione alle prove scientifiche osservava che in questo processo non avevano portato alcun contributo in quanto gli autori del crimine avevano usato guanti e avevano avuto il tempo di pulire ogni superficie; le tracce di bario e piombo rinvenute sulla Fiat Punto, presa a noleggio, e sulla BMW non erano indicative di uso di polvere da sparo; la mancata registrazione da parte delle telecamere dell’auto presso i distributori di benzina non valeva ad escludere che il rifornimento fosse stato fatto, visto l’elevato numero di chilometri percorso; la mancata rilevazione di tracce di sangue o biologiche delle vittime sulle auto non aveva valore escludente della responsabilità visto lo stato dei luoghi e l’epoca nella quale erano stati effettuati gli accertamenti; il rinvenimento di una traccia biologica non appartenente agli imputati su una delle fascette utilizzate per legare le vittime poteva essere stata lasciata in qualsiasi momento, anche al momento dell’acquisto, e quindi non era utilizzabile come riscontro anche solo negativo, così come riferito dal perito. In relazione al movente dell’azione la Corte osservava che G. ne aveva individuati numerosi, ma ciò che era certo era che tra C. e M. vi erano stati rapporti economici non leciti e non ancora definiti, come dimostrato da intercettazioni telefoniche, e da questo era facile dedurre che lo scopo dell’incontro a sorpresa con C. doveva servire a cercare denaro contante; riscontro a tale ricerca era anche lo stato dei luoghi ed in particolare la rimozione della copertura della vasca idromassaggio dove era solito nascondere il denaro contante. Secondo la Corte la scena del crimine confermava tale ipotesi visto che certamente lo scopo della visita a sorpresa era di convincere la vittima a prestare il denaro e quindi includeva una trattativa tra persone che si conoscevano bene, mentre poi qualcosa doveva essere andato male, forse un colpo di pistola partito accidentalmente, e la situazione era degenerata in una azione di violenza inaudita volta a farsi consegnare denaro occultato da qualche parte nell’abitazione.

Per altro non vi era traccia di prove di una ordinaria rapina eseguita da estranei visto che nulla era stato sottratto dall’abitazione. Presentavano ricorso gli imputati con due atti congiunti.

Col primo atto si deduceva erronea applicazione della legge processuale sulla valutazione delle dichiarazioni di G. e mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione intera della sentenza di secondo grado che aveva proceduto alla ricostruzione dei fatti partendo da un preconcetto di responsabilità. Affrontava poi vari aspetti della decisione tutti fondati su ipotesi e quindi per ciò stesso inidonei a fondare un giudizio di responsabilità e tra questi:

– lo scopo della visita dei M. al C. era rimasta del tutto indeterminata sia perchè costui era uso prestare denaro, e quindi non si doveva torturarlo per farselo consegnare, sia perchè non vi era alcuna spiegazione del perchè la situazione era evoluta in modo così tragico, perchè si era arrivati a legare e uccidere i familiari, e quale era stato l’ordine con cui tali azioni erano state compiute;

– la condanna si fondava solo sulle accuse di G. che doveva essere ritenuto un chiamante in reità e non in correità, visto che mai aveva ammesso di aver partecipato al crimine; la sentenza di primo grado aveva ritenuto che non fosse credibile soggettivamente per la sua personalità desunta dalla sua vita anteatta e dalla particolare tendenza al mendacio e i motivi sul punto ripercorrono tutta la decisione di primo grado che aveva sospettato di una collusione del G. con la polizia giudiziaria; la sentenza di appello aveva omesso di esaminare i requisiti di tale chiamata in reità e cioè se vi fosse quello della immediatezza, reiterazione, costanza, precisione e concordanza; aveva omesso di considerare che G. era già stato a (OMISSIS) in passato ad esempio nella zona del (OMISSIS), come emerso dall’esame dei suoi tabulati, e che aveva riferito del giro del (OMISSIS) con molto ritardo;

nell’esperimento giudiziale eseguito dalla polizia giudiziaria non si comprende perchè la polizia non avesse fatto guidare G. allo scopo di poter capire se era stato in precedenza in quei luoghi e vi era contrasto sull’interpretazione del video tra i giudici di primo e di secondo grado; pur avendo G. descritto particolari della casa delle vittime non riportate dalla stampa, il ritardo con cui tali dichiarazioni erano state rese ben poteva indurre al sospetto che egli avesse potuto leggere gli atti processuali e trame delle conseguenze anche errate, come ad esempio in relazione al farmaco rinvenuto nel bicchiere, che certamente non apparteneva alle vittime;

la presenza di G. sul luogo del delitto era del tutto dubbia visto che tutti i testi non lo avevano descritto;

del racconto di G. vi erano prove evidenti di mendacio in relazione alla presenza del quarto uomo, all’ora del noleggio dell’auto, al viaggio a (OMISSIS) il pomeriggio del (OMISSIS), all’uso personale dell’utenza Romance, al passaggio presso il (OMISSIS), alla colazione la mattina del 28 agosto presso il locale (OMISSIS), alla circostanza che C. fosse andato ad aprire in mutande, alla circostanza che la porta non si aprisse per un difetto dovuto all’umidità;

come affermato dal giudice di primo grado, tenuto conto del mendacio, non era possibile ricorrere al principio della credibilità frazionata visto che G. aveva assemblato falsità a fatti veri come la presenza dei M. a (OMISSIS), il noleggio della Punto, la consulenza svolta per conto dei M., il tentativo di M. di rintracciare T. e il conflitto tra C. e tal N.; G. aveva inoltre fornito vari moventi del tutto ipotetici, esaminati dettagliatamente nella parte finale del ricorso, per ritenerli insussistenti; la sentenza di appello aveva valorizzato anche il fatto che non erano state offerte ipotesi alternative ma questo non era compito della difesa, era il giudice che doveva fondare la condanna su elementi che al di là di ogni ragionevole dubbio imponessero la condanna; esistevano però fatti in conflitto con questa unica ipotesi di accusa ed in particolare una intercettazione con soggetti diversi dai M. nella quale G. faceva riferimento al delitto, il repertamento di quattro impronte nell’abitazione appartenenti a estranei, una traccia biologica appartenente a estranei sulla fascetta che legava C., il collegamento del G. con persone serbe anche per un traffico di prostitute;

gli elementi di riscontro utilizzati dalla sentenza di appello in realtà erano infondati come per il colore della Fiat Punto che per i testi era azzurro mentre quella dei M. era grigia; il comportamento delle persone che la sera del (OMISSIS) si erano fermate davanti all’abitazione di C. era stato descritto in modo diverso dall’unico teste; illogica era la ricostruzione delle modalità attraverso cui si era provveduto a contattare il servizio clienti; il riferimento del verbalizzante all’uso del termine C. da parte di M. era elemento del tutto inutilizzabile ai sensi degli artt. 62 e 350 c.p.p. in quanto la risposta era stata provocata da domande dei verbalizzanti all’atto del fermo;

– gli elementi di prova a carico di M.V. erano del tutto inconsistenti come quello di aver lasciato a casa il cellulare, potendo avere molteplici spiegazioni, come quella di aver noleggiato l’auto, suscettibile solo di supposizioni, come quella del chilometraggio dell’auto che non confermava la versione di G.; l’aver utilizzato come riscontro il viaggio effettuato da costoro anche il giorno (OMISSIS) è incongruo visto che in quella occasione cercavano T. e non C.;

– del tutto inconsistenti erano invece i riscontri per M. S. basati solo sulla comunanza di interessi col cugino;

– la sentenza di appello aveva errato nell’individuare l’orario della morte che doveva invece essere ragionevolmente riportata a tempi più vicini al rinvenimento delle vittime visto che C.A. era ancora vivo nonostante il taglio della trachea e che il liquido contenuto nella tazza sul tavolo era ancora tiepido; su tali punti era stata chiesta una rinnovazione dell’istruttoria che era stata negata illogicamente.

Col secondo atto di ricorso deducevano:

– violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p. avendo omesso ogni valutazione sulla credibilità e attendibilità di G. ed anzi avendo operato una inversione del procedimento valutativo imposto dalla norma, omettendo di effettuare per prima una valutazione della sua credibilità soggettiva, e poi una valutazione sulla attendibilità intrinseca; la Corte aveva omesso di considerare che G. aveva un preciso interesse personale nel rendere quelle dichiarazioni e le aveva rese dopo 3 giorni di permanenza in Questura, non si sa a quale titolo; la sentenza invece aveva cercato preliminarmente i riscontri oggettivi e li aveva posti a base del giudizio di credibilità, mentre questi potevano servire solo a valutare le dichiarazioni di un soggetto credibile; rilevava poi come comunque quei riscontri non sussistevano ripercorrendo le incongruenze già rilevate dall’altro atto di ricorso; osservava che non vi era alcun riscontro individualizzante esterno viste le numerose falsità riscontrate nel racconto del G. e il mancato rispetto del principio secondo cui le dichiarazioni del correo sono valutate unitamente alle altre fonti di prova che ne confermano l’attendibilità;

– l’unico riscontro individualizzante per M.S. sarebbe stato il falso alibi fornito per la mattina del (OMISSIS), avendo egli affermato di aver dormito fino a tardi ma non avendo riferito che in casa non c’era G., considerando cosi come riscontro una circostanza non riferita e neppure richiesta;

– il riscontro a carico di M.V. sarebbe la telefonata fatta al numero di servizio per gli utenti, ma non vi era alcuna prova che tale telefonata fosse stata fatta da V. e il riferimento al nome C. invece che C. risultava attribuito a V. sulla base di una prova acquisita illegalmente e cioè in violazione degli artt. 350 e 62 c.p.p. e cioè mediante la deposizione di un verbalizzante;

– deduceva poi un travisamento della prova in merito al fatto che fosse stata provata la presenza dei M. a (OMISSIS) la sera del (OMISSIS), tenuto conto delle falsità del racconto di G. su quanto accaduto quel pomeriggio, e come conseguenza diretta anche la presenza dei M. la mattina del (OMISSIS); nessuno dei testi era stato in grado di riconoscerli e neppure di descriverli; nessuno aveva descritto G.; nessun teste aveva sentito rumori provenire dall’abitazione; una teste aveva smentito G. sull’abbigliamento con cui la vittima aveva aperto la porta; un teste aveva smentito G. sulle modalità con cui era stata aperta la porta;

– vi era stato un travisamento della prova sull’ora della morte, così come già riferito in precedenza;

violazione di legge in riferimento all’art. 603 c.p.p. sulle richieste di accertare la recisione della giugulare di C. A. e di accertare se un liquido potesse essere mantenuto caldo dai raggi del sole;

– violazione di legge per la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio essendo suscettibili di diversa spiegazione gli elementi di prova posti a fondamento della responsabilità e sussistendo ipotesi alternative ricostruite dalla difesa e non costituenti certo ipotesi limite ma aventi un fondamento negli atti processuali, come i rapporti illeciti di G. con persone dell’est in materia di traffici di donne.

La Corte ritiene che la sentenza debba essere annullata con rinvio per nuovo esame.

La sentenza impugnata ha ricostruito la vicenda processuale discostandosi completamente da quella di primo grado, tranne che per la determinazione dell’ora del fatto, e lo ha fatto dando opposte interpretazioni ai fatti sottoposti al suo esame.

Va subito detto che i motivi di ricorso riguardanti la determinazione dell’ora del fatto non sono fondati.

La motivazione con cui la Corte di assise di appello ha ritenuto di condividere, senza ravvisare la necessità di ulteriori approfondimenti, la ricostruzione operata sul punto dal giudice di primo grado si sottrae invero a censura essendo tale conclusione stata fondata non solo sui dati medico/legali, argomentatamente ritenuti non incompatibili con la collocazione del fatto entro le ore 9,15 mentre l’elemento rappresentato dalla percezione da parte degli inquirenti della temperatura del liquido presente in una tazza è stato ragionevolmente ritenuto di scarsa affidabilità, ma soprattutto sui già esposti significativi elementi logici e dichiarativi a cominciare da quello, non suscettibile di altra spiegazione, desumibile dalle deposizioni delle numerose persone che dopo quell’ora cercarono inutilmente di contattare le vittime.

La sentenza di primo grado si è fondata sul presupposto che le indagini erano state incomplete e volte all’accertamento esclusivo della responsabilità dei M., interpretando ogni elemento di fatto in senso colpevolista; è quindi arrivata a sospettare di collusioni tra il G. e gli inquirenti, e ha di conseguenza svalutato ogni dichiarazione proveniente da costui.

La sentenza di secondo grado invece ha esaminato in modo più asettico gli elementi forniti dagli inquirenti sui quali era stata costruita l’accusa a carico degli attuali imputati. Non può sottacersi che la figura centrale di questo processo è G. D., definito faccendiere e dedito a traffici illeciti nonchè al mendacio. Orbene da una figura come questa ci si sarebbe attesi una scaltrezza particolare, mentre di fronte all’unica vera contestazione a lui rivolta, e cioè di essere il detentore della utenza telefonica (OMISSIS) che risultava aver chiesto la sera prima, davanti all’abitazione di C., al numero di servizio clienti della Telecom quello della vittima, invece di trovare altre spiegazioni non aveva trovato meglio da fare che fornire una versione che lo coinvolgeva in un triplice omicidio, sostenendo di essere stato presente e chiamando in causa altre due persone a lui legate non solo da vincoli di amicizia e di affari ma anche di sopravvivenza, visto che costoro gli pagavano addirittura la ricarica telefonica e il pranzo.

Partire da questo dato per valutare la sua credibilità soggettiva non può essere ritenuta operazione contraria ai canoni della legalità, visto che la credibilità soggettiva non è un qualcosa di avulso dalla personalità del dichiarante ma è qualcosa che attiene al suo comportamento nella fase di inizio della collaborazione e durante tutta la fase della collaborazione: che costui fosse un pregiudicato e una persona dedita a traffici illeciti non esclude in assoluto la sua credibilità, mentre ciò che deve essere valutato era l’inizio della sua collaborazione, la sua spontaneità e coerenza. Orbene l’origine della sua chiamata in reità è quello sopra riferito e non può dubitarsi che nessun interesse egli aveva avuto a fare dichiarazioni del genere; avrebbe potuto fornire molte spiegazioni diverse da questa visto che non vi era mai stato prima alcun legame tra lui e la vittima; se non avesse chiamato in causa i M. non si sarebbe potuto provare alcun collegamento tra lui e la vittima. Tale versione invece era stata subito da lui riferita e poi mantenuta nel tempo anche in sede di incidente probatorio.

Totalmente contraria al suo interesse era poi stata l’affermazione di essere stato addirittura presente al triplice omicidio, visto che non vi era alcuna possibilità di collegarlo alla scena del delitto, neppure tramite un giudizio di somiglianza con le persone che i testi avevano visto la sera del (OMISSIS) e la mattina del (OMISSIS). La costruzione contraria dovrebbe presupporre che per accusare i M. di tale strage egli era stato disposto a rischiare una condanna per omicidio, con un’operazione veramente contraria ad ogni plausibile spiegazione e che necessitava questa si di un movente foltissimo. Nè può ricavarsi un giudizio di scarsa credibilità dal fatto che egli aveva sempre escluso di aver partecipato al fatto materialmente e dal fatto che il GUP lo aveva assolto dopo un anno e mezzo di carcerazione preventiva, dipendendo tale ultimo fatto da valutazioni non suscettibili di controllo in questa sede.

Certamente spiegabile è invece la scelta da lui operata di non ammettere il fatto e di utilizzare ogni mezzo per allontanare da sè la responsabilità, ma ciò non coinvolge la sua credibilità soggettiva sul racconto, visto che ha fornito prove di essere stato presente e di aver visto cosa era accaduto; questa scelta si ripete molto rischiosa per lui e non certo obbligata, costituisce la prova della sua credibilità soggettiva intrinseca e autorizza l’accesso alla valutazione frazionata della sua credibilità. La giurisprudenza di legittimità ha affermato, con assoluta costanza, che l’accertata falsità di uno specifico fatto non comporta l’aprioristica perdita di credibilità di tutto il compendio conoscitivo del narrante, deve essere il giudice di merito a verificare e ricercare un ragionevole equilibrio di coerenza e qualità di quanto viene riferito, dovendo però aver ben presente che la debole valenza dell’attendibilità soggettiva deve essere compensata da un più elevato e consistente spessore di riscontro della credibilità estrinseca (Sez. 6, 28 aprile 2010 n. 20514, rv. 247346) e quindi è su questa linea che deve essere condotto l’esame di legittimità della decisione impugnata. Il giudice di secondo grado stigmatizza la sentenza di primo grado nella parte in cui non prende una precisa posizione in merito al primo dei riscontri oggettivi di attendibilità del soggetto quello inerente la sua effettiva presenza dentro l’abitazione il giorno del delitto. Il giudice di primo grado ritiene che questa prova non vi sia, non tanto perchè egli non abbia riferito circostanze che solo chi era entrato in casa poteva sapere, ma perchè sospettava che quelle stesse circostanze le avesse apprese in questura, sulla base del pregiudizio di cui si è parlato più sopra. Il giudice di secondo grado invece esamina tutti i particolari raccontati ed ha cura di verificare quali di quelli fossero stati pubblicati dai giornali e quali no, nonchè quali dichiarazioni erano inverosimili quali invece verosimili. Non vi è alcun dubbio che l’effettiva presenza del G. nell’abitazione delle vittime quel giorno costituisce un riscontro alla sua chiamata in reità perchè egli non avrebbe avuto alcun motivo di esserci se non in compagnia dei M., non sussistendo sul punto alcuna altra ipotesi alternativa; infatti le ipotesi alternative suggerite dalla difesa sono prive di ogni valenza visto che non vi è alcun principio di prova di un qualche collegamento tra C. e persone diverse dai M., conosciute anche da G..

La prova della presenza di G. risulta fondata su solide basi di fatto, così come riconosciuto dalla sentenza di appello; in primo luogo la circostanza che la sua utenza cellulare, la sera del (OMISSIS) agosto ha interpellato il servizio clienti della Telecom per sapere il numero di telefono di C. e lo ha fatto da un luogo situato davanti alla abitazione di C.; in secondo luogo dalla circostanza che egli ha saputo portare i militari, che indagavano, davanti a quella abitazione un mese dopo, evento documentato da un video, la cui interpretazione diversa fornita dai giudici di primo e secondo grado è valutazione di fatto non suscettibile di contestazione in sede di legittimità. L’indicazione dell’esistenza di un problema nell’apertura del cancello e il fatto che la vittima era andata incontro ai tre in giardino in mutande è circostanza che non si comprende perchè G. avrebbe dovuto riferire se non si fosse verificata realmente; un calunniatore non avrebbe mai riferito che la persona li aveva accolti in mutande se non fosse stato vero e sul punto la smentita della testimone è insussistente, visto che non lo aveva visto a persona intera ma solo a mezzo busto. Va inoltre rilevato che C. difficilmente avrebbe ricevuto in casa persone estranee a quell’ora della mattina mentre stava facendo colazione, avrebbe rinviato la visita ad un’ora più consona. G. aveva poi riferito particolari della abitazione al piano terra mai pubblicati e riferibili solo da chi era stato in quella casa, come ad esempio la circostanza che era stata aperta la copertura della vasca di idromassaggio per verificare se vi era del denaro occultato, come M. sapeva essere accaduto in passato. Questi elementi inconfutabili non potevano retrocedere di fronte a riferimenti incongrui o non riscontrati del dichiarante perchè non erano idonei ad escludere che egli fosse stato in quella casa.

Tanto premesso debbono però essere esaminati i riscontri ritenuti individualizzanti perchè una dichiarazione credibile e attendibile a cui si accede in modo frazionato, deve avere riscontri rafforzati inerenti le persone dei colpevoli individuati dal dichiarante.

A carico di M.V. i riscontri individualizzanti risultano costituiti dalla conoscenza con la vittima e dalla comunanza di affari illeciti, apparendo del tutto irrilevante in questa sede l’analisi della natura degli affari loschi alla ricerca di un movente di difficile accertamento in mancanza di una collaborazione degli imputati; dalla certa presenza a (OMISSIS) in quei giorni, dalla particolarità del viaggio intrapreso dalla Sicilia, con una auto e senza telefoni cellulari; dalla stranezza di aver preso un’auto a noleggio nonostante la disponibilità di una propria auto, giudicata dalla Corte territoriale come espressione della volontà di non lasciare traccia o di non essere riconosciuti dalla vittima; dalla individuazione di un’auto dello stesso tipo e della stessa marca davanti all’abitazione del C. con tre uomini.

Tutti i motivi di ricorso sul colore dell’auto sono infondati essendo ben possibile che il colore grigio metallizzato e azzurro metallizzato possano essere tra loro confusi. Certamente l’auto in questione era molto comune, ma la particolarità che M.V. ne avesse noleggiata una e che quello stesso tipo di auto fosse davanti alla casa di C., con tre uomini, non può ritenersi del tutto priva di valenza indiziaria.

Gli elementi di riscontro a carico di M.S. sono costituiti dalla sua presenza a (OMISSIS) in quei giorni col cugino, dalla conoscenza con G., dalla circostanza che era stato ospitato nella stessa casa di G. e che era già stato a (OMISSIS) la settimana prima. Tanto premesso deve rilevarsi che vi sono una serie di ulteriori elementi considerati riscontri individualizzanti dal giudice di secondo grado che invece presentano problemi di logicità di valutazione o di inutilizzabilità.

Le deposizioni testimoniali che avevano descritto i soggetti visti sostare sotto l’abitazione e uscire dalla casa la mattina del fatto sono oggetto di una valutazione su doppio binario che appare incongrua; non pare possibile ritenere credibili quelle dichiarazioni nella parte in cui descrivono con una coincidenza quasi perfetta le fattezze dei due M., riconosciuti anche di persona in dibattimento come somiglianti ai soggetti visti la sera prima e la mattina del fatto, e non ritenere credibili, sia pure in buona fede, le medesime dichiarazioni nella parte in cui descrivevano una terza persona con fattezze del tutto prive di riferimento a G..

Tali valutazioni, per costituire una conferma che corrobori le accuse devono essere sottoposte ad un giudizio di attendibilità più approfondito e coerente con un esame analitico delle singole dichiarazioni rese in dibattimento. Con riguardo alla posizione di M.V. vi un è elemento individualizzante al quale la Corte territoriale ha dato particolare rilievo, tanto da dedicargli un apposito capitolo, costituito dalla circostanza che la telefonata al servizio clienti della Telecom era stata fatta da un individuo che aveva chiamato la vittima C., particolare ascoltato da un inquirente dalla voce di M.V. in occasione del suo fermo.

Il Collegio ritiene che la deposizione resa dall’inquirente al riguardo fosse del tutto inutilizzabile ai sensi dell’art. 63 c.p.p., e art. 350 c.p.p., comma 7 in quanto il riferimento è stato estrapolato da una dichiarazione resa dall’indagato, che poi non ha più reso altre dichiarazioni, senza la presenza del difensore, e quindi non utilizzabile in dibattimento a prescindere che abbia avuto o meno il carattere della spontaneità. Ne consegue che il giudice di rinvio dovrà riesaminare la posizione di M.V. onde verificare se il venir meno di questo elemento individualizzante, rispetto agli altri sopra evidenziati, consenta comunque di affermare la sussistenza della responsabilità dell’imputato, effettuando quella cosiddetta prova di resistenza che solo il giudice di merito può compiere in un processo cosi caratterizzato da una valutazione opposta delle prove effettuata dal giudice di primo e di secondo grado; in sostanza il giudice di rinvio dovrà valutare se gli elementi ritenuti a carico di M.V., escluso il riscontro individualizzante inutilizzabile, consentano di affermare la responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio (Sez. 1, 3 marzo 2010 n. 17921, rv. 247449).

Per quanto attiene alla posizione di M.S., G. aveva riferito che la sera del (OMISSIS) non era andato con loro a (OMISSIS) e che la mattina dopo era venuto con la sua auto e aveva portato la pistola, circostanze che appaiono prive di specifica conferma e in relazione alle quali deve essere offerta una valutazione logica e congrua con le altre risultanze processuali.

Sempre con riguardo alla posizione di M.S. vi è infine un elemento ritenuto individualizzante dalla Corte territoriale che invece appare affetto da illogicità, e cioè la falsità dell’alibi;

secondo la Corte territoriale Salvatore nel momento in cui aveva affermato che la mattina dell’omicidio era rimasto a casa non era credibile perchè non aveva anche aggiunto che in casa al suo risveglio non vi era G.; si tratta di una affermazione illogica perchè non può fondarsi un falso alibi su un particolare non riferito e neppure chiesto, e incongrua perchè affetta dal vizio della circolante, visto che, un alibi falso, dovendo servire a conferma della accusa di G., non può essere provato dalle stesse dichiarazioni di G.. Anche in questo caso il giudice di rinvio dovrà valutare se venuto meno questo elemento considerato individualizzante per M.S. sia possibile affermare, alla luce degli altri riscontri sopra evidenziati, la responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.

Il compito che conclusivamente viene demandato al giudice di rinvio è di rivisitare in piena libertà il materiale probatorio, come sopra ridimensionato, per stabilire se vi siano riscontri individualizzanti dotati dello spessore e univocità necessari per una sentenza di condanna, tenuto conto che si è in presenza di chiamata in reità da parte di soggetto la cui credibilità soggettiva è stata affermata ricorrendo al principio della valutazione frazionata delle sue dichiarazioni, pacificamente in parte menzognere.

Ai sensi dell’art. 624 bis c.p.p. deve essere disposta la cessazione delle misure cautelari applicate agli imputati a seguito della sentenza di appello che riformava quella di assoluzione di primo grado, in forza della quale erano stati scarcerati.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d’assise d’appello di Milano.

Visto l’art. 624 bis c.p.p. ordina l’immediata liberazione di M. V. e M.S., se non detenuti per altra causa e manda alla cancelleria per la comunicazione al Procuratore Generale in sede ai sensi dell’art. 626 c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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