Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43715 Aggravanti comuni aggravamento delle conseguenze del delitto Circostanze speciali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. C.C. e P.V. sono stati ritenuti colpevoli – sia all’esito del giudizio di primo grado, svoltosi con rito abbreviato, dinanzi al GIP del Tribunale di Grosseto, sia di quello di secondo grado, celebratosi dinanzi alla Corte di Appello di Firenze – dei seguenti reati ad essi contestati:

1) concorso nel furto perpetrato in (OMISSIS), nella notte tra il (OMISSIS), di sette pistole, asportate del locale Comando della Polizia Municipale;

2) concorso nella detenzione illegale delle pistole di cui al capo che precede;

3) concorso nel porto Illegale delle predette pistole, trasportate, subito dopo il furto, fino a (OMISSIS) e consegnata ad A. F., una delle persone concorrenti nel reato di furto, giudicate separatamente.

1.1 Per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimità, la Corte territoriale – deliberando sulle impugnazioni proposte avverso la sentenza di primo grado sia dal Pubblico Ministero – relativamente all’esclusione da parte del giudice di primo grado dell’aggravante di cui alla L. 8 agosto 1977, n. 533, art. 4, contestata agli imputati per essere stato il furto commesso su armi e munizioni tenute in locali adibiti alla custodia delle stesse – sia dai predetti imputati, che concernevano, quanto alla C., tanto l’affermazione di penale responsabilità quanto, in via subordinata, la misura della pena inflitta complessivamente (anni 5 e mesi 8 di reclusione ed Euro 800,00 di multa) e quanto al P., imputato reo confesso, la sola misura della pena (anni 8 di reclusione ed Euro 3900,00 di multa) anche in considerazione dell’insussistenza del reato di illegale detenzione delle pistole, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva ritenuto sussistente l’aggravante esclusa dal primo giudice oggetto dell’impugnazione del PM, e concesse ad entrambi gli imputati le attenuanti generiche ritenute equivalenti a tutte le aggravanti contestate – quella della "minorata difesa", correlata alla commissione del fatto in circostanze di tempo tali da ostacolare la pubblica e privata difesa; quella della commissione del furto su cose esistenti all’interno di pubblici uffici e quelle concernenti il numero di persone – cinque – che sono concorse nel reato (oltre gli imputati, anche F.C.C., A.F. e D. C., giudicati separatamente), rideterminava la pena inflitta agli Imputati, quanto alla C. in anni 5 di reclusione ed Euro 600,00 di multa; quanto al P., in anni 6 di reclusione ed Euro 2000,00 di multa.

1.1.1 Secondo la ricostruzione compiuta dai giudici di merito, le indagini – che pure, sin dalla scoperta del furto, erano state orientate sulla persona della C., in quanto agente della Polizia Municipale di Follonica e persona legata sentimentalmente a P.V., soggetto collegato a sua volta ad ambienti criminali – avevano subito una "svolta decisiva" a seguito di un’intercettazione di una conversazione telefonica disposta dall’Autorità Giudiziaria di Torre Annunziata, in relazione alla commissione di altri fatti, ed intercorsa tra l’ A. ed il P. il (OMISSIS), nella quale il primo, attraverso un linguaggio definito come "grossolanamente convenzionale", richiedeva al secondo la consegna di un caricatore per una pistola che costui gli aveva consegnato tempo prima.

1.1.2. In particolare, con riferimento alla penale responsabilità della C., i giudici di merito ritenevano raggiunta una prova tranquillante a carico della stessa, valorizzando al riguardo, oltre all’elemento indiziario rappresentato dalle peculiari modalità di esecuzione del furto, che suffragavano l’ipotesi Investigativa dell’esistenza di un "basista" appartenente al corpo della Polizia Municipale – quali l’assenza di segni di effrazione sul cancello esterno e sulla porta d’ingresso del comando; lo "scasso" dei soli armadietti degli spogliatoi dei vigili urbani che, salvo uno, contenevano tutti le pistole d’ordinanza degli agenti; il mancato asporto di altri valori (computer, denaro) pure presenti negli uffici -soprattutto le dichiarazioni etero-accusatorie del D., intimo amico del P., secondo cui egli aveva discusso con l’amico del furto delle pistole anche in presenza della C., che aveva assicurato il suo appoggio, affermando che si trattava di cosa facile.

Tali dichiarazioni, infatti, malgrado il D., da ultimo, a causa di un raffreddamento dei suoi rapporti con il P., non avesse più partecipato alla fase di materiale esecuzione del furto, venendo sostituito dal F.C. nel compito di "palo" e di conducente dell’auto con la quale dovevano trasportarsi nel napoletano le pistole per la loro consegna all’ A., sono state valutate come pienamente attendibili dai giudici di merito, attesi i numerosi riscontri oggetti vi costituiti dall’esito complessivo delle indagini (quali la conferma del ruolo dell’ A.; la definizione di "infame" da questi attribuita al D.; la successiva confessione del P.);

Quanto poi alla tesi difensiva dell’imputata – secondo cui il P. si era impadronito delle chiavi d’ingresso del Comando a sua insaputa e le conversazioni avuta con il P. ed il D. sull’ubicazione e modalità di custodia delle armi in dotazione ai vigili urbani, dovevano considerarsi soltanto delle frasi "scherzose" – la stessa, seppur confermata, da ultimo, dalla confessione del P. che aveva escluso qualsiasi complicità della C., veniva ritenuta "assurda ed inverosimile" dai giudici di appello, che oltre ad evidenziare il carattere strumentale della confessione del correo, preannunciata da una lettera inviata allo donna via fax, rimarcavano anche come doveva ritenersi implausibile la tesi secondo cui i colloqui intercorsi tra i due amanti ed il D. sulla custodia delle pistole in dotazione ai vigili urbani e sulle possibilità di rubarle, potesse fondatamente ritenersi un discorso "scherzoso", deponendo nel senso della complicità della C.. Il comportamento complessivo anche post factum della donna, che pur conoscendo in quali ambienti criminali si muoveva il suo amante, non aveva adottato alcuna cautela nella custodia delle chiavi del comando in suo possesso nè dopo il furto aveva denunciato l’avvenuta sottrazione delle chiavi.

1.1.3. Riteneva altresì la Corte territoriale pienamente configurabile nella condotta dei due imputati oltre il porto illegale anche il reato di detenzione delle pistole, trattandosi di condotte non perfettamente coincidenti, "in quanto la detenzione illegale era già iniziata all’Interno del comando della Polizia Municipale, non appena le armi erano state estratte dagli armadietti, e quindi temporalmente e logicamente anteriore al porto in luogo pubblico, iniziato con il trasporto verso il meridione". 2. Ricorre per cassazione il comune difensore della C. e del P., avvocato Carlo Valle, con autonomi atti d’impugnazione.

2.1. Per quanto attiene l’impugnazione proposta nell’interesse della C., in ricorso si deduce l’illegittimità della sentenza impugnata, con il primo motivo, per violazione di legge (art. 533 c.p.p., comma 1), nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto provata la complicità dell’imputata nel furto delle pistole perpetrato dal P., in base a mere ipotesi ed a giudizi di probabilità. Al riguardo si evidenzia che i giudici del merito hanno valorizzato, in primo luogo, la circostanza che la C. avesse avuto degli incontri con il coimputato in casa propria. Tale circostanza deve ritenersi, però, assolutamente priva di effettivo valore indiziante, attesa la relazione sentimentale esistente tra i due. Anche l’ulteriore dato che a due di tali incontri avesse partecipato il D., era privo di reale valenza indiziaria, ove si consideri che il predetto era stato invitato dal P., suo buon amico, e che proprio il D., in sede d’Incidente probatorio, aveva riferito come in entrambi gli incontri svoltosi in casa della C. la donna era rimasta In silenzio, escludendo In particolare che la stessa avesse fornito uno specifico contributo nella programmazione del furto. Deponevano in ogni caso par l’Innocenza dalla ricorrente, sia la confessione liberatoria resa dal P., illogicamente svalutata dai giudici di merito in base ad un giudizio di inverosimiglianza del tutto incongruo, che non ha tenuto conto della relazione sentimentale astistente con il P., e che avendo costui sottratto solo temporaneamente le chiavi in possesso della donna, facendone un duplicato, la C. non poteva denunziare alcunchè, non avendo mai avuto contezza della loro sottrazione; con la conseguenza che l’imputata non può essere ritenuta concorrente nel furto sol perchè la persona di cui era perdutamente innamorata, si era servita di lei cercando di raccogliere informazioni sulla ubicazione delle armi attraverso delle domande scherzose. Anche le modalità di consumazione del furto costituivano in realtà un dato privo di effettivo carattere indiziante, non rivelando alcun contributo logistico fornito dalla donna alla perpetrazione del furto, ove si consideri che nello spogliatoio maschile erano stati forzati solo sei dei dieci armadietti, e che nei rimanenti quattro, uno custodiva una pistola;

che nello spogliatoio femminile erano stati forzati sette dei quindici armadietti, e venivano asportate solo due pistole e che nell’ufficio urbanistica erano stati forzati tutti gli armadietti senza rinvenire alcuna pistola. Lo stesso D., del resto, aveva confermato in sede d’incidente probatorio, che il P. non gli aveva fornito alcuna indicazione specifica sulle modalità di custodia delle pistole e sulla presenza di eventuali cassaforti destinate a contenerle. In conclusione, in presenza di circostanze così vaghe ed incerte, secondo il ricorrente avrebbe dovuto trovare sicura applicazione la regola di giudizio del ragionevole dubbio di cui all’art. 533 c.p.p..

2.1.2. Con il secondo motivo, si denunzia la illegittimità della sentenza di appello per violazione di legge (artt. 69 e 133 c.p.) con riferimento all’errato giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti ed aggravanti, in quanto illegittimamente basato sulla sola gravità dei fatti contestati, elemento questo già valutato autonomamente con riferimento alla determinazione, in misura consistentemente superiore ai minimi, della pena base e dell’aumento per la continuazione. La illegittimità del mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche emergeva altresì in tutta evidenza anche nel passaggio motivazionale che ha valorizzato le conseguenze dei delitti commessi dai prevenuti, avendo i giudici di appello con ciò fatto riferimento ai parametri di cui all’art. 61 c.p. – alle circostanze del reato – e non già a quelli di cui all’art. 133 c.p., completamente svalutando ulteriori elementi significativi, come la giovane età, la incensuratezza, il corretto comportamento osservato durante il non breve periodo di carcerazione subito, le condizioni di vita familiare e sociale, e le stesse motivazioni della sua condotta, ove ritenuta colpevole pur in assenza di elementi di prova certa.

2.1.3. Con il terzo motivo, si denunzia la illegittimità della sentenza di appello per violazione di legge (art. 112 c.p., n. 1; L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7) con riferimento alla mancata esclusione dell’aggravante del numero delle persone concorse nel reato, asseritamente superiore a cinque, senza considerare che dagli atti emerga l’avvenuta dissociazione dal progetto criminoso del D., al quale neppure a titolo di concorso morale può essere contestata la detenzione ed il porto delle armi.

2.1.4. Con il quarto motivo si denunzia, altresì, la illegittimità della sentenza di appello per violazione di legge (L. n. 895 del 1967, art. 2) con riferimento alla conferma della condanna della C. anche in relazione imputazione di detenzione illegali delle pistole, e ciò sia perchè l’imputata, a tutto concedere, aveva partecipato alla sola fase "dell’ideazione" del furto, ma mai alla sua realizzazione; sia anche perchè, volendo comunque ravvisare una responsabilità concorsuale della C., la stessa potrebbe configurarsi, in ogni caso, solo con riferimento al porto illegale delle pistole, la cui consumazione doveva ritenersi iniziata nell’attimo stesso in cui le pistole, prese dagli armadietti e riposte in una borsa, erano state portate fuori del comando, non configurandosi in alcun modo una effettiva ed autonoma detenzione da parte del P. e dei suoi complici, essendo state le armi, da subito, trasportate a (OMISSIS).

2.1.5. Con il quinto motivo, si denunzia infine la illegittimità della sentenza di appello per violazione di legge (art. 443 c.p.p., comma 3) con riferimento all’avvenuta applicazione dell’aggravante di cui alla L. n. 533 del 1977, art. 4.

In proposito si evidenzia che tale aggravante, esclusa dal giudice di primo grado, è stata ritenuta sussistente in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Procuratore Generale, che i giudici di appello illegittimamente avevano ritenuto ammissibile, senza considerare che al PM non è consentito di proporre appello avverso le sentenze di condanna emesse all’esito di giudizio abbreviato e che non abbiano comportato una modifica del titolo di reato, e che l’impugnazione proposta nel caso in esame, seppure qualificata come ricorso per cassazione, denunziava in realtà non già una violazione di legge ma un vizio di motivazione, sostenendo che il furto sarebbe stato commesso su armi ubicate in armerie, depositi e altri locali adibiti alle custodie delle stesse, laddove nel caso in esame le armi non risultavano in alcun modo custodite, dovendo una corretta interpretazione della norma anche sul piano logico e storico, portare ad escludere che lo spogliato del Comanda della Polizie Municipale passa qualificarsi come armeria o come locale specificamente adibito alla custodia delle armi.

2.2.1. Nel ricorso proposto nell’interesse del P., si deduce, con il primo motivo d’impugnazione, l’illegittimità delle sentenza impugnata per violazione di legge (L. n. 895 del 1967, art. 2) con riferimento alla conferma della condanna della P. anche in relazione imputazione di detenzione illegali delle pistole, sviluppando le stesse argomentazioni svelte sul punto nell’interesse dalla C..

2.2.2. Con il secondo motivo, si denunzia altresì la illegittimità della sentenza di appello per violazione di legge (art. 443 c.p.p., comma 3) con riferimento all’avvenuta applicazione dell’aggravante di cui alla L. n. 533 del 1977, art. 4, prospettando le stesse argomentazioni svolte sul punto nel ricorso proposto nell’interesse dalla C..

2.2.3. Con il terzo ed ultimo motivo, si denunzia, infine, la illegittimità della sentenza di appello per violazione di legge (artt. 69 e 133 c.p.) con riferimento all’errato giudizio di equivalenza tra circostanze attenuanti ed aggravanti, in quanto illegittimamente basato sulla sola gravità dei fatti contestati, elemento questo già valutato autonomamente con riferimento alla determinazione, in misura consistentemente superiore al minimi, della pena base e dell’aumento per la continuazione. La illegittimità del mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, emergeva altresì in tutta evidenza anche nel passaggio motivazionale che ha valorizzato le conseguenze dei delitti commessi dai prevenuti, avendo i giudici di appello con ciò fatto riferimento ai parametri di cui all’art. 61 c.p. – alle circostanze del reato – e non già a quelli di cui all’art. 133 c.p., completamente svalutando ulteriori elementi significativi, come la giovane età, la incensuratezza, il corretto comportamento processuale, avendo già durante le indagini confessato di aver commesso il furto, assumendosi tutte le sue responsabilità. Incongruamente, in particolare, la Corte territoriale aveva svalutato tale confessione ritenendola non spontanea, ricollegandosi la stessa, al contrario, ad un effettivo sentimento di spontaneo pentimento.

Motivi della decisione

1. Le impugnazioni proposte nell’interesse della C. e del P. sono basate entrambe su motivi infondati e vanno quindi ambedue rigettate.

1.1 Per quanto concerne le deduzioni difensive prospettate nell’interesse della C. e relative al dedotti vizi di violazione dei canoni di valutazione probatoria e di carenza e manifesta illogicità della motivazione, giova premettere che questa Corte ha da tempo chiarito, che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 930 del 29/1/1996, Rv. 203428, Imp. Clarke).

In applicazione di tale condivisibile principio è agevole rilevare come nessun profilo di illegittimità è fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata, avendo la Corte territoriale fornito esauriente e logica spiegazione delle ragioni – concisamente indicate al paragrafo 1.1.2. della presente sentenza – per cui doveva ritenersi provato che la C. avesse fornito un contributo casuale alla consumazione del furto aggravato e dovesse rispondere, a titolo di concorso, di tale delitto nonchè delle imputazioni "satellite" di detenzione e porto illegale di arma.

Ed invero entrambi i giudici di merito hanno ritenuto, in base ad un percorso argomentativo del tutto logico e coerente, che costituiva un dato fattuale certo, nel presente giudizio, in base all’analisi della modalità di consumazione del furto e delle dichiarazioni del D., che la C. aveva materialmente partecipato alla predisposizione del programma delittuoso, assicurando agli esecutori materiale del delitto, le proprie chiavi e fornendo indicazione sui luoghi (armadietti degli spogliatoi) in cui le pistole erano custodite, con ciò favorendo la riuscita dell’impresa delittuosa.

In presenza di un siffatto percorso argomentativo, è agevole rilevare che le deduzioni della difesa della C. riguardanti la valutazione di attendibilità e coerenza dei dati valorizzati dai giudici di merito, lungi dal dimostrare un effettivo ed inconfutabile travisamento delle emergenze processuali, si risolvono nella unilaterale svalutazione degli elementi di prova, valutati isolatamente e non già nel loro complesso, nella prospettazione di una "lettura alternativa" delle risultanze processuali in senso più favorevole all’imputata, non consentita in sede di legittimità.

Nè può fondatamente escludersi, in particolare, la responsabilità della C. anche in relazione ai reati concernenti le armi, sol perchè non è stata accertata una materiale partecipazione della ricorrente alla fase materiale dell’asporto delle pistole e del successivo loro trasporto a (OMISSIS). Avendo la imputala partecipato attivamente alla fase d’ideazione dell’impresa delittuosa, rispetto alla quale la detenzione ed il porto delle armi si configuravano, come eventi pienamente voluti e perseguiti dagli agenti, la stessa deve evidentemente rispondere a titolo di concorso anche di tali delitti.

1.2. Nè, per quanto riguarda le imputazioni concernenti le armi, può fondatamente sostenersi la tesi di un assorbimento della condotta di detenzione delle pistole in quella di porto illegale delle stesse, pure contestata agli imputati. Incongruo deve ritenersi, invero, il riferimento al principio enunciato da questa Corte (sez. 1, Sentenza n. 20833 del 20/05/2008, dep. 23/03/2008, Rv.

240287, imp. Ponzo) secondo cui il delitto di detenzione abusiva d’arma comune da sparo non è configurabile nell’ipotesi in cui il soggetto abbia avuto il precario possesso dell’arma soltanto per i pochi istanti intercorsi tra la sua ricezione ed il suo trasferimento ad altra persona, per il decisivo rilievo che nel presente giudizio non risulta affatto pacifico che gli autori del furto (il P. ed i suoi complici) abbiano avuto il possesso delle armi per pochi istanti, costituendo in effetti solo un’ipotesi ricostruttiva della difesa che l’ A. abbia ricevuto immediatamente le pistole in (OMISSIS) e provveduto da solo al loro trasporto a (OMISSIS), avendo il coimputato F.C., fornito indicazioni diverse sul punto in sede d’interrogatorio, pure allegato al ricorso, avendo dichiarato che fu il P. a trasportare le armi in Campania.

1.3 Infondate devono ritenersi, altresì, con riferimento al furto delle pistole, le argomentazioni, comuni ai due ricorsi, dirette ad escludere la configurabilità dell’aggravante di cui alla L. 8 agosto 1977, n. 533, art. 4. Al riguardo occorre considerare, in primo luogo, che l’assunto secondo cui andava dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione – ricorso per cassazione – proposta dal Pubblico Ministero relativamente all’esclusione della predetta aggravante da parte del primo giudice, fondandosi la stessa sull’assunto, invero infondato, che tale atto d’impugnazione fosse basato soltanto su deduzioni in fatto, laddove da parte del ricorrente risultava denunziata, invece, una errata applicazione della legge pena ed una insufficienza motivazionale al riguardo.

Quanto poi alle deduzioni difensive dirette, nelle loro poliformi articolazioni, ad escludere che il Comando della Polizia Municipale, possa ritenersi luogo adibito alla custodia di armi, le stesse non possono trovare accoglimento facendo le stesse leva, essenzialmente, sul dato fattuale, di per sè ininfluente, che nello specifico le pistole sottratte erano custodite in armadietti chiusi a chiave ubicati nei locali adibiti a spogliatoio degli agenti.

Ed invero come questa Corte ha già avuto modo di precisare (Sez. 6, Sentenza n. 5244 del 14/01/2000, dep. 04/05/2000, Rv. 216138, imp. Spanu), l’aggravante prevista dalla L. 8 agosto 1977, n. 533, art. 4, comma 2, nel caso in cui l’agente si impossessa di armi, munizioni o esplosivi, commettendo il fatto "nelle armerie, ovvero in depositi o in altri locali adibiti alla custodia di essi", oltre a non presupporre una speciale qualificazione del soggetto detentore dalle armi (forze armate, corpi armati dello Stato, fabbricanti e commercianti autorizzati, ecc.) deve ritenersi applicabile in ogni caso in cui il reato abbia ad oggetto le armi o le munizioni o gli esplosivi in qualsiasi locale adibito a custodia degli stessi, e quindi, come nel caso esaminato da Sez. 2, Sentenza n. 5705 del 15/03/1984, dep. 15/06/1984, Rv. 164883, imp. PEZZUTO, anche il locale appartato del carcere in cui vi sia un armadio chiuso a chiave.

In applicazione di tale principio, nessun profilo di illegittimità è quindi fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata che ha ritenuto configurabile l’aggravante di cui trattasi – e per ciò punibile più gravemente il fatto contestato, nel caso di un furto su armi eseguito nel Comando della Polizia Municipale – luogo nel quale gli autori del furto, oltretutto, ben sapevano essere custodite delle pistole – indipendentemente dalle modalità di custodia delle stesse, e se cioè le armi fossero depositate in uno spogliatoio, in semplici armadietti chiusi a chiave, e non invece in appositi armadi blindati.

1.4. Quanto infine all’ultima censura, comune ad entrambi i ricorrenti, mossa alla sentenza Impugnata con riferimento al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, è sufficiente rilevare che la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente univoca nel ritenere che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (così ex multis, Cass., sez. 3, sentenza n. 26908 del 22/4/2004 – 16/6/2004) Rv. 229298, ric. Ronzoni) e che nello specifico la corte territoriale risulta aver congruamente assolto il proprio obbligo di motivazione, giustificando il giudizio di equivalenza in relazione alla particolare gravità del fatto, che denotava l’elevata ed allarmante propensione al crimine dei ricorrenti.

2. Il rigetto dei ricorsi comporta le conseguenze di cui all’art. 616 c.p.p. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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