Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-06-2012, n. 9547

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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 192 del 2010, il Tribunale di Trieste – ritenute inammissibili le domande introduttive relative allo scioglimento della comunione e quelle riconvenzionali volte alla condanna al pagamento di somme – pronunciava la separazione personale tra il ricorrente B.H., (ricorso depositato l’8.03.2004), e D.S., coniugatisi il (OMISSIS), addebitava la separazione al marito, disponeva l’assegnazione della casa coniugale, in proprietà esclusiva del marito, alla moglie convivente con il figlio maggiorenne A., nato il (OMISSIS), e non autosufficiente, poneva a carico del ricorrente l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio nella misura di Euro 500,00 mensili a decorrere dal 6.5.2004, con rivalutazione annuale ed interessi legali.

Con sentenza del 14.07-23.11.2010, la Corte di appello di Trieste, nel contraddittorio delle parti ed in parziale accoglimento dell’appello proposto dallo H., rigettava la domanda di addebito della separazione al marito e riduceva ad Euro 250,00 mensili il contributo paterno di mantenimento del figlio, compensando le spese processuali dei due gradi di merito e confermando nel resto l’impugnata sentenza. La Corte territoriale osservava e riteneva:

che con l’appello lo H. aveva lamentato l’erroneità della pronuncia di addebito a sè della separazione nonchè sostenuto la mancanza dei presupposti sia per l’assegnazione alla moglie della casa coniugale e sia per l’attribuzione alla stessa di un assegno di mantenimento del figlio, oltre all’eccessività del relativo ammontare, nonchè dell’importo liquidato a titolo di spese di lite che la D. aveva chiesto l’addebito della separazione al marito e l’assegnazione della casa coniugale assumendo quanto al primo profilo che dal 1999 il coniuge aveva iniziato ad assumere comportamenti contrari al vincolo coniugale, recandosi in Messico per lunghi viaggi e tornando con una giovane messicana che presentava come la propria compagna di vita e quanto al secondo profilo che il figlio, pur maggiorenne, era incapace di produrre propri redditi per condizioni personali patologiche che il primo motivo del gravame era fondato, giacchè non solo la violazione da parte del ricorrente del dovere di fedeltà non poteva ritenersi sufficientemente provata sulla base delle scarne dichiarazioni dei testi escussi, segnatamente la teste St., sorella della resistente, e della documentazione depositata ma, inoltre, mancava del tutto la prova che proprio tale asserita violazione da parte del marito del dovere di fedeltà avesse concretamente causato il fallimento dell’unione matrimoniale che, invece, fosse infondato il secondo motivo del gravame, trovando l’assegnazione alla moglie della casa coniugale giustificazione nella convivenza della stessa con il figlio A., maggiorenne ma non autosufficiente, in quanto affetto da una – grave patologia psichiatrica (schizofrenia) diagnosticatagli nel (OMISSIS) e con sufficienza provata dalle certificazioni del CSM in atti (l’ultima delle quali, a firma del dott. Z., redatta il (OMISSIS)) che l’affermata pregressa autosufficienza di A., che l’appellante pretendeva di dedurre dalla presentazione delle denunce dei redditi da parte del figlio, non poteva ritenersi mai conseguita, tenuto contro dell’epoca di insorgenza della patologia sofferta dal giovane e della gravità della stessa, nonchè dell’entità degli importi dichiarati (che l’appellata aveva giustificato facendo riferimento alla propria volontà di versare i contributi connessi alla precaria presenza del figlio nel chiosco da essa gestito, al fine di assicurargli in futuro una pensione) che il terzo motivo d’appello era parzialmente fondato, giacchè l’ammontare del contributo al mantenimento del figlio, non risultava commisurato ai redditi ed alla situazione patrimoniale dell’obbligato, quali risultanti dalla documentazione depositata che considerati gli obblighi gravanti sul padre e le sue potenzialità reddituali, comunque provate dalle attività imprenditoriali in passato esercitate, il contributo al mantenimento del figlio dovesse essere ridotto, considerando anche il valore economico costituito dall’assegnazione della casa coniugale alla S. rideterminato, in Euro 250,00 mensili, ferma la decorrenza indicata dal Tribunale (anche con riferimento alla rivalutazione ed agli interessi) che quanto alla richiesta di indagini da parte della Guardia di Finanza, non se ne ravvisava allo stato l’utilità, anche in dipendenza dell’asserito trasferimento all’estero di parte delle sostanze dell’appellante (che lo stesso assumeva, invece, perdute in borsa).

Avverso questa sentenza, notificatale il 17.12.2010, la S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi e notificato il 15.02.2011 allo H., che ha resistito con controricorso notificato il 24.03.2011 ed ha proposto ricorso incidentale affidato a due motivi.

Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi principale ed incidentale, proposti avverso la medesima sentenza. A sostegno del ricorso principale la S. denunzia:

1. "Contraddittoria e/o omessa motivazione in punto addebito rispetto alle risultanze testimoniali assunte in 1^ grado per non aver accertato e dichiarato l’esatta collocazione temporale delle violazioni ai doveri coniugali in costanza di matrimonio da parte del marito e non aver attribuito alle stesse effetto causale del fallimento del matrimonio".

Censura, per il profilo motivazionale, il diniego di addebito al coniuge, assumendo che non si è tenuto conto dei ripetuti viaggi in Messico del marito, anteriori alla separazione, del contenuto della deposizione resa dalla teste s.s., confermato dalle dichiarazioni del teste Z., del fatto che il coniuge aveva da tempo abbandonato la famiglia per intrattenere pubblicamente una relazione more uxorio con altra donna messicana, a tutti nota come la sua nuova compagna, con la quale sin da prima della separazione aveva abitato nei pressi della casa coniugale e poi generato due figlie nel 2003 e nel 2006.

2. "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, quali l’art. 116 c.p.p. e gli artt. 143, 147, 148 e 151 c.c. ai fini della pronuncia di addebito in capo al marito," La ricorrente si duole nuovamente del diniego di addebito della separazione al marito, deducendo che la Corte non ha tenuto conto che lo H., sin dal 1999, ha anche violato gli obblighi di assistenza morale e materiale nei confronti suoi e del figlio nonchè l’obbligo di reciproca collaborazione nell’interesse della famiglia, che ha inoltre tenuto in suo danno un contegno violento e minaccioso, provato dalla deposizione della St., violazioni tutte accertate e provate in modo inequivocabile, e che lo stesso, avviando una stabile relazione more uxorio, aveva impedito la prosecuzione della convivenza coniugale ed ogni tentativo di riconciliazione. I primi due motivi del ricorso principale, suscettibili di esame congiunto, non hanno pregio.

Avverso il ribadito diniego di addebito della separazione allo H., dalla Corte distrettuale puntualmente e logicamente argomentato in aderenza al dettato normativo, la S. muove inammissibili, generici e non decisivi rilievi di errori valutativi in ordine agli elementi assunti, in parte carenti sotto il profilo dell’autosufficienza, in quanto non ricondotti a specifiche, richiamate risultanze istruttorie o non confortati dall’integrale trascrizione delle invocate deposizioni testimoniali, rilievi che appaiono essenzialmente volti ad un diverso e favorevole apprezzamento dei medesimi dati, non consentito in questa sede.

3. "Violazione e falsa applicazione di norme di diritto, quali l’art. 116 c.p.c. e l’art. 155 c.c., commi 4 e 6, ai fini della determinazione dell’obbligo di mantenimento in favore del figlio." 4. "Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio in punto mantenimento dal figlio, in forza del quale il Giudice di 2^ grado ha ritenuto di non procedere ad indagini da parte della Guardia di Finanza non ravvisandone allo stato l’utilità, disponendo genericamente una riduzione dell’assegno a carico del padre senza motivarne le ragioni.".

Con il terzo ed il quarto motivo del ricorso la S. censura la quantificazione riduttiva dell’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne delle parti, sottolineando la comprovata condizione patologica grave e difficilmente risolvibile del beneficiario, a cui da anni ella provvede, ed assumendo la mancata valutazione dei criteri che presiedono alla determinazione della contribuzione nel rispetto del principio della proporzionalità nonchè la sussistenza di vizi motivazionali con riguardo alle ragioni di riduzione dell’apporto, a fronte del fatto che il reddito paterno era accertato e confermato dallo stesso H. in sede di interrogatorio libero all’udienza del 19.11.2008, che egli è proprietario o comproprietario di svariati immobili oltre alla casa coniugale, di cui non si è fatta menzione, che vive con la nuova compagna e due figlie che presumibilmente mantiene, che non ha prodotto alcuna denuncia fiscale, ma solo un certificato di disoccupazione, e che si sarebbe dovuto dare corso ad indagini tributarie o comunque ad accertamenti patrimoniali, anche considerando le contestazioni e la pregressa vendita, durante la convivenza coniugale, di un albergo della sua famiglia per il corrispettivo di circa L. 650 milioni, che ha trasferito all’estero e non perso in borsa come egli afferma.

Con il ricorso incidentale lo H. deduce:

"Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

nonchè degli artt. 147, 148, 155 e 2697 c.c.".

"Omessa, insufficiente ed errata motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio." Il ricorrente censura la ricorrenza dei presupposti che legittimano la corresponsione da parte sua dell’assegno di mantenimento per il figlio, sostenendo che questi, quanto meno sino al 2008, aveva conseguito l’indipendenza economica, avendo prestato attività lavorativa retribuita presso il chiosco stagionale in comproprietà dei genitori ed essendo stato dalla madre coinvolto a pieno titolo nella gestione dell’azienda familiare, come risulta dalle sue dichiarazioni dei redditi.

Il ricorso incidentale, il cui esame assume priorità logico giuridica rispetto alla valutazione dei residui due motivi del ricorso principale, non è fondato.

La conclusione assunta dalla Corte d’appello circa il mancato conseguimento, neppure in passato, dell’indipendenza economica da parte del figlio della coppia appare legittimamente e congruamente riferita alla tipologia e gravità della patologia psichiatrica di cui il giovane soffre sin dal 1993, quale documentata dagli acquisiti certificati del CSM, alle peculiarità della sua situazione occupazionale, che rendeva pure plausibili occasionali interventi materni, e comunque all’entità degli introiti che figurano dichiarati nelle sue denunce fiscali, circostanze che non possono trovare decisiva smentita nè nell’apodittico richiamo alla valutazione contenuta nella sola certificazione medica resa dal dott. Z. nè nei dati anche reddituali esposti a sostegno delle censure in argomento, quand’anche già acquisiti nei pregressi gradi del giudizio, evidenzianti modeste risorse.

Vanno, invece, accolti il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale, attesa la laconicità delle argomentazioni poste dai giudici d’appello a sostegno dell’apportata dimidiazione dell’entità della somministrazione in argomento, mute in ordine ai parametri legali di relativa commisurazione ed inidonee anche a chiarire quali risorse economiche di pertinenza di ciascuna parte ed eventualmente del figlio siano state in concreto considerate, aldilà delle potenzialità reddituali paterne. Conclusivamente si deve respingere il ricorso incidentale, dichiarare inammissibili i primi due motivi del ricorso principale ed accogliere, nei delineati sensi, il terzo ed il quarto motivo del medesimo ricorso principale, cassare in parte qua la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta l’incidentale, dichiara inammissibili i primi due motivi del ricorso principale, accoglie il terzo ed il quarto motivo del medesimo ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Trieste, in diversa composizione. Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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