Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-06-2012, n. 9544 Dichiarazione di adottabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte osservato e ritenuto, con motivazione semplificata:

Con sentenza del 12.01.2011, il Tribunale per i minorenni di Milano dichiarava lo stato di adottabilità della minore V. L., nata il (OMISSIS), figlia naturale di I. L. e di M.T.P.d.S.. Con sentenza del 16.06-12.07.2011, la Corte di appello di Milano respingeva il gravame della P.d.S.. La Corte territoriale osservava e riteneva:

che il L. sin dal 2004 era risultato incapace di assumersi responsabilità genitoriali, tanto che aveva già visto due figli collocati in contesto eterofamiliare, aveva inoltre più volte manifestato aggressività, aveva tendenza all’abuso di alcool, non aveva nel frattempo superato le sue problematiche, inoltre nel corso della sua audizione aveva dichiarato che solo in futuro avrebbe voluto occuparsi della figlia, e sino all’attualità non aveva dimostrato effettiva disponibilità a terapie, dall’esito positivo comunque incerto e conseguibile solo in tempi lunghissimi, incompatibili con le esigenze evolutive della figlia;

che la P.d.S., nata il (OMISSIS), appariva inadeguata a svolgere il ruolo materno;

– che in particolare era emerso che:

a) a 12 anni era stata vittima di abusi in (OMISSIS), suo paese di origine, ove era stata anche ospite di una comunità per tossicodipendenti, non aveva avuto vicino nè la madre, nè parenti che si fossero presi cura di lei, nel 2007 era giunta in Italia, non essendo riusciti i nonni materni a gestirla, aveva incontrato la madre che aveva avuto nei suoi confronti atteggiamenti negativi volti a farla tornare in (OMISSIS), inoltre nel L., all’epoca suo compagno, non aveva trovato una persona in grado di occuparsi dei suoi problemi e di aiutarla a ricostruire la sua personalità b) nel 2007, ancora minorenne, aveva tentato per due volte il suicidio, era stata collocata in comunità, da cui, compiuti i 18 anni, si era allontanata per andare a convivere con il L. C) nel luglio 2008 era stata ricoverata in reparto psichiatrico da cui si era allontanata, nonostante le fossero stati segnalati i pericoli per l’esito della sua gravidanza in atto; d) nell’aprile e nel maggio 2009 era stata collocata con la figlia in una comunità, che aveva segnalato irregolarità nel ritmo sonno-pasti della bambina e) nel 2010 il rapporto tra il L. e la P. continuava ad essere conflittuale ed il 28.04.2010 i servizio sociali avevano segnalato che gli stessi erano privi di risorse, incapaci di riconoscere la loro impulsività e ciò con pregiudizio soprattutto per la figlia, ed ancora che appariva impossibile che potessero accompagnare la minore in un percorso di affido etero familiare, sottolineando che la P. si era dimostrava totalmente oppositiva e non collaborante f) che in ragione di un nuovo fidanzamento, il 15.06.2010 la P. si era allontanata dalla comunità, affermando di avere capito di non essere in grado di accudire la figlia e di essere favorevole al suo affidamento eterofamiliare g) che il TM aveva ritenuto che la situazione fosse tale da integrare l’abbandono morale della minore da parte dei suoi genitori, in quanto la avevano lasciata, presentavano inadeguatezze personali e di coppia e l’eventuale recupero della loro capacità genitoriale richiedeva tempi lunghi, incompatibili con l’esigenza della figlia di crescere in un contesto famigliare sereno, stabile ed affidabile;

che la P. aveva dunque avuto una vita sfortunata e le gravi e continue esperienze traumatiche avevano inciso negativamente sulla sua personalità, basata sulla disorganizzazione e tale da non farle percepire gli autonomi sentimenti e bisogni della figlia, vista solo come prolungamento del proprio sè, ossia come riferimento narcisistico, fonte di gratificazione e conferma per lei stessa – che la descritta situazione non appariva suscettibile di rimedi tempestivi, volti a evitare ulteriori pregiudizi alla minore;

che l’abbandono in senso morale, profilo nella specie rilevante, andava inteso come pesante e grave inadeguatezza della madre ad assolvere in termini mediamente accettabili il compito educativo connesso al suo ruolo genitoriale che la stessa P., dimostrando buona volontà, si era rivolta ad uno psicologo (dott. B.), il quale anche l’aveva ritenuta poco capace di pianificare il suo comportamento, con tendenze alla dipendenza ed alla continua ricerca di conferme e gratificazioni emotive nei rapporti interpersonali; nonchè sottolineato l’importanza di svolgere un percorso terapeutico di sostegno psicologico atto a farla sentire accolta in uno spazio protetto, a consentirle di esprimersi in modo non distruttivo ed a dotarla di un supporto alla sua genitorialità.

Avverso questa sentenza, notificata il 18.07.2011, la M.T. P.d.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi notificato il 28.09-3.10.2011 al = PG % questa Corte, al PG il giudice a quo ed al L., il 3.10.2011 al Comune di Opera quale tutore provvisorio della minore ed il 28.09.2011 al curatore speciale di quest’ultima, avv.to V.F., che non hanno svolto attività difensiva. A sostegno del ricorso la M. denunzia:

1. "Violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1, 2, 8; motivazione insufficiente, inesistente o solo apparente, nonchè contraddittoria su punti decisivi della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5".

Lamenta che la Corte d’Appello, ai fini della conferma della dichiarazione di adottabilità, si sia limitata a desumere lo stato di abbandono della minore dalla ritenuta inadeguatezza della personalità della madre (e di coppia), senza fornire elementi di riscontro oggettivi e senza considerare che detto stato, il solo che giustifichi la dichiarazione di adottabilità del minore, non può certo costituire conseguenza automatica dei problemi e delle criticità dei genitori, postulando, invece, l’accertamento in concreto di una effettiva situazione di abbandono, non transitoria bensì definitiva e, quindi, non suscettibile di superamento.

Sostiene ancora che con motivazione contraddittoria la Corte d’Appello, nel confermare la dichiarazione di adottabilità, ha affermato la recuperabilità delle capacità genitoriali materne, inoltre che non sono stati presi in considerazione gli elementi istruttori che dimostravano l’inesistenza dello stato di abbandono e di contro, invece, la capacità di recupero della genitorialità da parte della madre, ed ancora che senza motivazione si è negato il collocamento eterofamiliare della bambina.

2. "Vizio di omessa, insufficiente, inesistente o solo apparente e contraddittoria motivazione in relazione alla L. n. 184 del 1983, art. 1 e 8." Deduce che il sacrificio del diritto del minore di crescere nella sua famiglia si impone non quando venga formulato un mero giudizio di inidoneità dei genitori, come è avvenuto nel caso che ci riguarda, ma solo quando a tale accertamento segua e si accompagni il rigoroso riscontro che tale inidoneità abbia già provocato o possa con certezza provocare danni gravi ed irreversibili all’equilibrata crescita del minore. Sostiene che nel caso specifico detto rigoroso riscontro è del tutto mancato, che anzi è emerso che la minore era adeguatamente accudita (cure materiali) dalla madre, che l’eventuale carenza materna era superabile, che la valutazione sfavorevole era stata resa dall’ente affidatario della minore sulla base del carattere della madre, in assenza dell’accertamento in concreto dell’effettiva insanabile e definitiva situazione di abbandono materiale e morale, che la sentenza d’appello presenta gli stessi contenuti della sentenza del Tribunale per i Minorenni, ancorati alle relazioni dei servizi sociali, prive di indicazioni circa il metodo di indagine psicologica adottato, essenzialmente fondate sulla sua arroganza, la presunzione, l’atteggiamento di svalutazione nei confronti degli operatori, la difficoltà di convivenza con le altre ospiti delle comunità ed il comportamento adolescenziale, condizioni che non vengono tradotte in un certo ed insuperabile pregiudizio per la minore e che non determinano la concreta sussistenza dello stato di abbandono della stessa, di cui vengono descritti i buoni risultati scolastici conseguiti e l’ottimo ambientamento, la natura solare e sorridente e la limitazione delle difficoltà nel rapporto madre- figlia al solo momento del pasto, durante il quale la piccola piange quando è la madre ad imboccarla, mentre accetta di mangiare con gli operatori.

Aggiunge che quanto asserito dal servizio sociale ossia che sarebbe stato impossibile coinvolgerla in un percorso psicoterapeutico per la mancanza di adesione da parte della stessa, è smentito dal suo spontaneo ricorso al dott. B. prima ed alla dottoressa F. dopo, dalla quale è tuttora seguita con idonea psicoterapia.

Conclusivamente assume che la Corte d’Appello ha meramente confermato la decisione del Tribunale per i Minorenni, in evidente contrasto con il disposto della L. n. 149 del 1983, artt. 1, 2 e 8 dichiarando oltretutto la possibilità di recupero della genitorialità da parte della madre medesima. Deduce ancora che i giudici d’appello hanno del tutto omesso l’accertamento in concreto della effettiva situazione di abbandono non suscettibile di superamento, l’unico stato che potrebbe giustificare la dichiarazione di adottabilità della figliale che dall’impugnata sentenza emerge proprio la temporaneità della sua situazione di disagio e la possibilità di recupero della genitorialità a fronte di supporto e sostegno, del tutto mancati da parte dei Servizi Sociali che avrebbero invece dovuto adoperarsi per rimuovere le cause delle difficoltà: che le uniche indagini psicodiagnostiche sono state da lei prodotte, che si è rivolta prima al dott. B., psicologo e, successivamente, alla dott. F., psicoterapeuta, e che si è omesso di prendere in considerazione la relazione di valutazione della recuperabilità genitoriale, redatta dalla dott. F., riportandosi, invece, in motivazione i risultati dell’indagine condotta dal dott. B..

3. "Violazione L. n. 184 del 1983, art. 2; motivazione insufficiente, inesistente o solo apparente, nonchè contraddittoria".

La ricorrente sostiene sia che la conclusione secondo cui non ricorrono i presupposti per il collocamento eterofamiliare della figlia è priva di motivazione, dal momento che la Corte distrettuale si limita a richiamare il contenuto del provvedimento emesso dal Tribunale per i Minorenni e le conclusioni dell’ente affidatario, senza specificare quali siano i presupposti per negare tale tipo di misura, e sia che è del pari privo di conforto argomentativo il rilievo del "lungo" tempo che le occorrerebbe per recuperare la capacità genitoriale. I tre motivi di ricorso, che essendo connessi consentono esame congiunto, sono inammissibili.

Le censure dedotte dalla P.d.S. si sostanziano in critiche generiche, prive di decisivi riscontri, essenzialmente volte ad un diverso apprezzamento dei medesimi dati oggetti vi emersi nei pregressi gradi, non consentito in questa sede di legittimità, e, peraltro, smentite dall’approfondita e logica motivazione della Corte di appello, che riesamina puntualmente tutte le numerose emergenze processuali e richiama analiticamente anche le circostanze di vita della ricorrente, i contegni, pure abbandonici, da lei tenuti nei confronti della figlia e gli accertati profili patologici della sua personalità. Il quadro che emerge è quello di una incapacità genitoriale materna non reversibile e superabile in tempi brevi, compatibili con lo sviluppo psico-fisico della minore ed atti ad evitarle ulteriori pregiudizi, quadro da cui la Corte di appello ha irreprensibilmente tratto, in aderenza al dettato normativo, il convincimento motivato dello stato di abbandono della medesima minore.

D’altra parte, ove il giudice d’appello ravvisi l’insussistenza dei presupposti per la pronuncia dello stato adottabilità del minore, deve limitarsi a revocare la dichiarazione assunta in primo grado, mentre non può disporre l’affidamento eterofamiliare, essendo questo un provvedimento che la L. 4 maggio 1984, n. 183, art. 4 riserva al servizio sociale locale, in presenza del consenso dei genitori esercenti la potestà, ed al tribunale per i minorenni, in mancanza del predetto assenso (cfr cass. n. 12730 del 2011).

Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Non deve pronunziarsi sulle spese del giudizio di legittimità, attesi l’esito ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.Lgs n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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