Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-06-2012, n. 9542 Ammissione al passivo

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Modena, con decreto del 30.10.09, pronunciando sull’opposizione proposta da A., Ma., E., M. e T.B. e da P.L., eredi di N. T., avverso lo stato passivo del Fallimento di A. F., ha respinto la domanda degli opponenti volta ad ottenere la restituzione di un terreno sito in (OMISSIS), che Fa.Az., dante causa della fallita, aveva acquistato da T.N. con contratto dell’8.5.74, dichiarato risolto con sentenza dell’8.3.81 passata in giudicato.

Il Tribunale ha escluso che la domanda proposta dai ricorrenti potesse essere qualificata come domanda di rivendica del bene; ha quindi dichiarato estinto per prescrizione il diritto degli eredi T. alla restituzione, rilevando che la relativa domanda, dopo essere stata avanzata nel 1988 nei confronti di Fa.Az. in un giudizio interrottosi per la morte del convenuto e dichiarato estinto per mancata riassunzione, era stata riproposta contro F.A. solo nell’aprile del 2000.

La sentenza è stata impugnata da A., Ma., E., M. e T.B., anche nella qualità di eredi di P. L., deceduta nelle more del giudizio, con ricorso per cassazione affidato a tre motivi ed illustrato da memoria, cui il Fallimento di F.A. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1) Con il primo motivo di ricorso, gli eredi T. – P. lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 948 c.c.. Deducono che l’assunto del Tribunale, secondo cui essi si erano limitati a far valere un diritto personale alla restituzione, in quanto l’accertamento del loro diritto di proprietà sul terreno non aveva mai costituito oggetto del giudizio, è errato e contrasta con la natura e la struttura dell’azione di rivendica, che, mentre deve necessariamente tendere al recupero della disponibilità materiale del bene, ha come finalità l’accertamento del diritto di proprietà solo nel caso in cui lo stesso sia in contestazione. Osservano che, nella specie, il loro diritto di proprietà era stato già definitivamente accertato con la sentenza passata in giudicato che aveva dichiarato risolto il contratto stipulato fra T.N. ed Fa.Az., e che solo per questa ragione, alla luce della predetta, indiscutibile e già acquisita prova della titolarità del diritto, la domanda di rivendica da essi avanzata nei confronti del Fallimento era stata formulata, da un punto di vista esclusivamente formale, in termini di mera restituzione.

2) Analoga doglianza, questa volta dedotta sotto il profilo della violazione dell’art. 2909 c.c., è contenuta nel terzo motivo, con il quale i ricorrenti ribadiscono che il loro diritto di proprietà sul bene era stato definitivamente accertato dalla sentenza che aveva dichiarato risolto il contratto di compravendita.

I motivi, che sono fra loro connessi e che vanno congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti.

La natura e gli effetti dell’azione di rivendica, che ha carattere reale e mira ad ottenere il riconoscimento del diritto di proprietà sul bene nei confronti della controparte, non possono infatti essere confusi con quelli dell’azione di risoluzione della compravendita, che ha carattere contrattuale, trova la sua causa petendi nell’inadempimento dell’altro contraente ed è volta a porre nel nulla il titolo in base al quale il bene è stato trasferito.

Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, l’accertamento del diritto di proprietà sulla res tradita non forma oggetto, neppure mediato o incidentale, del giudizio introdotto ai sensi dell’art. 1453 c.c.: ne consegue che il passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento della domanda di risoluzione non comporta giudicato implicito in ordine al predetto accertamento.

Il Tribunale ha pertanto correttamente ritenuto che la sentenza prodotta dagli eredi T. costituisse titolo dal quale derivava unicamente il diritto (ormai prescritto) alla restituzione del terreno ed, altrettanto correttamente, una volta accertato in fatto che gli opponenti non avevano mai richiesto il riconoscimento del loro diritto di proprietà sul bene, ha escluso che gli stessi avessero esperito in giudizio, unitamente all’azione prescritta, anche fazione di rivendica.

2) Col secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per aver il giudice malamente interpretato la loro domanda, attribuendole una qualificazione giuridica errata. Il motivo è inammissibile.

L’interpretazione della domanda da parte del giudice costituisce accertamento di merito, la cui eventuale erroneità non integra un vizio di omessa pronuncia della sentenza, ma un vizio di motivazione, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Esaminata sotto tale profilo, la censura difetta però del requisito dell’autosufficienza, avendo i ricorrenti totalmente omesso di richiamare il contenuto dei loro atti difensivi, nei quali troverebbe smentita l’accertamento del Tribunale secondo cui "sia ad una lettura formale delle conclusioni, sia in base alla considerazione dell’oggetto sostanziale del giudizio … sempre prescindente dalla richiesta di accertamento della proprietà…" appariva indubbio che essi avessero esercitato solo l’azione di restituzione.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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