Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-06-2012, n. 9540 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15-19.06.2008, il Tribunale di Napoli, nel contraddittorio delle parti, rigettava la domanda risarcitoria e l’opposizione alla stima proposte in via alternativa, nel 2006, nei confronti del Consorzio Quarto Pozzuoli, assuntore dell’opera, (che a sua volta aveva proposto domanda riconvenzionale condizionata, anch’essa disattesa), da P.G., proprietario, nel Comune di (OMISSIS), di un terreno d’indole agricola, che, con ordinanza n. 600/86, era stato assoggettato ad occupazione preespropriativa ai fini della realizzazione del programma di edilizia residenziale previsto dalla L. n. 219 del 1981.

Il Tribunale riteneva che poichè era emerso che nel corso dell’occupazione legittima era stato pronunciato il decreto di esproprio, si era prodotta la cessazione della materia del contendere relativamente alla chiesta indennità di occupazione illegittima e che all’attore non era nemmeno dovuta l’indennità di occupazione legittima, attesi i due verbali di concordamento, intervenuti tra le parti e preceduti da conformi dichiarazioni, rilasciate ai sensi della citata L. n. 219 del 1981, dal P., in base ai quali egli aveva rinunciato ad ogni opposizione a stima ed azione relativa alle procedure espropriative e percepito un indennizzo maggiorato.

In definitiva, alle stregua di tali rinunce, il Tribunale concludeva che il concordamento dell’indennità fosse stato comprensivo anche della corresponsione dell’indennità di occupazione legittima.

Con sentenza del 28.05-14.06.2010, la Corte di appello di Napoli respingeva sia il gravame principale del P. che quello incidentale del Consorzio, questo inerente soltanto alla compensazione delle spese processuali disposta dal Tribunale. La Corte territoriale osservava e riteneva per quanto ancora rileva:

che con l’appello principale il P. aveva sostenuto sia che il primo giudice aveva male interpretato i verbali di concordamento e che in ogni caso non vi era mai stata una sua rinuncia, meno che mai espressa, all’indennità di occupazione legittima e sia che erano state ignorate tutte le sue difese e la conforme giurisprudenza;

che il primo giudice aveva dato sufficiente contezza del suo ragionamento, in maniera niente affatto contraddittoria, esaminando la giurisprudenza in materia e gli atti intervenuti tra le parti, per arrivare correttamente a ritenere che nel negozio transattivo fosse ricompresa anche la rinuncia all’indennità di occupazione, sebbene non espressamente menzionata, e ciò in ragione delle inequivoche espressioni di generale abdicazione ad ogni opposizione o azione relativa al procedimento espropriativo;

che era emerso che il decreto di esproprio era stato pronunciato il 29.12.2003, prima del 31.12.2005, data di scadenza del periodo di occupazione legittima; che doveva escludersi che il diritto all’indennità di occupazione legittima, volta a compensare la perdita reddituale connessa al mancato godimento del bene, potesse sorgere nel caso in cui l’immissione in possesso fosse stata coeva o successiva al trasferimento della proprietà del bene ablato, che faceva anche cessare lo jus possidendi del proprietario;

che era emerso che nel verbale c.d. di concordamento bonario ed atto di quietanza il P. aveva contestualmente immesso l’espropriante nella materiale disponibilità del bene, rinunziando espressamente a proporre opposizione alla stima e ad ogni altra impugnazione giudiziaria avente attinenza con la procedura espropriativa; che l’onnicomprensività delle rinunce si poneva del resto anche in linea con la finalità prevista dall’ordinanza n. 70/82, adottata dal Presidente della Regione Commissario di Governo in forza dei poteri conferitigli dalla L. n. 219 del 1981 e posta a base delle vicende espropriative che avevano visto coinvolte le parti del presente giudizio, ordinanza che consentiva da una parte all’espropriante di conseguire la definizione satisfattiva immediata del rapporto con il privato espropriato e nel contempo a quest’ultimo di ottenere il duplice beneficio della maggiorazione dell’indennità e del pagamento diretto delle stesse, previa peraltro rinuncia a qualsiasi azione giudiziaria.

Avverso questa sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, nei confronti del Consorzio Quarto Pozzuoli, che ha resistito con controricorso nonchè depositato memoria.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso il P. denunzia:

1. "Violazione e falsa applicazione dell’art. 136 Cost. della Repubblica Italiana, che sancisce la cessazione dell’efficacia della norma di legge dichiarata incostituzionale "dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione", con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

Premette sia che gli elementi significativi dell’avversata decisione sono tre, ossia a) l’intervenuto decreto di esproprio nel corso del periodo di occupazione legittima b) la natura negoziale dei verbali di concordamento sottoscritti dal P. c) la rinuncia anche alla indennità di occupazione legittima e sia che con il primo motivo di ricorso intende riferirsi agli elementi sub "b" e sub "c", interdipendenti, rinviando al seguente motivo n. 2 l’esame dell’elemento sub "a". Sostiene:

– che la rinuncia all’indennità di occupazione legittima da parte sua non c’è mai stata e che se anche fosse stata espressa non sarebbe invocabile, in ragione della sentenza n. 24 del 30.01.2009, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del D.L. 28 dicembre 2006, art. 3, comma 3 convertito con modificazione dalla L. 26 febbraio 2007, n. 17 norma che ha avuto portata innovativa e che ha attribuito agli accordi la valenza transattiva di cui erano privi che detta sentenza del giudice delle leggi si applica anche al caso in discussione, avendo essa avuto riguardo non a procedimenti espropriativi non definiti da decreto di espropriazione o di acquisizione ma a procedimenti espropriativi definiti con decreti di espropriazione intempestivi, ossia emessi a distanza di anni – che nella specie il decreto di espropriazione era stato emesso a distanza di 16 anni dalla espressa rinuncia e dal termine che l’ordinamento considera di legittima durata dell’occupazione, quando ormai erano venute meno le condizioni che avevano determinato la volontà negoziale della parte ed in spregio ai canoni costituzionali di ragionevolezza ed ai principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche.

2. "Violazione e falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 20, comma 3, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

Sostiene che l’emissione del decreto definitivo di esproprio a distanza di anni, in nessun modo può inficiare il diritto all’indennità per l’occupazione legittima.

3. "Violazione e falsa applicazione dell’art. 1346 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3".

Ribadisce che la citata pronuncia d’incostituzionalità va intesa nel senso di negare validità ed efficacia ai sottoscritti accordi, erroneamente considerati transattivi e la cui invalidità ed inefficacia scaturiscono anche dalla violazione del rubricato art. 1346 cod. civ., per il quale si richiede che l’oggetto del contratto sia determinato o determinabile, altrimenti il contratto è nullo o annullabile, sicchè in ogni caso la transazione sarebbe nulla.

Aggiunge che non è possibile ritenere che egli abbia potuto intendere o comunque avere una qualche consapevolezza di rinunciare ad alcunchè di diverso dalla opposizione alla stima e ad ogni altra azione giudiziaria che avesse attinenza al procedimento di occupazione e di espropriazione.

I tre motivi del ricorso, che essendo connessi consentono esame unitario da condurre secondo l’ordine logico-giuridico delle prospettate censure, non meritano favorevole apprezzamento.

Il ricorrente deduce genericamente e per la prima volta in questa sede, dunque inammissibilmente, la nullità degli atti di concordamento, per violazione dell’art. 1346 c.c., con specifico riguardo alla mancanza del requisito della determinazione o determinabilità del relativo oggetto, la cui verifica, che va riferita al contenuto degli originari accordi e presuppone la conoscibilità degli atti in questione, è riservata al giudice di merito. Del pari inammissibilmente il P. avversa qualificazione giuridica, interpretazione e portata dei medesimi atti di concordamento e quietanza sottoscritti dalle parti, limitandosi a dedurre sempre genericamente e in base a non decisivo richiamo, rispettivamente che erano stati erroneamente considerati d’indole transattiva e che aveva dimostrato ampiamente nei pregressi gradi di merito che nessuna rinuncia vi era stata da parte sua all’indennità di occupazione legittima, al riguardo sottolineando solo che in essi aveva dichiarato di rinunciare a proporre opposizione a stima e a ogni azione giudiziaria che avesse avuto attinenza all’occupazione ed espropriazione dell’immobile, frase che già per il profilo letterale smentisce l’assunto (in tema, cfr cass. SU n. 9038 del 2008).

Conseguentemente, deve mantenersi ferma la conclusione dei giudici di merito secondo cui la pretesa del P. all’indennità "autonoma" di occupazione legittima trovava ostacolo nel volontario coinvolgimento della stessa nell’assetto transattivo – abdicati vo dei verbali.

Priva di pregio è l’ulteriore censura involgente l’inefficacia della rinuncia a tale indennità di occupazione legittima, conseguente alla sopravvenuta sentenza n. 24 del 2009, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 300 del 2006, art. 3, comma 3 conv. con modif dalla L. n. 17 del 2006, per contrasto con il canone della ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost..

La Corte delle leggi ha affermato che la citata norma, avente chiaro carattere innovativo, nel disporre l’efficacia dei verbali di concordamento e rinuncia a qualunque pretesa indennitaria indipendentemente dall’emanazione del decreto di espropriazione e, quindi, anche in ipotesi di omessa od intempestiva emanazione del decreto ablativo, determinava il consolidamento degli effetti dei verbali ignorando la vicenda della J legittima espropriazione, così irragionevolmente vanificando il legittimo affidamento del privato nella normale regolamentazione giuridica del rapporto. La portata demolitoria della decisione è stata già interpretata e delineata nella sentenza n. 7035 del 2009, resa dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui l’accordo raggiunto tra l’espropriante e il proprietario è totalmente inefficace, anche relativamente all’indennità di occupazione legittima, nel caso di mancanza o tardiva emissione del decreto di esproprio.

Per rendere inefficaci gli accordi in questione, occorre dunque l’assenza o l’irrituale conclusione della procedura ablatoria, a tale ultimo riguardo assumendo rilievo l’intempestività del decreto in rapporto non alla mera eccessiva dilatazione dei tempi di relativa pronuncia ma al superamento dei termini e presupposti legali di relativa emanazione, inclusa l’inutilità della sua adozione per il già intervenuto consolidamento di situazioni sostanziali da c.d.

occupazione acquisitiva.

Nella specie non emerge che la procedura ablatoria si sia conclusa irritualmente nei precisati sensi e che, quindi, sia venuta meno la condizione concordemente assunta dalle parti a presupposto dell’accordo, costituita dal tempestivo intervento del decreto ablativo, avendo i giudici accertato che esso era stato utilmente emanato il 29.12.2003, prima del 31.12.2005, data di scadenza (evidentemente prorogata) del periodo di occupazione legittima; non anche che fosse stato intempestivo per essersi già precedentemente perfezionato il fatto illecito acquisitivo per effetto del concorrere della trasformazione del fondo e dell’illegittimità (della proroga) dell’occupazione.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del soccombente al pagamento, in favore del Consorzio controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il P. a rimborsare al Consorzio Quarto Pozzuoli le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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