Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43686 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata ordinanza la Corte di Appello di Reggio Calabria, giudicando a seguito di annullamento con rinvio dalla Corte di cassazione, ha rigettato la domanda, presentata da B.L., di riparazione per ingiusta detenzione subita dal 13 dicembre 1999 al 9 giugno 2000 e dal 21 dicembre dello stesso anno al 5 giugno 2002 per complessivi 720 giorni.

Con il provvedimento annullato da questa Corte era stato riconosciuto in favore del B. il diritto all’equa riparazione, liquidata nella somma di Euro 144.000,00.

La sentenza di annullamento con rinvio, accogliendo il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha osservato che la Corte territoriale, nel verificare se la condotta del richiedente, sia prima che dopo la perdita della libertà personale, avesse, per colpa grave, dato causa o concorso a 238782), ovvero non siano tali da costituire rilevante indizio dell’inserimento dell’istante per la riparazione nell’attività illecita del congiunto da lui frequentato.

E’ stato inoltre precisato da questa Corte che "In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, la decisione dell’imputato di sottrarsi alla cattura e di darsi alla latitanza non costituisce di per sè elemento per l’individuazione della colpa grave di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1" (sez. 4, 6.11.2007 n. 42746, Ministero Economia, RV 238306).

Orbene, l’ordinanza impugnata ha affermato che il B. aveva mantenuto stretti rapporti con i propri parenti appartenenti a famiglie mafiose, richiamando solo due episodi in cui il ricorrente è stato notato in compagnia di stretti congiunti, verificatisi a distanza di sei anni l’uno dall’altro, sicchè l’affermazione si palesa poco coerente con le risultanze fattuali sulle quali viene fondata e non necessariamente significativa di un comportamento gravemente colposo, proprio in considerazione del rapporto di parentela.

Analoghe considerazioni circa la scarsa rilevanza, ai fini dell’accertamento di un comportamento gravemente colposo, vanno riferite alla latitanza del ricorrente, successiva alla emissione della misura cautelare, alla luce del citato indirizzo interpretativo di questa Corte.

Nè l’affermazione dell’ordinanza, secondo la quale la latitanza del B. sarebbe stata favorita dai suoi rapporti con elementi della ndrangheta, risulta suffragata dalla indicazione degli elementi di fatto da cui è stata desunta.

Non viene infine, soprattutto, precisato il nesso di causalità tra le rilevate condotte del ricorrente e l’adozione della misura cautelare, che deve evincersi dallo stesso provvedimento impositivo, o il suo successivo mantenimento.

L’ordinanza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio per un nuovo esame che tenga conto dei rilievi che precedono.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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