Cass. civ. Sez. I, Sent., 12-06-2012, n. 9538 Riconoscimento di prole naturale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 113 pubblicata il 17.09.2009, il Tribunale per i Minorenni di Genova respingeva la domanda proposta da A.F. G., che, volendo riconoscere quale proprio figlio naturale il minore B.E., nato il (OMISSIS), già riconosciuto dalla madre B.V., intendeva, ai sensi dell’art. 250 c.c., comma 4, superare il rifiuto di consenso al riconoscimento da costei opposto. Con sentenza del 22.04-14.07.2010, la Corte di appello di Genova, sezione specializzata per i minorenni, nel contraddittorio delle parti, respingeva il gravame del A.F. G.. La Corte territoriale, anche ribaditi noti principi di diritto, osservava e riteneva:

– che il A.F.G., cittadino (OMISSIS), aveva, tra l’altro, sostenuto che non si era tenuto conto sia delle difficoltà di vita da lui incontrate, quale extracomunitario entrato irregolarmente nel territorio del nostro Stato, sia del fatto che i suoi precedenti penali risalissero a diversi anni prima e fossero comunque scarsamente significativi (salvo il reato di detenzione di stupefacenti, in ordine al quale andava tuttavia considerato, al di là del carattere episodico dell’addebito, che l’uso delle sostanze trovate in suo possesso era invece consentito nel suo Paese di origine);

– che con i primi due motivi d’appello,da esaminare congiuntamente, l’appellante si era doluto delle argomentazioni, a suo dire lacunose e contraddittorie con le quali il T.M. aveva respinto la sua domanda, pure basandosi su altrettanto contraddittorie e non soddisfacenti valutazioni peritali compiute su di lui e sul minore (affetto sin dalla nascita da frequenti disturbi dermatologici), per le quali egli era persona immatura e con tratti di antisocialità;

– che entrambi i motivi erano infondati, giacchè nella sentenza impugnata si era dato conto, con motivazione diffusa e logicamente coerente, anche della concreta ravvisabilità di condizioni impeditive di importanza proporzionata al valore sacrificato costituito dal diritto dell’istante al riconoscimento della genitorialità;

– che anzitutto ostava la situazione oggettiva in cui si trovava il A.F.G., cittadino extracomunitario irregolarmente presente sul territorio nazionale in quanto destinatario di provvedimento di espulsione mai revocato e, quindi, privo di regolare dimora ed occupazione;

– che, aldilà di siffatte già significative risultanze, rilievo decisivo assumevano comunque nella formulazione di una prognosi negativa in ordine all’incidenza che il riconoscimento paterno avrebbe potuto avere sulla serena crescita e sullo sviluppo psicofisico del piccolo E., le indicazioni date dalla CTU nominata in primo grado, psicologa e psicoterapeuta, secondo cui la personalità del G. era "gravemente immatura sul piano affettivo, con tratti antisociali" e con tendenza "a manipolare in modo acritico la realtà per assecondare i propri desideri";

– che dall’indagine peritale erano emersi significativi deficit nella costruzione dell’identità personale del G. oltre che nella relazione affettiva, aspetti di antisocialità, egocentrismo, angoscia, grave alterazione dell’esame della realtà, profonde problematiche nel rapporto con la sessualità e con il femminile ed era altresì risultato che i suoi progetti apparivano "contraddittori e confusi" e che la sua richiesta di riconoscimento non poggiava, ad avviso del CTU, "su adeguati investimenti affettivi nè sulla presenza di risorse educative e genitoriali idonee a sostenere lo sviluppo del bambino";

– che pertanto l’introduzione del G. nel contesto di vita del bambino rischiava di determinare in quest’ultimo uno stato dannoso di tensione e di disequilibrio, ponendolo a contatto, fra l’altro, con l’alterata visione della realtà, con gli aspetti persecutori ed i disturbi della sessualità presenti nel padre e non ultimo, con il comportamento di lui minaccioso e delegittimante nei confronti di B.V., e cioè della figura parentale che aveva costituito dalla nascita in poi per E., il punto di riferimento familiare ed affettivo primario";

– che correttamente siffatte valutazioni e indicazioni peritali erano state dunque recepite dal T.M., il che induceva a disattendere anche il terzo motivo di appello, incentrato sulla mancata valorizzazione, asseritamente imputabile alla sentenza in esame, del prevalente interesse del bambino a rapportarsi con entrambi i genitori;

– che era proprio l’interesse del minore a sconsigliare che facesse ingresso nella sua vita una figura paterna che gli sarebbe stata di probabile pregiudizio, e non tanto per quanto sopra si è detto, ed al contrario di ciò che infondatamente l’appellante asseriva, per la condizione del G. di extracomunitario "irregolare" ed in ansia per la precarietà di tale sua situazione, ma soprattutto per i già descritti, assai negativi e preoccupanti connotati della sua personalità e della sua situazione psichica, che rendevano vieppiù difficile ipotizzare un suo inserimento nel contesto sociale e lavorativo e, ancor prima, il raggiungimento da parte sua di quel minimo di stabilità personale e di vita necessaria ad occuparsi validamente delle esigenze di un bambino di cinque anni.

Avverso questa sentenza il A.F.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati da memoria e notificato il 24.02.2011 alla B., che non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso il A.F.G. denunzia:

1. "Carenza di motivazione e contraddittorietà della sentenza n. 60/2010 ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5".

Sostiene:

– che le argomentazioni a suffragio dell’impugnato provvedimento, sono basate esclusivamente sulla consulenza tecnica di ufficio, sono parziali, contraddittorie, e contraddicono i principi consolidati di cui all’art. 250 c.c.;

– che nei documenti versati in atti nonchè dall’esame della relazione del nominato Ctu non si ravvedono elementi concreti in esito ai quali poter definire "antisociale" la sua personalità;

– che non ha riportato nessuna condanna penale dalla quale sia non solo deducibile il suo carattere antisociale e pericoloso ma neppure che sia dedito a delinquere;

– che al di là dei reati comunque ricollegabili al suo status di irregolare nel territorio italiano, non ha posto in essere alcuna condotta penalmente rilevante ai fini dell’avanzata richiesta di riconoscimento di paternità;

– che anche il procedimento penale concluso con la richiesta di patteggiamento ex art. 444 c.p.p., in ordine alla detenzione di sostanza stupefacente è fatto di lieve entità, isolato e risalente nel tempo;

– che in ogni caso gli asseriti suoi aspetti di antisocialità appaiono assunti in modo acritico e senza considerazione alcuna del suo vissuto personale;

– che nè il giudice di prime cure nè quello di appello hanno considerato con prognosi positiva il fatto che egli abbia avuto ed abbia tutt’oggi un lavoro seppur non regolarizzato, o più precisamente in fase di regolarizzazione, avendo presentato domanda di sanatoria e di alloggio, nè in alcun modo preso in considerazione il fatto che egli sia stato in possesso di regolare permesso di soggiorno e di lavoro regolarizzato come dipendente presso una società locale di barcaioli; permesso di soggiorno non rinnovato solo a causa della perdita del lavoro per cause a lui non imputabili;

– che è stato omesso qualsiasi accertamento sulla sua reale posizione sociale nel territorio, il suo inserimento sociale, le sue amicizie;

– che ancor più fallace e contraddittoria è la motivazione relativa alla sua personalità, non essendo stati i suoi evidenziati malesseri posti in relazione con la sua condizione personale di straniero presente sul territorio italiano:

2. "Insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa la contraddittorietà della risultanza della CTU".

Il ricorrente sostiene:

– che le considerazioni conclusive del CTU sugli aspetti di tipo psicotico della sua personalità non trovano riscontro nè nei test di Rorshach nè nella valutazione clinica dell’esperto d’ufficio;

– che non sono state valutate le osservazioni rese dal suo consulente di parte, secondo il quale soffriva di aspetti ansioso-depressivi del tono dell’umore, associabili ad una condizione di tipo nevrotico;

– che manca qualsiasi riferimento alla valutazione psicologica dell’assenza della figura paterna nel vissuto quotidiano del minore nonchè un esame critico anche sulla personalità della madre del medesimo minore;

– che le mancate risposte verbali del bambino alle domande sul papa, su chi sia e dove si trovi, sul perchè non lo vede, non gli parla e non gioca con lui, sono evidenziate – ed in ciò si conviene con le osservazioni critiche del consulente tecnico di parte Dott. Ba., – nei disturbi clinici del minore quali l’eczema atopico e l’alopecia, posti in genere in relazione con la rottura simbolica del legame che unisce il bambino alla madre, percepita fisicamente presente ma emotivamente assente.

3. "Violazione e falsa applicazione dei principi consolidati dall’ordinamento in ordine all’interesse del minore ex art. 250 c.c.".

Sostiene che l’impugnata pronuncia contraddice sia in termini giuridici che fattuali la portata dei precedenti giurisprudenziali di merito e di legittimità, secondo cui il sacrificio totale della genitorialità può essere giustificato solo in presenza di gravi ed irreversibili motivi che inducano a ravvisare la forte probabilità di una compromissione dello sviluppo dei minore ed in particolare della sua salute psicofisica, giacchè se da un canto l’emersa scarsa sua risorsa affettiva e quindi genitoriale, quand’anche presente non è connotata dal carattere dell’irreversibilità, dall’altro i suoi profili di anti socialità non sono tali da pregiudicare lo sviluppo psicofisico del minore.

4. "Violazione dell’art. 30 Cost.".

Sottolineato che il riconoscimento del figlio naturale infrasedicenne costituisce un diritto dell’altro genitore costituzionalmente garantito dall’art. 30 Cost., deduce che l’impugnata sentenza, fondando il proprio convincimento sul fatto che lo status giuridico del ricorrente sia di impedimento al riconoscimento del proprio figlio, conduce all’aberrante conclusione che a tutti gli stranieri irregolari sul territorio italiano ovvero a tutte le persone in difficoltà economica perchè prive di una occupazione stabile dovrebbe essere negata la potestà genitoriale, che le limitazioni descritte sarebbero in contrasto con i diritti fondamentali riconosciuti dal nostro ordinamento costituzionale nonchè dall’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con L. n. 484 del 1955, che all’art. 8 sancisce il "Diritto al rispetto della vita privata e familiare". I motivi, che connessi consentono esame unitario, non hanno pregio. Le poste censure motivazionali si risolvono in infondati e generici rilievi, in parte pure privi di autosufficienza, segnatamente laddove si adducono trascurate positive circostanze di fatto, non confortate dall’allegazione dei relativi riscontri probatori eventualmente emersi nei precedenti gradi di merito e ancora si formulano critiche avverso la recepita CTU, senza specificare gli estremi di relativa pregressa formulazione e senza trascrivere a sostegno dell’assunto, il contenuto della depositata relazione tecnica d’ufficio.

D’altra parte, l’impugnata sentenza si rivela aderente al dettato normativo interno e sovranazionale nonchè alla relativa elaborazione giurisprudenziale, giacchè i giudici di merito hanno irreprensibilmente pure valorizzato una serie di circostanze effettive e concrete contrastanti con l’interesse del minore, inteso come suo diritto ad una genitorialità piena e non dimidiata ed atte anche a sacrificare la genitorialità del G., in quanto riconducibili oltre che alla scarsità di sue risorse affettive, logistiche ed economiche, ai connotati della sua personalità e della sua situazione psichica, integranti motivi gravi ed irreversibili, circostanze tutte che oltre a rendere nel loro complesso difficile un suo inserimento nel contesto ambientale, sociale e lavorativo italiano ed a non consentire di presumere il raggiungimento da parte sua di quel minimo di stabilità personale e di vita necessaria ad occuparsi validamente delle esigenze di un bambino di cinque anni, compromettevano le sue competenze genitoriali, con probabilità, attendibilmente ravvisata, di pregiudizio allo sviluppo psico-fisico del minore.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità, in ragione del relativo esito e del mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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