Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-11-2011) 25-11-2011, n. 43674

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Milano ha confermato la dichiarazione di colpevolezza di C.S. in ordine a due imputazioni di cui all’art. 609 bis c.p., a lui ascritte per avere, in circostanze diverse, costretto M.L. e P. A. a subire atti sessuali.

Le vicende che hanno coinvolto le predette parti lese risultano del tutto analoghe in quanto in entrambi i casi l’imputato, con il pretesto di effettuare un servizio fotografico, dopo aver indotto le ragazze a spogliarsi, le si avvicinava e nel caso della M. le toccava i genitali e si strofinava addosso alla ragazza; nel caso della P. le inseriva le dita nella vagina e strofinava il suo pene sull’organo genitale della parte lesa.

Per quanto interessa in sede di legittimità la sentenza impugnata ha rigettato il pregiudiziale motivo di gravame con il quale era stata eccepita la nullità della sentenza di primo grado per essere stata emessa prima della pronuncia sulla dichiarazione di ricusazione presentata dall’imputato ovvero prima della notifica del relativo provvedimento.

La Corte territoriale ha inoltre rigettato i motivi di gravame con i quali era stata dedotta la inutilizzabilità di parte del materiale probatorio; la inattendibilità delle parti lese; chiesto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello e, in particolare, invocata, con riferimento alla imputazione in danno della P., la scriminante del consenso dell’avente diritto.

La Corte territoriale ha, però, concesso all’imputato la diminuente del fatto di minore gravità, ex art. 609 bis c.p., u.c., mentre ha negato le attenuanti generiche, rideterminando la pena nella misura precisata in epigrafe.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi di motivazione.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 37 c.p.p., comma 2, art. 41 c.p.p., comma 4, e art. 178 c.p.p., lett. a) e c).

Con il mezzo di annullamento viene riproposta l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per essere stata pronunciata prima della notifica del provvedimento che aveva dichiarato la inammissibilità della ricusazione, in pendenza, perciò, del termine per impugnarla con ricorso per cassazione.

Sul punto si deduce che nel caso di rigetto della dichiarazione di ricusazione, avendo proceduto la Corte ai sensi dell’art. 127 c.p.p., la proposizione del ricorso non sospende, ai sensi dell’ottavo comma dell’articolo citato, l’esecuzione del provvedimento emesso.

Nel caso di declaratoria di inammissibilità emessa de plano, invece, trova applicazione il principio generale di cui all’art. 588 c.p.p., ai sensi del cui disposto durante la pendenza dei termini per impugnare e fino alla definizione del procedimento di impugnazione resta sospesa l’esecuzione del provvedimento emesso.

Nel caso in esame, pertanto, in pendenza dei termini per impugnare era inibito al giudice ricusato di pronunciare sentenza.

Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’elemento psicologico di entrambi i reati.

Si deduce, in sintesi, che sia la sentenza di primo grado che quella di appello sono carenti di motivazione in ordine all’accertamento della volontà e consapevolezza dell’imputato di commettere atti sessuali nei confronti di persone non consenzienti. La Corte di appello era stata implicitamente investita della relativa questione con il motivo di gravame afferente al consenso all’atto sessuale da parte della P.; deduzione che implicava anche il carattere putativo di tale consenso. Si osserva che la stessa sentenza ha rilevato che l’imputato ha immediatamente desistito dalla propria condotta, allorchè si è reso conto della opposizione delle parti lese, sicchè la Corte territoriale avrebbe dovuto indicare le ragioni per cui si è ritenuto che l’imputato intendesse perseguire il suo intento anche in assenza del consenso delle ragazze.

Con il terzo mezzo di annullamento si denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza in relazione all’accertamento della condotta materiale dei reati. Si deduce che nel caso in esame non è emerso che l’imputato abbia usato violenza o minacce nei confronti delle parti lese, nè potevano ravvisarsi le condizioni per ritenere sussistente un’ipotesi di abuso di autorità. Si contesta, poi, che la condotta abbia avuto carattere repentino o subdolo, deducendosi che la dinamica dei fatti contrasta con tale affermazione, in quanto l’imputato si era avvicinato progressivamente alle parti lese ed, in particolare, con riferimento al comportamento della P., vi era stata accondiscendenza della ragazza ad assumere posizioni sessualmente coinvolgenti.

Con l’ultimo mezzo di annullamento si denuncia infine, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti genetiche. Si deduce che la stessa sentenza ha riconosciuto l’esistenza di elementi idonei a giustificare la concessione delle chieste attenuanti e si osserva che gli elementi valutati ai fini del riconoscimento di un’attenuante comune possono anche essere valutati ai fini della concessione delle genetiche. Il ricorso non è fondato.

Osserva il Collegio che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno risolto il contrasto interpretativo che era sorto in ordine alla validità della pronuncia del giudice ricusato, in pendenza della decisione definitiva sulla dichiarazione di ricusazione, affermando che la violazione del divieto, ex art. 37 c.p.p., comma 2, per il giudice ricusato di pronunciare sentenza comporta la nullità di quest’ultima solo ove la ricusazione sia successivamente accolta e non anche quando la ricusazione sia rigettata o dichiarata inammissibile (sez. un. 27.1.2011 n. 23122, Tanzi, RV 249734;

conformi in precedenza negli stessi sensi: sez. 1, 31.1.2007 n. 14852, Piras e altri, RV 237358; altre massime precedenti conformi:

n. 4533 del 1991 Rv. 186849, n. 7082 del 1998 Rv. 210726, n. 275 del 2000 Rv. 215592, n. 1019 del 2002 Rv. 223425).

In sintesi, si è osservato nella citata pronuncia che la violazione del divieto di cui all’art. 37 c.p.p., comma 2, non è sanzionata dalla previsione della nullità dell’atto, ma che detta nullità, nell’ipotesi di accoglimento della dichiarazione di ricusazione, deriva dall’accertamento della assenza di terzietà ed imparzialità del giudice, che incide sulla sua capacità di giudicare; effetto che non può essere collegato alla mera esistenza di una denuncia di parte.

Orbene, poichè nel caso in esame l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado e degli atti consequenziali è esclusivamente legata alla pendenza, al momento della decisione, del termine per impugnare l’ordinanza che ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di ricusazione, l’eccezione non è fondata.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, trattandosi di doglianza di carenza di motivazione in ordine ad una questione di fatto non espressamente dedotta in sede di appello.

Gli ultimi due motivi di ricorso, infine, sono infondati.

Sia la sentenza di primo grado che quella di appello sono esaustivamente motivate in ordine alla attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese ed alla ricostruzione della dinamica dei fatti.

Da essa emerge che il ricorrente pose in essere le condotte descritte in imputazione con atti repentini, tali da ostacolare la reazione delle parti lese per impedire di essere toccate nelle parti intime (cfr. sez. 3, 27.1.2004 n. 6945, Manta, RV 229493; sez. 3, 1.2.2006 n. 6340, Giuliani, RV 233315 ed altre).

Le sentenze di merito sul punto hanno anche evidenziato che l’avere acconsentito a farsi fotografare in pose osè è cosa ben diversa dalla manifestazione di volontà di voler sottostare a comportamenti di valenza sessuale.

Ha formato, infine, oggetto di adeguata motivazione il diniego delle attenuanti generiche mediante la valutazione dei precedenti dell’imputato e della sua personalità.

Nè vi è contrasto logico tra il diniego delle generiche e la concessione dell’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., considerato che i parametri di valutazione di tali attenuanti sono in parte diversi, dovendosi riferire le generiche, come la dosimetria della pena, anche a profili strettamente soggettivi della persona dell’imputato, come avvenuto nel caso in esame; profili che non assumono rilevanza ai fini della valutazione della minore gravità del fatto (cfr. sez. 3, 15.6.2010 n. 27272, RV 247931).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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