Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-06-2012, n. 9526 Godimento ed utilizzazione del bene locato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.1. F.D., conduttore di un immobile destinato al commercio al minuto di mobili antichi e di pregio, locatogli dalla Edilfriuli spa in (OMISSIS), si avvide della carente impermeabilizzazione dei locali soprattutto in caso di pioggia e adì il locale tribunale dapprima per un accertamento tecnico e poi per conseguire la condanna di controparte – e della cessionaria del contratto quale locatrice E.F.IM. spa – al risarcimento dei danni così patiti; le controparti replicarono che della situazione, di cui era bene a conoscenza il conduttore, si era tenuto conto in sede di determinazione del corrispettivo, comunque adducendo avere eseguito lavori atti ad eliminare le infiltrazioni; svolta nuova consulenza anche sull’entità del canone, dichiarata inammissibile la prova testimoniale articolata dalle convenute, il tribunale accolse la domanda e condannò le convenute a pagare complessivamente circa Euro 45.000,00 al F., a titolo di riduzione del prezzo di locazione, oltre interessi compensativi dalla domanda al saldo, nonchè Euro 3.000,00, oltre rivalutazione e interessi, a titolo di risarcimento del danno ai mobili antichi danneggiati dall’umidità, oltre alle spese di lite.

1.2. Sull’appello delle convenute (che si dolsero della condanna di entrambe anzichè di una sola, della riqualificazione della domanda da risarcitoria in riduzione del canone, dell’eccessività della riduzione stessa e della liquidazione immotivata del risarcimento, pure producendo note tecniche e riproponendo le prove testimoniali non ammesse in primo grado), la corte d’appello di Trieste mutò il rito in quello locatizio ed ammise la sola prova testimoniale diretta, qualificando come in primo grado mai richiesta quella contraria; e, con sentenza n. 291 del 24.7.10, dichiarò inammissibile la produzione di perizia di parte in appello e, sulla scorta delle deposizioni testimoniali, respinse la domanda di riduzione del canone per essere riconosciuto ed accettato in sede di stipula il vizio da parte del conduttore, condannando quest’ultimo alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della sentenza di primo grado ed alle spese del doppio grado.

1.3. Per la cassazione di tale sentenza ricorre ora il F., affidandosi a tre motivi; resistono con unitario controricorso la Edilfriuli spa e la E.F.IM. spa; entrambe le parti producono memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. e prendono parte alla discussione orale all’udienza pubblica del giorno 11 maggio 2012.

Motivi della decisione

2. Con un primo motivo – rubricato "violazione dell’art. 2722 c.c. e conseguente insufficiente motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)" – il ricorrente lamenta che i capitoli di prova articolati dalle controparti ed ammessi in appello relativi alla preesistenza del vizio ed alla sua conoscenza da parte di esso conduttore – tendevano a provare un patto o una contrattazione diversi da quelli risultanti dal contratto scritto – nel quale si leggeva che i vani, la cui destinazione ad uso negozio di commercio al minuto di mobili ed oggetti di antiquariato era chiaramente espressa, erano in buone condizioni – e avrebbero dovuto quindi essere qualificati inammissibili.

2.1. Ora, la corte territoriale ha ritenuto inoperante il divieto dell’art. 2722 cod. civ. sulla conoscenza, da parte del locatario, dei vizi del magazzino al momento della stipula del contratto di locazione, vertendo la prova testimoniale non su un patto diverso da quello desumibile dal tenore e contenuto del contratto medesimo, ma sulla notizia di un fatto ("preesistenza dei vizi nei locali … dati in locazione").

2.2. Le controricorrenti, sul punto, rimarcano l’ammissibilità della prova orale, siccome tendente a chiarire la volontà delle parti, provando fatti storici diretti a chiarirne il comportamento.

2.3. La doglianza, così come formulata, è effettivamente infondata.

Infatti:

2.3.1. secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (come ribadita, di recente, da Cass. 9 aprile 2008, n. 9243), i limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano quando la prova sia diretta non già a contestare il contenuto del documento, ma a renderne esplicito il significato (Cass. 16 luglio 2003 n. 11141) o a chiarire l’effettiva volontà dei contraenti (Cass. 9 febbraio 1981 n. 782); in particolare, il divieto dell’ammissione della prova testimoniale stabilito dall’art. 2722 cod. civ. in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento riguarda soltanto gli accordi di volontà diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio consacrato nel contratto scritto; nell’ambito di tale divieto non rientra, pertanto, la prova orale diretta ad accertare la reale ed esatta consistenza materiale del bene, oggetto del negozio stesso, e cioè ad individuarne la reale portata attraverso l’accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti (Cass. 24 aprile 1974 n. 1191; Cass. 9 febbraio 1973, n. 392);

2.3.2. inoltre, l’indagine volta a stabilire se la prova testimoniale tenda o meno a modificare l’atto scritto compete al giudice del merito, il cui apprezzamento al riguardo, se sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici, è incensurabile in cassazione (Cass. 22 febbraio 1974, n. 513);

2.3.3. nella motivazione della corte territoriale si indica chiaramente che oggetto della prova era un fatto storico, cioè la preesistenza dei vizi alla stipula del contratto e la loro conoscenza da parte del conduttore: e tanto – consistendo in una circostanza diversa dalla mera descrizione dell’oggetto del contratto e dalla complessiva valutazione del suo stato, espliciti ma soli contenuti della clausola invocata dal conduttore – integra un apprezzamento immune da evidenti vizi logici o giuridici, con conseguente sua incensurabilità in questa sede.

3. Con il secondo motivo – rubricato "mancante o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio" – il F. lamenta poi l’omessa valutazione di attendibilità dei testi, uno dei quali siccome rappresentante della locatrice e l’altro in quanto dipendente del primo.

3.1. La corte territoriale non affronta il problema dell’attendibilità dei testi – tali Bo. e Pu. – escussi in secondo grado; ma le controricorrenti eccepiscono la genericità della doglianza e ricordano la discrezionalità del giudice del merito nella valutazione del teste e della veridicità della sua deposizione.

3.2. La doglianza, così come formulata, è infondata. Infatti:

3.2.1. la valutazione delle risultanze della prova testimoniale ed il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla loro credibilità, come in generale la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; Cass. 7 dicembre 2000, n. 15526);

3.2.2. inoltre (giurisprudenza costante; da ultimo, v. Cass. 30 marzo 2010, n. 7763), la valutazione sull’attendibilità del teste afferisce alla veridicità della deposizione, che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite);

3.2.3. peraltro, in violazione del principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione (per la sua applicazione al contenuto di prove testimoniali, v. per tutte Cass., ord. 30 luglio 2010, n. 17915), il ricorrente tralascia di trascrivere in quest’ultimo la verbalizzazione della deposizione ed ogni altro elemento – neppure indicando la sede processuale di ognuno – da cui desumere le qualità personali a suo dire incongruamente tralasciate dalla corte territoriale, nè i passaggi degli atti del giudizio di appello nei quali egli avrebbe sottoposto tali circostanza al giudicante: così privando questa corte della possibilità di valutare la fondatezza delle critiche alla congruità della valutazione implicita di attendibilità operata dalla corte territoriale;

3.2.4. la doglianza non può quindi dirsi fondata.

4. Con il terzo motivo – rubricato "omesso e comunque insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., n. 5) oltrechè violazione dei principi della normativa sul giusto processo (art. 360 c.p.c., n. 3)" – il F. censura la non ammissione della prova contraria, motivata, con l’ordinanza ammissiva di quella diretta, con la circostanza, invece non corrispondente al vero, della mancata sua richiesta in primo grado; e contestando pure l’ulteriore motivazione, nella gravata sentenza, consistente nella mancata reiterazione della domanda di prova contraria in sede di conclusioni di primo grado, adducendo al riguardo la non necessità della "riserva di prova contraria" per "l’economia processuale".

4.1. La gravata sentenza, invero, pur non ribadendo l’originaria motivazione, resa con l’ordinanza ammissiva della sola prova diretta, di mancata formulazione dell’istanza di prova contraria in primo grado, pone a fondamento della definitiva reiezione di tale ultima istanza la circostanza che essa non era stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni in primo grado, tanto da intendersi abbandonata; e le controricorrenti rimarcano che l’istanza stessa non è stata riformulata nè nelle conclusioni in primo grado, nè in quelle in sede di comparsa di risposta in appello.

4.2. Pure tale censura è infondata. Invero:

4.2.1. la parte appellata, vittoriosa in primo grado, poichè, ovviamente, non ripropone alcuna richiesta di riesame della sentenza ad essa favorevole, deve espressamente chiedere al giudice del gravame il riesame delle proprie istanze istruttorie, anche nel caso in cui si tratti di domanda di ammissione alla prova testimoniale contraria a quella dedotta dal ricorrente in primo grado condizionatamente alla ammissione di quest’ultima prova -non ammessa in primo grado – in quanto la mera negazione dell’accadimento di un fatto costituisce affermazione di una realtà difforme e contrapposta a quella allegata dalla controparte e, negando i fatti allegati da controparte, si configura come una eccezione che, in quanto tale, deve essere riproposta ex art. 346 cod. proc. civ., intendendosi altrimenti rinunciata (con specifico riferimento al rito del lavoro, ma affermando un principio di portata generale, in quanto tale applicabile anche all’appello con rito ordinario dopo la novella del 1990/95: Cass. 11 febbraio 2011, n. 3376; Cass. 22 agosto 2003, n. 12366);

4.2.2. anche in tal caso in violazione del principio di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, effettivamente il F. non riporta in quest’ultimo il preciso passaggio processuale in cui avrebbe per la prima volta riproposto l’istanza di prova contraria, al fine di consentire di valutare la ritualità e tempestività – in rapporto alla completezza delle istanze istruttorie, anche se subordinate o riproposte ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ. – della medesima;

4.2.3. e così la doglianza, preclusa a questa corte la verifica di tali decisive circostanze, non può trovare accoglimento.

5. In definitiva, infondati tutti i motivi di ricorso, quest’ultimo va rigettato; e la soccombenza del ricorrente ne comporta la condanna alle spese del giudizio di legittimità in favore delle controparti, tra loro in solido per l’evidente comunanza di posizione processuale.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna F.D. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore delle controricorrenti, tra loro in solido, liquidate in Euro 8.200,00 – di cui Euro 200,00 per esborsi – oltre maggiorazione per spese generali, CPA ed IVA nella misura di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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