T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 02-01-2012, n. 4

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso depositato il 25 febbraio 2008, il ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe, con il quale è stata rigettata l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato, chiedendo al Tribunale Amministrativo Regionale di disporne l’annullamento, previa sua sospensione, in quanto viziato da violazione di legge ed eccesso di potere.

Si è costituito in giudizio il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza del 13 gennaio 20008, il Collegio ha respinto l’istanza cautelare di sospensione.

Sul contraddittorio così istauratosi, all’udienza del 16 dicembre 2011, la causa è stata discussa e decisa con sentenza definitiva.

2. La legislazione nazionale adottata negli ultimi anni, D.Lgs. n. 286 del 1998, L. n. 189 del 2002, D.L. n. 195 del 2002, si fonda sulla radicale premessa per la quale nessun soggetto extracomunitario può entrare nello Stato, ed ivi stabilmente soggiornare, qualora non sia munito di visto di ingresso e di permesso di soggiorno, e cioè di un titolo amministrativo che autorizzi questi allo stabilimento, alla circolazione ed allo svolgimento di attività per specifiche tassative ragioni (di visita, affari, turismo, studio, lavoro, ricongiungimento familiare e motivi familiari, protezione sociale, asilo e protezione temporanea, cure mediche).

Dispone l’art. 5 comma 5, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono negati quando vengano a mancare i requisiti per l’ingresso e il soggiorno; l’art. 4, comma 3, nel precisare i requisiti richiesti, esclude che possa essere ammesso lo straniero che sia considerato una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l’Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressone dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone o che risulti condannato, anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del codice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emigrazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.

Il legislatore ha quindi attribuito una valenza, immediatamente ostativa ad una positiva valutazione in ordine alla permanenza nel territorio dello Stato, a comportamenti penalmente sanzionati, ritenuti di particolare rilevanza sul piano delle relazioni sociali e del mantenimento dell’ordine pubblico, a differenza di quanto era previsto nel testo della norma precedente alle modifiche del 2002 ove la valutazione della pericolosità e della minaccia era rimessa all’autorità amministrativa. In altri termini, nel testo vigente, la valutazione negativa è stata fatta direttamente dal legislatore che ha individuato determinati reati ritenuti ostativi (il diritto vivente si è oramai assestato in tal senso: cfr. da ultimo Cons. di Stato sentenza 21 aprile 2008 n. 1803; secondo la decisione n. 2866 del 2006 "la norma di cui all’art. 5 non consente all’Amministrazione alcuna autonoma valutazione in ordine ai fatti oggetto del giudizio penale, derivando in modo del tutto automatico dalla sentenza penale la preclusione al rinnovo al permesso di soggiorno").

2.1. Occorre aggiungere che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 148 del 16 maggio 2008, ha reputato non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui alla L. 30 luglio 2002, n. 189, censurato, in riferimento agli articoli 2, 3, 24, 97 Cost., in quanto prevede quale causa ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno la condanna, a seguito di patteggiamento, per reati inerenti agli stupefacenti e senza alcuna valutazione in concreto della pericolosità del condannato. Premesso che la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione, e che tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un’ampia discrezionalità, deve escludersi che sia manifestamente irragionevole condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo, come quelli connessi alla violazione della normativa sugli stupefacenti; né possono considerarsi manifestamente irragionevoli: a) il fatto che non venga dato rilievo alla sussistenza delle condizioni per la concessione del beneficio della sospensione della pena, data la non coincidenza delle valutazioni sottese rispettivamente alla non esecuzione della pena e al giudizio di indesiderabilità dello straniero nel territorio italiano; b) il fatto che non sia previsto uno specifico giudizio di pericolosità sociale dei singoli soggetti, costituendo l’automatismo espulsivo un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa; c) il fatto che la condanna sia emessa a seguito di patteggiamento, giacché, da un lato, la sentenza di applicazione della pena su richiesta, salve diverse disposizioni di legge, "è equiparata a una pronuncia di condanna" e, d’altra parte, per le fattispecie – quali quelle oggetto dei giudizi a quibus – interamente verificatesi dopo l’entrata in vigore della L. n. 189 del 2002, il fatto che la condanna sia intervenuta in sede di patteggiamento non appare significativo, in quanto "nell’opzione del rito alternativo, l’imputato è posto ex ante nella piena condizione di conoscere tutte le conseguenze scaturenti dalla scelta processuale operata". Quanto alla denunciata violazione degli artt. 24 e 97 Cost., questi sono stati invocati non sulla base di autonome motivazioni, bensì in connessione con gli artt. 2 e 3 Cost. (sentt. nn. 333 del 1991, 58 del 1995, 203 del 1997, 252 del 2001, 432 del 2005, 206 e 324 del 2006; ordd. nn. 146 del 2002, 361 e 456 del 2007).

2.2. Ancora in tema di reati ostativi, ritiene il Collegio, che non possono essere valutati dalla stessa p.a. come "nuovi elementi" le considerazioni espresse dal giudice penale nella sentenza di condanna (in ordine, ad esempio, alla gravità del reato, alle conseguenze risarcitorie e restitutorie, agli elementi circostanziali e così via), perché quelle considerazioni rappresentano la motivazione della sentenza e non "circostanze sopravvenute ai fatti decisi in sede penale"; allo stesso modo non assumono rilievo le determinazioni accessorie del Giudice Penale come quelle relative alla sospensione condizionale della pena. Difatti, è la stessa sentenza di condanna, per la qualità del reato ascritto e sanzionato, che è di per sé ostativa ad una valutazione favorevole da parte dell’autorità amministrativa.

Neppure ha rilievo il fatto che la sentenza del Giudice Penale non sia ancora passata in giudicato (e, quindi, suscettibile di essere riformata nei successivi gradi di giudizio), dal momento che la norma in oggetto (art. 4, comma 3, del t.u.) non prevede l’esistenza di un giudicato.

3. Nel caso di specie, il ricorrente, con sentenza del Tribunale di Savona del 24 ottobre 2005, è stato condannato, su richiesta delle parti, alla pena di anni uno e mesi undici di reclusione ed Euro 400,00 di multa, per il reato d’induzione e sfruttamento della prostituzione (commesso nell’anno 2004 e fino all’11 aprile 2005). Alla luce delle considerazioni dianzi svolte, il ricorso deve essere respinto, avendo l’amministrazione correttamente rilevato una condizione ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno prevista dalla legge.

3.1. Da ultimo, le denunciate violazioni del contraddittorio procedimentale non consentono di procedere all’annullamento, stante l’accentuato carattere vincolato della determinazione amministrativa in commento ed essendo palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21 octies L. n. 241 del 1990).

4. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite, attese le condizioni di disagio sociale del ricorrente comunque accertate dal Collegio e le precedenti oscillazioni della giurisprudenza (soprattutto all’epoca del deposito del presente ricorso) in tema di reati ostativi all’ingresso e permanenza nello Stato Italiano.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

RIGETTA il ricorso e compensa interamente le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Domenico Giordano, Presidente

Dario Simeoli, Referendario, Estensore

Fabrizio Fornataro, Referendario

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