Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-06-2012, n. 9519

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna dell’impresa tedesca J. S., di (OMISSIS), a pagare alla s.n.c. Cravattificio Dafne Tonani di A. Clerici & C. Euro 12.725,55, a saldo di tre fatture relative ad una fornitura di cravatte.

Lo S. aveva resistito alla domanda, eccependo difetto di legittimazione passiva e nullità dell’atto di citazione, nonchè – quanto al merito – vizi e mancanza di qualità della fornitura.

La Corte di appello ha ritenuto mancante la prova che l’acquirente avesse tempestivamente contestato i vizi. Lo S. propone tre motivi di ricorso per cassazione. Resiste l’intimata con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo e il secondo motivo – che possono essere congiuntamente esaminati perchè connessi – il ricorrente denuncia violazione degli art. 75, 83 e 100 cod. proc. civ., sul rilievo che la sentenza impugnata, come già il Tribunale, ha omesso di tenere presente il significato grafico-idiomatico dell’"umlaut" (o dieresi) sulla vocale, nella specie sulla u, che nella lingua tedesca sostituisce il dittongo ue e che può comportare profondi cambiamenti di significato. Nella specie il nome J. del convenuto, di cui all’atto di citazione, sarebbe stato confuso con J., donde l’erronea identificazione del soggetto convenuto e passivamente legittimato a stare in giudizio.

Denuncia poi violazione degli art. 112 e 163 cod. proc. civ., nella parte in cui la Corte di appello ha respinto la sua eccezione di nullità dell’atto di citazione, fondata sul fatto che l’attrice ha evocato in giudizio la società S.J., in persona del rappresentante legale, società che non esiste, essendo egli titolare dell’impresa individuale Juergen Stange Schleifenmanufaktur, soggetto diverso da quello evocato in giudizio.

I quesiti sono così formulati: "Giudichi la Corte Suprema se alla luce del particolare significato grafico-idiomatico rivestito dalla c.d. Umlaut (o dieresi) nella lingua germanica, la sua omissione costituisca violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 2 e correlata nullità dell’atto di citazione ex art. 164, potendo incidere sull’identificazione del soggetto passivamente legittimato a stare in giudizio". "Se la vocatio in jus di una società – peraltro con ditta errata e comunque inesistente – sia compatibile con la successiva condanna di un soggetto diverso, cioè di una persona fisica, formalmente non convenuta in giudizio, se tale mutamento possa essere compiuto di ufficio e se tutto ciò costituisca violazione degli art. 112 e 163 cod. proc. civ., con conseguente nullità dell’atto di citazione e dell’intero processo".

2.- I due quesiti sono inammissibili, perchè non congruenti con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha accertato che "in base agli atti ed ai documenti prodotti il Cravattificio ha ampiamente provato di voler indirizzare la propria pretesa nei confronti di S.J., ditta individuale soggetto con cui intrattenne il rapporto sostanziale e nei cui confronti vanta il credito azionato. Mancando quell’omissione o assoluta incertezza di cui agli art. 163 n. 2 e 164 cod. proc. civ., l’atto di citazione è pienamente valido; ha convenuto in giudizio proprio il soggetto nei confronti del quale l’attrice vanta il credito, cioè J. S., e costui non può pertanto negare la propria legittimazione passiva. Anzi, costituendosi, ha sanato ogni eventuale vizio dell’atto introduttivo, permettendogli di raggiungere il suo scopo".

La Corte di appello ha ritenuto che la corretta interpretazione dell’atto di citazione e dei documenti prodotti conduca a identificare la persona del convenuto esattamente in colui che è stato chiamato a partecipare al giudizio, che ivi si è costituito, e nei confronti del quale è intercorso il rapporto sostanziale da cui deriva il credito fatto valere.

I motivi di ricorso, ed i quesiti, avrebbero dovuto dimostrare l’erroneità di questa interpretazione; contestare che lo S. – impresa individuale fosse il soggetto titolare del rapporto controverso; dedurre e dimostrare che la costituzione in giudizio non avrebbe potuto esplicare efficacia sanante, indicandone le ragioni.

In mancanza, le censure ed i relativi quesiti – che si limitano a riproporre apoditticamente le tesi fatte valere in sede di merito – sono irrilevanti.

Si ricorda che i quesiti di diritto debbono contenere l’enunciazione della fattispecie da decidere; il principio che si assume erroneamente applicato dalla Corte di appello e quello diverso che si vorrebbe venisse formulato in sua vece, sì da consentire alla Corte di cassazione di formulare con la sua decisione un principio di diritto chiaro, specifico e applicabile anche ai casi simili a quello in esame (cfr. Cass. Civ. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 11 marzo 2008 n. 6420; Cass. Civ. Sez. 3, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535, fra le tante).

Manifestamente infondate sono poi le censure circa l’omessa apposizione dell’umlaut al nome J., considerato che il ricorrente non indica con quale altro nome e con quale diverso significato l’atto di citazione avrebbe potuto essere in concreto confuso; considerata altresì la costituzione in giudizio del ricorrente, quale effettivo destinatario della fornitura contestata.

3.- Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 1326 c.c. e segg., dell’art. 1362 c.c. e segg., dell’art. 1470 cod. civ., il ricorrente addebita alla Corte di appello di avere trascurato il fatto che la fornitura oggetto di causa non era conforme all’ordine, poichè era stata richiesta la produzione dei soli campioni delle cravatte; che – ricevuta la merce in visione e constatato che le misure erano sbagliate – egli aveva chiesto la modifica dei prodotti, che la fornitrice non aveva assecondato, avendo già completato l’intera fornitura.

4.- Il motivo è inammissibile sia per l’inidoneità del quesito di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., sia perchè mette in discussione un accertamento in fatto (individuazione dell’oggetto dell’ordine) non suscettibile di riesame in questa sede se non sotto il profilo degli eventuali vizi della motivazione: vizi che non sono stati nè denunciati, nè dimostrati.

Il quesito ("giudichi la Suprema Corte se, in un contratto a prestazioni corrispettive esattamente identificate, l’adempimento dell’una diverso da quello concordato possa obbligare l’altra sulla base di indizi e/o comportamenti di quest’ultima che provino tale diversità e se tutto ciò non costituisca una violazione dell’art. 1173 c.c. e segg.") è inammissibile non solo perchè generico ed astratto, in quanto non richiama la fattispecie da decidere, nè il principio di diritto che si assume violato dalla sentenza impugnata;

sia perchè da per ammesso ciò che il ricorso dovrebbe dimostrare, cioè che l’adempimento (si suppone, del Cravattificio) è stato diverso da quello concordato, in contrasto con quanto accertato in fatto dalla Corte di appello, senza indicare le circostanze che dimostrerebbero l’errore in cui questa sarebbe incorsa ed i conseguenti vizi di motivazione. E’ appena il caso di ricordare che gli addebiti di vizio di motivazione debbono contenere l’indicazione del mancato od insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione. Tali vizi non possono consistere, invece, nella mera difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, poichè spetta solo al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; ed alla Corte di Cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti (cfr., fra le tante, Cass. civ. Sez. 1, 16 novembre 2000 n. 14858; Cass. civ. Sez. 3, 19 novembre 2007 n. 23929; Cass. cìv. Sez. lav. 2 luglio 2008 n. 18119).

2.- Il ricorso deve essere rigettato.

3.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per onorari; oltre al rimborso delle spese generali ed agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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