Cass. civ. Sez. III, Sent., 12-06-2012, n. 9514 Danni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel dicembre del 2001 Z.M. evocò in giudizio dinanzi al tribunale di Venezia il comune di Castelfranco Veneto e la regione Veneto, per sentirli condannare, alternativamente o in solido, al risarcimento del danno patito a seguito di una trasfusione praticatagli nel (OMISSIS) presso l’ospedale di (OMISSIS), all’esito della quale aveva contratto una epatopatia irreversibile di tipo C, come emerso, nel settembre del 2000, all’esito di uno specifico test al quale egli si era sottoposto.

Il giudice di primo grado, ritenuta la legittimazione passiva della sola regione Veneto, respinse nel merito la domanda. La corte di appello di Venezia, investita del gravame proposto dallo Z., dopo aver esclusa la legittimazione passiva della regione Veneto, lo rigettò, ritenendo in fatto impredicabile qualsivoglia responsabilità responsabilità dei medici che decisero ed eseguirono la trasfusione. La sentenza è stata impugnata da Z.M. con ricorso per cassazione articolato in 5 motivi.

Resistono con controricorso la regione Veneto e il comune di Castelfranco, costituito altresì come ricorrente incidentale. Al ricorso incidentale del comune resiste la regione Veneto. Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

Il ricorso principale è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 183 c.p.c., comma 5 previgente.

Con il secondo motivo, si denuncia ancora violazione dei criteri di riparto dell’onere probatorio in ordine all’indicazione alla trasfusione e rapporti di tale indicazione con il consenso informato del paziente. I motivi – che lamentano un preteso error iuris in cui sarebbe incorso il giudice di appello nell’escludere (per violazione del divieto di ius novorum) la legittimità della domanda volta a lamentare la violazione dell’obbligo di acquisire, da parte dei sanitari, un idoneo consenso informato da parte dello Z., con conseguente, ulteriore errore compiuto dalla corte territoriale sul tema del riparto del relativo onere probatorio – sono privi di pregio.

Esso si infrangono, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui questi ha condivisibilmente ritenuto che la questione della pretesa mancanza di consenso informato fosse preclusa dall’irredimibile carattere di novità che la caratterizzava, attesane la evidente diversità di causa petendi rispetto alla domanda originaria, indiscutibilmente circoscritta alla sola scelta della terapia trasfusionale da parte dei medici (diversità destinata a riverberarsi, va aggiunto, sull’oggetto della tutela invocata, rispettivamente il diritto alla salute e quello alla autodeterminazione).

E tale nuova causa petendi (nemmeno evidenziata in sede di conclusioni definitive rassegnate in primo grado) non poteva certo essere legittimamente introdotta in corso di causa con una semplice memoria.

A tale, corretta motivazione va altresì aggiunto che la mancanza di consenso informato non potrebbe in ogni caso ritenersi sufficiente ad integrare i necessari estremi del fatto dannoso ingiusto risarcibile, difettando, nella specie, ogni utile analisi del profilo causale dell’evento, secondo le regole, operazionali e probatorie, di recente indicate dalla sentenza n. 2847/2010 di questa sezione – regole cui il collegio intende dare senz’altro continuità.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2691 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 192 c.p.c. per avere attribuito valore probatorio a considerazioni puramente deducenti del CTU, per di più non agganciate a dati di fatto allegati dal medesimo – Vizio logico nella valutazione della rilevanza probatoria dei dati di fatto.

Il motivo è inammissibile.

Sotto la apparente veste della violazione di legge, difatti, la doglianza mira esclusivamente a rimettere in discussione la valutazione, di stretto merito, compiuta dal giudice di appello sulla base delle risultanze della disposta consulenza il cui contenuto, diversamente da quanto opinato dalla difesa di parte ricorrente, corrisponde perfettamente a quanto demandato all’ausiliario del giudice in punto di accertamento fattuale conseguente al petitum attoreo.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione dell’art. 2691 c.c. – La questione della cultura medica dell’epoca come fatto da provare.

La doglianza – che contesta al CTU e per esso al giudice territoriale di non aver tenuto conto delle indicazioni contenute in un manuale americano edito del 1963 ad uso degli specializzando, che paventava il rischio di possibili complicanze trasfusionali – non può essere accolta.

La questione risulta, difatti, affrontata e risolta ex professo dalla sentenza impugnata, che, nel recepire e far motivatamente proprie le conclusioni della consulenza, evidenzia come lo stesso ricorrente avessse escluso, con riferimento all’Italia, la conoscenza ilio tempore delle complicanze trasfusionali in chirurgia.

La motivazione, scevra da errori logico-giuridici, si sottrae, pertanto, alla censura di violazione di legge sollevata con il motivo in esame.

Con il quinto motivo, infine, si denuncia un preteso vizio logico di motivazione. Confusione tra i concetti esposti nell’ultima parte della motivazione.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente, difatti, nel ricostruire personalmente l’itinerario diagnostico-terapeutico che a suo dire andava seguito nella specie, si limita a sovrapporre le proprie, personali convinzioni a quelle del giudice di merito, senza peraltro indicare in cosa consisterebbe il fatto decisivo in ordine al quale sarebbe nella specie predicabile un vizio motivazionale della sentenza di appello.

In proposito, risulta ius receptum presso questa corte regolatrice (tra le molte, Cass. 11936 del 2003) il principio secondo il quale il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioè l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata, vizi che non possono in ogni caso e sotto alcun profilo consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte.

Il motivo, pur lamentando formalmente un (peraltro generico) difetto di motivazione, si risolve, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica a attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove ed. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Il ricorso è pertanto rigettato, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato.

La disciplina delle spese, che possono – per motivi di equità scaturente dalla obbiettiva, sia pur diacronica incertezza e delicatezza della materia trasfusionale sotto il profilo risarcitorio – essere in questa sede compensate, segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale, e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012
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