Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-06-2012, n. 9511 Assegno di invalidità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 16 marzo 2010, la Corte d’appello di Potenza confermava la decisione di primo grado del Tribunale della medesima città, che aveva rigettato la domanda proposta da S.V., al fine di ottenere il riconoscimento de beneficio previdenziale in godimento (assegno ordinario di invalidità) nella gestione commercianti, anzichè nell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, nella quale si era perfezionato il requisito amministrativo.

La Corte d’appello, pur dando atto che la L. n. 613 del 1966, art. 21 secondo cui il trattamento pensionistico andava liquidato nella gestione nella quale l’interessato risulta aver contribuito da ultimo, deve ritenersi non più vigente, a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 222 del 1984, ha ritenuto di poter trarre da tale previsione un utile criterio ermeneutico per l’individuazione del corretto modo di operare della p.a. La Corte di merito ha aggiunto che, in senso contrario, non può essere valorizzato la L. n. 233 del 1990, art. 16 sia per l’inapplicabilità della previsione all’assegno ordinario di invalidità, sia perchè essa opera solo nell’ipotesi, non ricorrente nella specie, che l’assicurato non abbia comunque raggiunto, nell’ambito di una determinata gestione, il requisito contributivo, sia perchè il cumulo rileva ai soli fini del diritto alla pensione e non anche per la determinazione del trattamento pensionistico.

Avverso tale sentenza lo S. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. Resiste con controricorso l’INPS, che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lo S. lamenta erronea interpretazione, violazione e falsa applicazione della L. n. 222 del 1984, artt. 1 e 2 e della L. n. 233 del 1990, art. 16.

In particolare, il ricorrente sostiene che la L. n. 222 del 1984, lungi dal perseguire l’obiettivo di escludere, in assenza di specifiche disposizioni, l’applicazione delle norme che disciplinano i trattamenti pensionistici alle prestazioni da essa previste, si è limitata a trasformare la precedente pensione di invalidità in assegno ordinario di invalidità, introducendo una tutela aggiuntiva (pensione di inabilità) per coloro che fossero totalmente e permanentemente inabili. A conferma di tale ricostruzione, ha valorizzato il fatto che la L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 3 dispone che l’assegno è calcolato secondo le norme in vigore nell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti o nelle gestione speciali dei lavoratori autonomi.

La natura pensionistica dell’assegno ordinario comporta, pertanto, che il suo ammontare va calcolato alla stregua della disciplina ordinaria che prevede il cumulo di tutta la retribuzione.

Il ricorrente ha contestato l’interpretazione della Corte d’appello, secondo la quale la L. n. 233 del 1990, art. 16 non sarebbe applicabile nel caso di specie, perchè il cumulo andrebbe limitato alla sola ipotesi in cui l’assicurato non abbia raggiunto in alcuna gestione il requisito contributivo e ha concluso affermando che l’INPS avrebbe dovuto liquidare la prestazione rapportandola a due quote: una derivante dai contributi accreditatigli quale lavoratore dipendente e l’altra calcolata in base alla contribuzione versata nella gestione commercianti.

2. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lo S. lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, dal momento che la Corte d’appello non aveva esaminato, nonostante il puntuale richiamo operato in tutti gli scritti difensivi, le norme coordinate emesse dall’INPS nel luglio 1992, le istruzioni contenute nel sito web dell’Istituto Eureka – La pensione, e la circolare n. 54 del 27 febbraio 1991 nella quale lo stesso INPS aveva riconosciuto la cumulabilità di tutta la contribuzione e la possibilità per l’assicurato di optare per il trattamento più favorevole.

3. Il primo motivo è infondato.

Va precisato che sia in primo che in secondo grado il ricorrente ha richiesto "il riconoscimento del beneficio previdenziale in godimento (assegno ordinario di invalidità) in diversa gestione contributivà(pag. 2 della sentenza impugnata e pag. 2 del ricorso per cassazione). Non risulta che nella fase di merito l’istante abbia formulato domande intese ad ottenere la liquidazione della prestazione in due quote (secondo la conclusione di cui a pag. 10 del medesimo ricorso per cassazione).

La puntualizzazione è rilevante, perchè, qualora il ricorrente intendesse censurare la decisione della Corte d’appello di Potenza per non avere riconosciuto il diritto alla liquidazione dell’assegno ordinario di invalidità in due quote, il ricorso sarebbe inammissibile.

Infatti, è orientamento pacifico di questa corte (v., ad es., Cass. 13 settembre 2007, n. 19164) che ne giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, neanche se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Per superare il rilievo della novità della questione è onere del ricorrente, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente la questione sia stata dedotta.

Ora, nella specie, non emerge alcun profilo fattuale concernente il concreto criterio di computo dell’assegno ordinario di invalidità riconosciuto allo S..

3.1. Quanto alla pretesa a conseguire l’assegno ordinario nella gestione commercianti, il ricorso, come si diceva, è infondato. La L. n. 223 del 1990, art. 16 dispone quanto segue:

1. Per i lavoratori che liquidano la pensione in una delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi con il cumulo dei contributi versati nelle medesime gestioni o nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, l’importo della pensione è determinato dalla somma: a) della quota di pensione calcolata, ai sensi degli artt. 5 e 8, sulla base dei periodi di iscrizione alle rispettive gestioni;

b) della quota di pensione calcolata, con le norme dell’assicurazione generale obbligatoria, sulla base dei periodi di iscrizione alla medesima dei lavoratori dipendenti.

2. Gli oneri relativi alle quote di pensione di cui al comma 1 sono a carico delle rispettive gestioni assicurative.

3. Resta ferma per l’assicurato la facoltà di avvalersi delle disposizioni di cui alla L. 7 febbraio 1979, n. 29.

3.2. Da tale norma non emerge l’esistenza di un diritto dell’assicurato al conseguimento dell’assegno ordinario nella gestione che, a suo avviso, gli assicuri il trattamento più favorevole.

4. In relazione al secondo motivo, il ricorso è improcedibile. A parte ogni considerazione sulla decisività delle circolari dell’Istituto ai fini della risoluzione della controversia, dal momento che esse, in quanto tali, non possono derogare alle disposizioni di legge e neanche possono influire nell’interpretazione delle medesime disposizioni, e ciò anche se si tratti di atti del tipo ed. normativo, che restano comunque atti di rilevanza interna all’organizzazione dell’ente (cfr. Cass. 6 maggio 2005 n. 11094), si deve osservare che il ricorrente, limitatosi in ricorso ad affermare che unitamente a tale atto sarebbero stati depositati i fascicoli di parte delle precedenti fasi del giudizio, non ha in tal modo adempiuto all’onere imposto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4. A tale riguardo le Sezioni unite di questa Corte con la pronuncia 3 novembre 2011, n. 22726 hanno precisato che "In tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7 di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi".

Per il criterio della soccombenza, le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente, non potendosi fare applicazione, in mancanza di prova delle condizioni richieste per l’esenzione dal relativo onere, dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ne testo risultante dopo la modifica introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito nella L. 24 novembre 2003, n. 326 e qui da applicare, essendo stato il giudizio di primo grado instaurato con ricorso depositato il 13 marzo 2008, ossia successivamente all’entrata in vigore della suddetta modifica.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’INPS delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi e in Euro 2.000,00, per onorari, oltre iva, cap e rimborso spese generali.

Così deciso in Roma, il 24 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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