Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-06-2012, n. 9499

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 671 del 2009, rigettava l’appello proposto da D.E. nei confronti di Poste Italiane spa, in ordine alla sentenza del Tribunale di Roma n. 9734 del 2006.

2. Il giudice di primo grado, avendo ritenuta legittima l’apposizione del termine, aveva rigettato la domanda della lavoratrice volta ad ottenere l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto stipulato con la società Poste Italiane, con la conseguente declaratoria della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data dell’assunzione e la condanna della controparte al ripristino del rapporto, nonchè al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate oltre accessori.

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre D.E., prospettando un motivo di ricorso.

4. Resiste Poste Italiane spa con controricorso.

5. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso D.E. ha prospettato la violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175, 1375 e 2697 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3), e il vizio di motivazione insufficiente ed incongrua (art. 360 c.p.c., n. 5).

Ad avviso della D., erroneamente la Corte d’Appello avrebbe ritenuto intervenuta la risoluzione del contratto per mutuo consenso, pur non sussistendo i parametri di valutazione fissati in merito dal giudice di legittimità.

Il giudice di secondo grado riteneva sufficiente il lasso temporale trascorso di solo poco più di tre anni; individuava ulteriori circostanze significative nella durata del contratto di lavoro a termine al tempo stipulato; poneva a carico della lavoratrice l’onere di dimostrare il perdurante interesse al rapporto di lavoro, quale volontà di segno contrario a quella risolutoria accertata solo sulla base di presunzioni, ometteva di valutare l’inserimento della lavoratrice in un graduatoria interna alla società per l’assunzione dei cd. lavoratori trimestrali e non dava rilievo alla mancanza di prova da parte di Poste Italiane della eccepita acquiescenza della lavoratrice.

1.1. Preliminarmente, va rilevato che la prospettazione impugnatoria si sottrae alla eccezione di inammissibilità, dedotta dalla controricorrente, in ragione della specificità e conferenza della stessa.

Il motivo è fondato e deve essere accolto.

Come questa Corte ha più volte affermato, "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto" (Cass. 04.08.2011 n. 16932, Cass. 10.11.2008 n. 26935, Cass. 28.9.2007 n. 20390, Cass. 17.12.2004 n. 23554, Cass. 11.12.2001 n. 15621).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre che, come pure è stato precisato, "al fine della dimostrazione della chiara e certa comune volontà delle parti di porre fine ad ogni rapporto lavorativo, non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, o il semplice ritardo nell’esercizio del diritto" (Cass., 11.03.2011 n. 5887), e "grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso dei contratti succedutisi nel tempo, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro" (Cass. 04.08.2011 n. 16932, Cass. 2.12.2002 n. 17070).

Nella specie la motivazione della decisione della Corte d’Appello di Roma, non supera il vaglio di legittimità.

La stessa, fonda l’intervenuta risoluzione per mutuo consenso sulla breve durata dell’esecuzione del contratto (l’unico contratto a termine era stipulato dal 2 ottobre 2000 al 31 gennaio 2001), sulla lunghezza, ritenuta notevolissima, di non attuazione del rapporto (il contratto aveva termine il 31 gennaio 2001 e la notifica dell’atto introduttivo della lite, avveniva il 24 marzo 2005), sulla mancanza di qualsiasi manifestazione di interesse da parte del lavoratore alla funzionalità di fatto di esso nel tempo antecedente la proposizione dell’azione giudiziaria.

In tal modo, la Corte d’Appello, riferendosi ad un dato oggettivo non riconducibile alla volontà della lavoratrice (durata del contratto a termine), attribuendo rilievo al mero decorso del tempo, di per sè non incompatibile, in assenza di altri elementi, con l’esigenza di prendere consapevolezza della propria posizione giuridica e di assumere le conseguenti azioni legali (cfr., Cass., 11 marzo 2011 n. 5887, che ha ritenuto non rilevante un periodo di tempo di due anni e mezzo), invertendo l’onere della prova nel fare generico riferimento alla mancanza di manifestazioni di interesse da parte della lavoratrice, senza tener conto di quanto dedotto dalla D. in ordine al persistente interesse all’assunzione in ragione dell’inserimento del proprio nominativo in una graduatoria interna per l’assunzione dei cd. trimestrali, non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

2. Il ricorso deve, pertanto, essere accolto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *