Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-06-2012, n. 9498 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che:

1. la Corte d’appello di Salerno, in riforma della sentenza di prime cure, ha dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro con decorrenza 3 giugno 2000 stipulato da Poste Italiane s.p.a. con D.F.S.;

2. per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso; il lavoratore ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale;

3. la causa, inizialmente fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., è stata poi inviata alla Sezione lavoro per la trattazione in pubblica udienza;

4. preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza;

5. osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo ai fini della statuizione sull’illegittimità del termine, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998;

tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione in relazione alla statuizione concernente la nullità del termine apposto al contratto de quo, statuizione censurata con i primi due motivi del ricorso principale;

al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi cast di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;

cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.);

6. così respinti i primi due motivi di ricorso, osserva il Collegio che con il terzo motivo di censura (nel quale si ipotizza la violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 cod. civ. in relazione alla statuizione della sentenza impugnata che ha condannato la società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data della notifica del ricorso in primo grado) la società ricorrente principale lamenta, in particolare, la mancanza di verifica della sussistenza e dell’ammontare del danno;

il motivo è ammissibile in quanto esposto in modo sufficientemente specifico e conferente atteso che lo stesso solleva la questione della prova in tema di risarcimento del danno quale conseguenza della nullità del contratto, anche con riferimento all’entità di tale danno;

7. osserva il Collegio che sul risarcimento del danno in questione è intervenuto lo ius superveniens rappresentato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7, i quali dispongono che: 5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati dalla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.

6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedono l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto della metà.

7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421c.p.c..

tale disciplina, applicabile a tutti i giudizi pendenti, anche in grado di legittimità (sul punto cfr. Cass. (ordin.) 28 gennaio 2011 n. 2112), è fondata – come è stato affermato da questa Corte (cfr.

Cass. 31 gennaio 2012 n. 1409; Cass. 31 gennaio 2012 n. 1411) alla luce della sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale n. 303 del 2011 – sulla ratio legis diretta ad "introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione", rispetto alle "obiettive incertezze verificatesi nell’esperienza applicativa dei criteri di commisurazione del danno secondo la legislazione previgente"; la norma, che "non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine, ma, innanzitutto, assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato", in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata va intesa nel senso che "il danno forfetizzato dall’indennità in esame copre soltanto il periodo ed, intermedio, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto", con la conseguenza che a partire da tale sentenza "è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in caso di mancata riammissione effettiva" (risultando altrimenti "completamente svuotata" la tutela fondamentale della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato); nel contempo, sempre alla luce della citata pronuncia della Corte costituzionale, "il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione dell’aliunde perceptum.

Sicchè l’indennità onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionatoria. Essa è dovuta in ogni caso, a limite anche in mancanza di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un’altra occupazione";

in definitiva la norma in oggetto, come affermato dal giudice delle leggi, risulta "adeguata a realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi". Infatti "al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente ad un’indennità che gli è dovuta sempre e comunque, senza necessità nè dell’offerta della prestazione , nè di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, assicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che interessa dalla data di interruzione del rapporto fino a quella dell’accertamento giudiziale del diritto del lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso.

Ma non oltre, pena la vanificazione della statuizione giudiziale impositiva di un rapporto di lavoro sine die". Peraltro la Corte costituzionale (richiamando le proprie pronunce – Corte cost. n. 298 del 2009; Corte cost. n. 86 del 2008; Corte cost. n. 354 del 2006;

Corte cost. (ordin.) n. 102 del 2011; Corte cost. (ordin.) n. 109 del 2010; Corte cost. (ordin.) n. 125 del 2008) ha escluso che "inconvenienti solo eventuali e di mero fatto, che non dipendono da una sperequazione voluta dalla legge, ma da situazioni occasionali e talora patologiche (come l’eccessiva durata dei processi in alcuni uffici giudiziari)" possano rilevare ai fini del giudizio di legittimità costituzionale; del resto circa le "presunte disparità di trattamento ricollegabili al momento del riconoscimento in giudizio del diritto del lavoratore illegittimamente assunto a termine" la Corte costituzionale ha rilevato non solo che "il processo è neutro rispetto alla tutela offerta", ma anche che l’ordinamento predispone particolari rimedi, come quello cautelare, intesi a evitare che il protrarsi del giudizio vada a scapito delle ragioni del lavoratore (Corte cost. n. 144 del 1998), nonchè gli specifici meccanismi riparatori contro la durata irragionevole delle controversie di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89. Inoltre la stessa Corte ha evidenziato che la garanzia economica in questione non è nè rigida nè uniforme e, anche attraverso il ricorso ai criteri indicati dalla L. n. 604 del 1966, art. 8 consente di calibrare l’importo dell’indennità da liquidare in relazione alle peculiarità delle singole vicende, come la durata del contratto a tempo determinato (evocata dal criterio dell’anzianità lavorativa), la gravità della violazione e la tempestività della reazione del lavoratore (sussumibili sotto l’indicatore del comportamento delle parti), lo sfruttamento di occasioni di lavoro (e di guadagno) altrimenti inattingibili in caso di prosecuzione del rapporto (riconducibile al parametro delle condizioni delle parti), nonchè le stesse dimensioni dell’impresa (immediatamente misurabili attraverso il numero dei dipendenti);

a tale interpretazione adeguatrice, indicata (con sentenza interpretativa di rigetto) dal giudice delle leggi come conforme a Costituzione (con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102 e 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, questa Corte, condividendo le argomentazioni sulla ratio della norma e sullo sviluppo dell’operazione ermeneutica, aderisce pienamente, non ravvisando, nel contempo, una diversa interpretazione che sia parimenti non solo rispettosa della Costituzione, ma anche del tutto conforme alla lettera e alla ratio della norma stessa (Cass. 26 gennaio 2010 n. 1581).

così intesa, infatti, l’indennità in esame si prospetta come una sorta di penale – stabilita dalla legge in stretta connessione funzionale con la declaratoria di conversione del rapporto di lavoro – a carico del datore di lavoro per la nullità del termine apposto al contratto di lavoro, penale determinata dal giudice nei limiti e con i criteri dettati dalla legge, a prescindere sia dall’esistenza del danno effettivamente subito dal lavoratore (e da ogni onere probatorio al riguardo) sia dalla messa in mora del datore di lavoro, con carattere "forfetizzato", onnicomprensivo di ogni danno subito per effetto della nullità del termine, nel periodo che va dalla scadenza dello stesso fino alla sentenza che ne accerta la nullità e dichiara la conversione del rapporto. E intesa in tal senso l’indennità in esame appare non solo conforme alla costituzione (v.

Corte cost. n. 303 del 2011) bensì anche pienamente rispondente alla lettera e allo spirito della legge. Altre interpretazioni, del resto, che in qualche modo riducano o eliminino il carattere onnicomprensivo dell’indennità, ovvero ne delimitino ulteriormente il periodo di copertura in ragione di elementi (come la messa in mora o l’epoca della domanda) estranei alla fattispecie legale, al pari di quelle, opposte, estensive del periodo medesimo, risulterebbero travalicare i detti fondamentali criteri ermeneutici;

in definitiva la suddetta normativa sopravvenuta va applicata al caso di specie atteso che questa Corte è stata investita da un valido e pertinente motivo di ricorso in ordine all’entità del risarcimento del danno. IN linea di principio, infatti, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr., fra le tante, Cass. 8 maggio 2006 n. 10547);

pertanto, nei sensi e nei limiti del detto ius superveniens, deve essere accolto il terzo motivo di ricorso;

8. deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, atteso che lo stesso risulta notificato alla controparte a mezzo posta e non è stato depositato l’avviso di ricevimento, come risulta evidente, in particolare, dalla nota di deposito e dall’ esame del fascicolo processuale. Inoltre nessuno era presente per il ricorrente incidentale all’udienza di discussione. Sulle conseguenze del suddetto mancato deposito deve infatti applicarsi il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 14 gennaio 2008 n. 627, recentemente ribadito da Cass. 4 giugno 2010 n. 13639), secondo cui, premesso che la produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 149 cod. proc. civ., è richiesta dalla legge in funzione della prova dell’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, dell’avvenuta instaurazione del contraddittorio, la mancata produzione dell’avviso di ricevimento, in assenza di attività difensiva da parte dell’intimato, determina l’inammissibilità del ricorso per cassazione, non essendo consentita la concessione di un termine per il deposito e non ricorrendo i presupposti per la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ..

9. la sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione alla censura accolta con rinvio alla Corte d’appello di Napoli che provvederà, nella specie, anche ai sensi di quanto disposto in rito dal citato art. 32, comma 7.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il terzo motivo del ricorso principale, rigettati i primi due; dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il nella Camera di consiglio, il 1 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2012

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