Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 18-10-2011) 25-11-2011, n. 43665

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.0 Con istanza depositata in data 14 luglio 2011 nella cancelleria della Corte d’appello di Venezia, B.G. in G. G.F. e G.T. in qualità di parti civili – come rappresentate e difese dall’avv. Giuseppe Dante – costituite nel procedimento penale pendente in grado d’appello nei confronti di: D. N.D., C.F.M.; H.C. S. e Z.M. – imputati del delitto di cui all’art. 589 cod. pen. per aver cagionato, ognuno con condotte indipendenti, la morte di G.G., deceduto in (OMISSIS) a seguito di "shock settico in diffusa metastatizzazione di adenocarcinoma renale a piccole cellule" – richiedono la rimessione ad altra sede giudiziaria del suddetto procedimento à sensi degli artt. 45 e segg. c.p.p. previa declaratoria di non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale della citata disposizione nella parte in cui non annovera tra i soggetti legittimati a proporre l’istanza di rimessione, anche la persona offesa costituita parte civile, disposta conseguentemente la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente procedimento.

1.1. Deducono preliminarmente le istanti, a sostegno della non manifesta infondatezza della proposta eccezione di illegittimità costituzionale, la violazione degli art. 3, 24 e 111 Cost..

L’esclusione della legittimazione della parte civile ad avanzare istanza di rimessione del procedimento ex artt. 45 e segg. c.p.p. (riconosciuta unicamente alla Pubblica Accusa ed all’imputato) si assume porsi in irragionevole contrasto con i principi costituzionali di parità delle parti dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale, nell’ambito di un processo penale nel quale, nel rispetto del contraddittorio e del principio di uguaglianza, il diritto di difesa risulta garantito a tutte le parti. Orbene, nel caso di specie in cui il Pubblico Ministero aveva apertamente "scelto di porsi in contrasto con gli interessi della vittima del reato, non perseguendo i colpevoli di gravi reati", assumono le parti civili istanti (peraltro titolari di interessi peculiari quali quello al risarcimento del danno di cui la Pubblica Accusa non può farsi interprete) che, a fronte dei denunziati pregiudizi ambientali, del tutto prive di tutela erano rimaste le loro ragioni; tutela che, in via teorica, la legittimazione della Pubblica Accusa ad avanzare l’istanza de qua avrebbe dovuto assicurare.

1.2 A sostegno della richiesta di rimessione del processo, le parti civili deducono poi i seguenti motivi.

1) Assumono, in primo luogo, che la grave situazione locale denunziata trae origine dalla denegata giustizia che il Procuratore Capo di Padova dr. Ca.Pi. aveva tentato di attuare, non incriminando alcuni imputati eccellenti che potevano godere di conoscenze di politici altolocati, uno dei quali si giovava della difesa assunta da un legale amico del suddetto Procuratore. In tale ottica si iscriveva, ad avviso delle ricorrenti, la serie di comportamenti e decisioni dei vari protagonisti della vicenda processuale, improntati alla medesima finalità di recare pregiudizio alle istanti quali:

– l’iniziale diniego all’esame necroscopico giudiziario della vittima nel presunto difetto di un fumus di reato invece ben evidenziato nell’esposto presentato alla Procura della Repubblica di Padova;

– la serie di rinunzie "sospette" dei vari medici legali officiati dalle stesse parti civili perchè presenziassero all’esame necroscopico;

– gli inspiegabili ed immotivati rinvii delle varie fasi del procedimento a carico dei quatto imputati denunziati e rinviati a giudizio dopo il deposito della perizia favorevole alle parti civili;

– la successiva "gestione" del processo di primo grado in termini palesemente non imparziali da parte del Giudice del Tribunale monocratico di Padova dr.ssa F.L., che aveva fatto oggetto di atti di inaudita violenza verbale la parte civile G. F., in quanto colpevole di aver tacciato di falsità la ulteriore perizia disposta al dibattimento siccome ritenuta dalle istanti "sovversiva di tutto lo scibile scientifico acquisito e delle leges naturae";

– la colpevole inerzia sia del Presidente del Tribunale di Padova che del Procuratore Capo della Repubblica dr. Ca.Pi. per non aver dato seguito alle plurime notizie di reato contenute nelle memorie delle parti civili "dando ancor più agio al giudice corrotto di mettere in atto il decisum salvifico preordinato". 2) La sentenza di assoluzione di primo grado – aggiungono le istanti – era appellata dal nuovo Procuratore Capo della Repubblica di Padova dr. M.M. (che aveva sostituito il dr. C. P., frattanto nominato Procuratore Generale di Venezia) che aveva condiviso l’atto d’appello proposto dalle parti civili "in cui si sostiene la dolosità del reato di omicidio commesso dai tre imputati eccellenti scagionati a seguito della più sporca e falsa perizia" medico-legale, come testualmente riporta l’istanza. Deducono altresì le richiedenti che uno degli Imputati, H.C., pur colpito da numerose condanne e pur pendendo a suo carico un centinaio di procedimenti penali e civili, continua ancora ad esercitare la professione di chirurgo, godendo di coperture politiche abnormi e disponendo di un patrimonio abnorme, come dallo stesso ammesso nel corso di altro procedimento giudiziario; mentre l’altro imputato, C.F., vanta la conoscenza dell’ex – Ministro della Giustizia M. che si era informato per telefono presso la Procura di Padova dello stato del procedimento che sicuramente si concluderà con la sua assoluzione.

3) Le notizie di reato emerse dalle denunzie-querele presentate dalle parti civili a carico del Giudice dr.ssa F.L. per il reato di diffamazione e dell’avv. Giovanni Chiello – difensore dell’imputato D.N. – (giunto fino a calunniare la parte civile G.F. in data 13 marzo 2008) erano state trasmesse dal Procuratore Capo di Padova alla Procura di Trento, per ragioni di competenza. Quest’ultimo Ufficio aveva poi provveduto a richiederne l’archiviazione – nonostante l’evidenza documentale della sussistenza dei fatti denunziati dalle parti civili – omettendo peraltro la notifica di detta richiesta al difensore. Nè alcuna Procura della Repubblica veneta aveva inteso procedere alla incriminazione dei periti medico-legali pur in presenza di "prove invalicabili della falsità peritale", ammessa, pur solo oralmente, dal P.M. di Padova dr.ssa D..

4) Quanto al giudizio d’appello, lamentano le parti civili che esso veniva fissato solo due anni dopo, per l’udienza del 6 maggio 2010, subendo subito molteplici rinvii a seguito di continui mutamenti nella composizione del Collegio giudicante della Corte d’appello di Venezia nonchè del Consigliere relatore.

Il Consigliere relatore era infine designato nella dr. ssa Pa.. Costei era risultata far parte del Consiglio giudiziario insieme all’avv. G Chiello, difensore dell’imputato D. N..

Nel corso della trattazione del processo d’appello, rimarcano le istanti, nell’ottica del denunziato pregiudizio ad una corretta ed imparziale trattazione, che:

– veniva respinta la richiesta dalle stesse avanzata di fonoregistrazione delle udienze che avrebbe potuto aver luogo solo a loro spese;

– il rappresentante in udienza della Procura Generale dr. Ch. aveva "dismesso" l’appello "veritiero" proposto dal Procuratore della Repubblica di Padova anche nei confronti degli imputati H. e C., la cui colpevolezza, a titolo di dolo, era certa anche per il più sprovveduto degli uomini, concludendo per l’applicazione della prescrizione;

– nel corso dell’udienza successiva nel corso della quale avevano avuto la parola i difensori degli imputati, il Sostituto Procuratore Generale aveva annuito alle affermazioni dei predetti difensori per poi rassicurarli, nel corso di una pausa dell’udienza, sulla certa declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto dalla Pubblica Accusa;

– la parte civile G.F. era stata aggredita dal Presidente del Collegio e sanzionata con l’ordine di restare fuori dall’aula dalla quale era stata costretta ad uscire perchè fatta oggetto delle continue provocazioni, calunnie ed offese a lei rivolte dai difensori degli imputati;

– la memoria depositata dal difensore delle parti civili, a quanto scoperto da G.F. prima della successiva udienza, veniva rinvenuta intonsa nella scatola dei documenti clinici della vittima al pari dell’appello delle parti civili, contrariamente agli altri documenti invece portati nel proprio studio dal Consigliere relatore che custodiva, nella propria cartellina, una selezione di documenti "chiaramente orientata dalla parte degli imputati" ivi inclusa la "falsa perizia";

– il Collegio aveva infine denegato il rinvio del processo richiesto dalle patti civili con motivata istanza a seguito dei denunziati accadimenti atti ad ingenerare il legittimo sospetto della sussistenza di condotte incompatibili con una corretta ed imparziale conduzione dello stesso.

2.0 Con ordinanza pronunziata il 14 luglio 2011, la Corte d’appello di Venezia, preso atto dell’istanza di rimessione proposta, provvedeva a sospendere il processo rimettendo a questa Corte anche la pronunzia incidentale in ordine alla eccezione di incostituzionalità sollevata dalle patti civili istanti.

2.1 Con memoria contenente osservazioni integrative alla già proposta istanza di rimessione, depositata in cancelleria il 5 agosto 2011 in uno con la copia di precedente istanza rivolta al Presidente del Collegio giudicante della Corte d’appello di Venezia, il difensore delle parti civili ha insistito per l’accoglimento, in tempi quanto mai brevi, della richiesta di rimessione del procedimento, premessa una diffusa confutazione delle motivazioni della sentenza n. 168 del 2006 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 c.p.p., comma 1, in punto di mancata inclusione della parte civile tra i soggetti legittimati a proporre istanza di rimessione.

2.2 Con memoria depositata in data 6 ottobre 2011, il responsabile civile Azienda ospedaliere S. Giovanni Addolorata con sede in (OMISSIS) ha richiesto la declaratoria di inammissibilità o di rigetto dell’istanza di rimessione de qua, previa declaratoria di manifesta infondatezza della proposta eccezione di incostituzionalità. 2.3 Il difensore dell’imputato H.C., con propria memoria depositata in data 11 ottobre 2011, ha richiesto a questa Corte di dichiarare manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 45 c.p.p. sollevata dalle parti civili e, conseguentemente, di far luogo alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza di rimessione per legittima suspicione proposta dalle stesse parti.

2.4 Con ulteriore memoria depositata in cancelleria in data 12 ottobre 2011 – in uno con la copia di documenti – il difensore delle parti civili e la parte civile G.F. hanno concluso per la declaratoria di non manifesta infondatezza dell’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 45 cod. proc. pen. e dell’intero titolo 6 del libro 1 del codice di rito nella parte in cui non riconosce alla persona offesa la qualità di parte processuale al pari dell’imputato e del danneggiato costituito parte civile" confutando in particolare le obiezioni in merito alla stessa introdotte dal responsabile civile con la succitata memoria.

Motivi della decisione

3.0 Nel corso dell’udienza non è stata accolta la richiesta di una delle istanti, parte civile, di intervenire personalmente, formulata dopo gli interventi e le conclusioni assunte dalla parte pubblica e dai difensori delle parti private.

Una tale richiesta deve, difatti, ritenersi irrituale sotto più profili:

a) la procedura ex art. 127 c.p.p., richiamata dall’art. 48 c.p.p., comma 1, deve pur sempre essere ragguagliata alla specificità del procedimento che si svolge davanti alla Corte di Cassazione, dovendo perciò trovare applicazione la regola di cui all’art. 614 c.p.p., comma 2, per la quale, in sede di legittimità, "le parti private possono comparire per mezzo dei loro difensori". In tal senso ha già pregressa mente statuito questa Suprema Corte (Sez. 1, 29.11.1994, n. 5723), che ha chiarito che, in tema di rimessione del processo, l’avviso della data di fissazione dell’udienza camerale, preordinata all’intervento delle parti, è dovuto "a tutte le parti del rimettendo processo che, per la peculiarità del giudizio di cassazione, si identificano nei difensori delle parti private e nel Procuratore Generale presso la Corte Suprema".

Vero è che è riscontrabile un arresto giurisprudenziale (Sez. 6, n. 40492/2005) che afferma un principio difforme. Tale pronuncia, tuttavia, appare allo stato del tutto isolata, non successivamente ripresa nè confermata da altre decisioni, mentre, nella prassi anche successiva a tale sentenza, a quel che consta, si è sempre osservato il principio di diritto affermato dalla suindicata decisione n. 5723/1994. Anche nel caso di specie, per le parti private assistite da difensori di fiducia, l’avviso è stato dato solo a questi ultimi, in condivisa conformità all’affermato, suindicato principio di diritto, senza che nel corso dell’udienza sia stata sollevata eccezione alcuna al riguardo dal difensore delle parti private, che, presente, ha compiutamente svolto la sua difesa. La norma di cui al precitato art. 614 c.p.p. è inserita nel titolo terzo, intestato "ricorso per cassazione", ma la regola appare di carattere generale, l’unica disciplinante il "procedimento" davanti alla Corte di Cassazione (capo 2 di quel titolo), quindi applicabile anche alla procedura de qua, quanto meno in via necessariamente analogica;

b) le istanti sono parti civili costituite nel giudizio di merito ed esse hanno rilasciato al proprio difensore, avv. Giuseppe Dante, procura speciale "affinchè presenti istanza di remissione del processo per legittimo sospetto con questione di legittimità costituzionale…". "La procura di cui agli artt. 76 e 122 c.p.p. tende ad attribuire al procuratore la capacità di essere soggetto del rapporto processuale…" (Sez. Un., 27.10.2004, n. 44712). "Il difensore di parte civile, munito di procura speciale ex art. 76 c.p.p. e di nomina a provvedere alla difesa ex art. 78 c.p.p., lett. c) e art. 100 c.p.p., è depositario sia della legitimatio ad causam… sia della rappresentanza processuale… (Sez. 4, 7.3.1996, n. 4161). Ai sensi dell’art. 122 c.p.p., "il procuratore speciale non è quello dotato di semplice ius postulandi, ma quello cui viene attribuita una rappresentanza di diritto sostanziale, essendo il procuratore speciale, per la natura stessa della procura conferitagli, chiamato a disporre del diritto del suo rappresentato" (Sez. 4, 25.2.1994, n. 282; Sez. 4, 6.10.1999, n. 2934). "Il difensore che sia anche procuratore speciale ai sensi dell’art. 76 c.p.p. sostituisce in tutto e per tutto la parte che rappresenta ed è legittimato a compiere tutti gli atti che la legge riserva a quest’ultima…". L’intervento delle parti civili, quindi, è rimasto assicurato merce l’intervento del loro procuratore speciale, che ha compiutamente espresso il contenuto, la sostanza, le argomentazioni poste a fondamento della proposta richiesta;

e) peraltro, nella specie le parti private non erano presenti all’inizio dell’udienza camerale; sono sopraggiunte quando già la discussione era da tempo iniziata e nel corso della stessa, dopo la requisitoria del P.G., durante l’intervento lungamente protrattosi del difensore. Esse hanno assistito allo svolgimento delle contrapposte difese delle parti private, nessuna richiesta proponendo in tale frangente. Solo dopo la conclusione della discussione, con l’esplicitazione delle rispettive conclusive richieste, una delle parti presenti ha rappresentato di voler intervenire, ed a quel punto appariva evidente che non era più possibile a tanto procedere, dopo che il pubblico ministero ed i difensori avevano definitivamente rassegnato le rispettive conclusioni, perciò ormai conclusosi il contraddittorio.

4.0 Ritiene la Corte manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45 c.p.p., comma 1, introdotta con la richiesta di rimessione e successivamente estesa, con memoria depositata il 12 ottobre 2011 "all’intero Titolo 6 del libro Primo del codice di procedura penale" in relazione al mancato riconoscimento della qualità di parte, alla persona offesa da reato.

Le istanti parti civili propongono la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 45 c.p.p., comma 1, nel testo in vigore, come novellato dalla L. 7 novembre 2002, n. 248, art. 1, comma 1, nella parte in cui non attribuisce anche alla parte civile la legittimazione ad avanzare istanza di rimessione del procedimento, in ragione del ritenuto contrasto con l’art. 3 Cost., art. 24 Cost., comma 2, e art. 111 Cost., tale dedotta illegittimità costituzionale ampliando poi, con la suindicata memoria, a tutto il titolo 6 del libro 1 del codice di rito, che riguarda la persona offesa dal reato.

La questione, anche in riferimento a tale ultima estensione al complesso di norme, asseritamente affetto da illegittimità costituzionale è, tuttavia, sostanzialmente proposta sulla base dei medesimi argomenti che già sono stati rimessi allo scrutinio di legittimità costituzionale dalla Sezione 1 di questa Corte con l’ordinanza 16 giugno 2004 n. 27048, ovviamente non rilevando le ulteriori deduzioni e prospettazioni di matrice non prettamente giuridica, bensì di natura storico-politica (oggetto delle diffuse dissertazioni illustrative contenute nelle sopracitate memorie) scaturenti dalle rappresentate nuove aspettative insorte negli anni recenti (anche grazie alla diversa evoluzione seguita da taluni ordinamenti giuridici stranieri del pari evidenziata dalle deducenti), semmai da valutarsi de jure condendo, in altra sede.

4.1 Com’è noto, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 168 del 2006, ha già dichiarato non fondata la proposta eccezione. Nè il Collegio ravvisa, nella questione di incostituzionalità oggi riproposta dalle parti civili, alcun elemento di novità rispetto a quelli già scrutinati dal Giudice delle leggi, tale da indurlo a non ritenere, pertanto, la manifesta infondatezza della eccezione.

Richiamando, quindi, per sommi capi l’iter argomentativo di tale sentenza, ha ben chiarito la Corte Costituzionale che la mancata legittimazione della parte civile a presentare l’istanza di rimessione non costituisce "una scelta discriminatoria" giacchè la ratio dell’istituto si fonda sulla necessità di ovviare a gravi situazioni locali che turbano lo svolgimento del processo penale in rapporto al suo naturale oggetto, ovverosia "una specifica accusa mossa nei confronti di un determinato imputato", in guisa da risultare "concettualmente eccentrico" – come si esprime il Giudice delle leggi – l’attribuzione del potere di attivare l’istituto della rimessione in capo alla parte civile che, divenuta parte eventuale del processo penale, avendo, per libera scelta, preferito inserire nello stesso (anzichè in sede propria) l’esercizio dell’azione civile per il risarcimento del danno o per le restituzioni, è giocoforza che ne accetti le "regole e le peculiarità", oltre che le specifiche limitazioni di talune facoltà processuali. Non appare quindi legittimo, in nome del principio di "parità delle parti", omologare, agli effetti della rimessione, situazioni processuali tra loro differenti perchè differenti risultano gli "interessi" di cui la parte civile (o la persona offesa) è portatrice rispetto a quelli facenti capo all’imputato od al pubblico ministero, fermo peraltro il fatto che, come già affermato dalla stessa Corte Costituzionale in relazione alle parti "necessarie" del processo, le "differenze di trattamento processuale tra le parti sono legittime semprechè abbiano una loro ragionevole base all’interno del sistema processuale"; affermazione di principio vieppiù estensibile alla posizione delle parti "eventuali".

Ha infine sottolineato il Giudice delle leggi che solamente in ragione della specifica peculiarità del processo penale, avuto riguardo alla rilevanza degli interessi contrapposti di cui le parti "necessarie" risultano portatrici, può ritenersi plausibile la deroga al precetto del "giudice naturale" di cui all’art. 25 Cost., comma 1, attuata dall’istituto della rimessione. Ed ha altresì chiarito che, "perchè l’imputato possa ragionevolmente subire lo spostamento del processo dal suo giudice naturale, deve essere il suo processo (vale a dire quello penale) ad esser turbato da gravi (ed eccezionali) situazioni locali". Qualora peraltro ciò si consentisse a soggetti (parti eventuali del processo penale) in veste di "cointeressati " o di "controinteressati" rispetto all’imputato od al pubblico ministero, si perverrebbe al risultato paradossale e privo di ragionevolezza, dell’imputato che, citato in veste di convenuto dal danneggiato dal reato, non potrebbe esser distolto dal "suo" giudice naturale civile; mentre invece l’imputato, ove avesse assunto la stessa veste in sede penale a seguito dell’esercizio dell’azione civile per il risarcimento o per le restituzioni promossa dal medesimo danneggiato costituitosi parte civile, "potrebbe subire la rimessione del processo su domanda della stessa parte" alla quale è consentito sottrarsi a qualsivoglia "turbamento" della situazione locale attraverso la proposizione dell’azione civile in sede propria.

In sostanza, come condivisibilmente osservato in sede di discussione dai difensori di taluni imputati, a fronte di tale inequivoco ed esaustivo dictum della Corte Costituzionale, intenderebbero le parti civili istanti investire il Giudice delle leggi di un vero e proprio ruolo di "legislatore" che dovrebbe assumere, facendo luogo ad una pronunzia interpretativa delle norme vigenti non tanto in termini "addittivi", ma in termini prettamente "creativi" di una nuova disposizione.

4.2 Peraltro, ed a tal punto anche ultroneamente rispetto a quanto testè considerato e solo per completezza di esame, pure mette conto di rilevare che le richieste sono, nel loro merito, manifestamente infondate.

Hanno già avuto modo, difatti, di chiarire le Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza n. 13687 del 2003 – che va in questa sede condivisa e ribadita nei suoi passaggi motivazionali e nell’affermazione dei principi espressi – che l’applicazione dell’istituto della rimessione è governata dai seguenti principi di diritto, enucleati dall’elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria.

1) L’istituto della rimessione ha carattere eccezionale, perchè implica deroga alle norme sulla competenza territoriale e quindi al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge. In tanto può trovare giustificazione una siffatta deroga, in quanto sussistano cause "eccezionali", costituite da gravi situazioni locali tali da indurre il sospetto della non imparzialità dell’organo giudicante nel suo complesso (e quindi non del singolo giudice o del singolo collegio giudicante) siccome insediato in quel determinato contesto territoriale.

2) Dal carattere eccezionale discende necessariamente l’obbligo di subordinare l’applicazione della norma ad una interpretazione restrittiva, come peraltro già "suggerito" – ricordano le Sezioni Unite – dal Ministro della Giustizia con circolare del 2 ottobre 1939 in cui si sottolineava l’opportunità di valutare con "oculata prudenza" previo accertamento "rigoroso", la ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge agli effetti dell’accoglimento delle istanze di rimessione.

3) L’espressione "gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo…", che "determinano motivi di legittimo sospetto", deve interpretarsi nel senso che i motivi di legittimo sospetto devono ritenersi in concreto ravvisagli "quando si è in presenza di una grave ed oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice, inteso questo come ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito".

Rilievo fondamentale riveste, infine, il tema interpretativo concernente l’espressione "grave situazione locale", che funge da condizione imprescindibile ai fini dell’applicazione dell’istituto.

Dottrina e giurisprudenza, alla stregua di quanto verificato dalle Sezioni Unite, hanno concordemente ancorato siffatto elemento a contesti locali/territoriali, a condizioni scaturenti dall’ambiente "che circonda il processo; extragiudiziario"; a "situazioni estranee alla dialettica processuale", pervenendo all’ulteriore sottolineatura che la "causa pregiudicante" sorge e si consolida all’esterno della vicenda giudiziaria e che solo successivamente riverbera i suoi effetti sul processo in corso, "sicchè non è la vicenda processuale a contagiare, proiettandosi all’esterno, il contesto ambientale, ma esattamente l’opposto". 4.3 Nell’ottica della già richiamata interpretazione ed applicazione restrittiva della norma, la situazione ambientale atta a cagionare la turbativa e tale da legittimare la traslatio iudicii deve essere connotata dalla "gravità". Siffatto presupposto è ravvisabile qualora ricorra una condizione locale "tale per la sua abnormità, per il notevole spessore, da non poter essere interpretata se non nel senso del pericolo concreto del pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo". Ove detta situazione di grave turbativa obiettivamente non sussista, nessuna rilevanza, ai fini della rimessione, riveste quanto accade all’interno del processo. Ciò va detto con specifico riferimento ai provvedimenti endoprocessuali che, in tal caso, non appaiono sintomatici della non imparzialità del giudice. Ed a tale proposito le Sezioni Unite hanno chiarito che, riprendendo il concetto "circolarltà" – delineato dalla dottrina – tra quanto accade all’interno ed all’esterno del processo, se i provvedimenti adottati in ambito processuale, in caso di turbativa indotta dalla grave situazione locale, assumono siffatte pregiudizievoli connotazioni "valgono, quindi, per un verso, da avallo e da conferma" dell’esistenza della stessa, "essendone l’effetto". Per converso e specularmente, "in assenza di un grave turbamento dell’ambiente esterno al processo", la eventuale illegittimità od inopportunità di taluni provvedimenti endoprocessuali trova plausibile spiegazione o in "un’errata applicazione della legge ovvero in un non corretto esercizio del potere discrezionale del giudice o come provenienti da giudice ricusabile". 5.0 Ciò premesso, appare ora assai agevole pervenire ad affermare che la richiesta di rimessione proposta è assolutamente priva dei requisiti di ammissibilità evidenziati dalla giurisprudenza di legittimità.

In primo luogo, come eccepito dai difensori degli imputati e del responsabile civile, nell’istanza non si fa il minimo cenno a "gravi situazioni locali" esterne al processo atte a costituire turbativa dello svolgimento dello stesso dinanzi alla Corte d’Appello di Venezia: presupposto chiaramente delineato dalla citata ordinanza delle Sezioni Unite come imprescindibile e necessariamente di rilevante spessore, tale da generare condizionamenti dall’"esterno" sull’intero ufficio giudiziario ed ovviamente non sul singolo collegio giudicante; da intendersi quale vera e propria chiave di volta agli effetti dell’applicazione, di fatto, dell’istituto.

5.1 Per altro verso e consequenzialmente, tutte le circostanze rappresentate a sostegno dell’istanza assumono rilievo solo endoprocessuale, non essendo affatto conseguenza "di una grave ed oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice, inteso questo come ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito".

Più specificamente, le doglianze di cui al punto n. 1 della narrativa concernenti il procedimento di primo grado svoltosi dinanzi al Tribunale di Padova e conclusosi con sentenza di assoluzione di tutti gli imputati, fatta eccezione per Z.M., attengono o a contestazioni rivolte a comportamenti del P.M. nella fase delle indagini preliminari od a presunta diffidenza/ostilità verso le parti civili di taluni medici legali di Padova dalle stesse officiati di presenziare all’esame autoptico, pacificamente irrilevanti alla luce della richiamata interpretazione dell’art. 45 c.p.p..

I comportamenti, ove censurabili, assunti dal P.M. possono rivestire tale rilevanza qualora abbiano condizionato la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero se abbiano ingenerato motivi di legittimo sospetto, semprechè si iscrivano comunque in una grave situazione territoriale esterna alla dialettica processuale (cfr. Sez. 6 n. 42773 del 2003), come si è detto, neppure delineata.

Quanto alle ulteriori deduzioni sopra richiamate al punto n. 2 concernenti la trattazione del giudizio di primo grado, la conduzione asseritamente non imparziale del dibattimento ascritta ad un giudice (peraltro gravemente e genericamente indicato dalle istanti come un "giudice corrotto" perchè asseritamente mosso dall’intento di "mettere in atto il decisum salvifico preordinato") avrebbe eventualmente potuto costituire oggetto di istanza di ricusazione, ma non costituire elemento sintomatico di "legittimo sospetto", in difetto di un contesto ambientale esterno qualificabile come "turbativa " dello svolgimento dello stesso. Le censure sollevate si incentrano invero nella ritenuta falsità, "nel merito" della perizia medico-legale disposta dal Tribunale monocratico di Padova (peraltro oggetto di denunzia presentata dalle istanti in sede competente, a quanto riferito nella richiesta) poi utilizzata per pervenire all’assoluzione di quattro dei cinque imputati. Le asserite "coperture politiche" di cui gli imputati H. e C. avrebbero genericamente goduto e che le parti civili insinuano ne abbiano determinato l’assoluzione non risultano dedotte con specifico riferimento al contesto territoriale del distretto della Corte d’Appello di Venezia, in cui il processo si è svolto (e si svolge), donde l’insussistenza di condizioni per la traslatio iudicii.

Per ciò che concerne il rilievo dedotto al punto n. 3 della narrativa, in relazione alla richiesta di archiviazione formulata dal Procuratore della Repubblica di Trento in ordine alle plurime denunzie-querele per reati di calunnia e di diffamazione sporte dalle parti civili nei confronti del giudice dr.ssa F.L. e dell’avv. Giovanni Chiello, difensore dell’imputato D.N., neppure esso, con tutta evidenza, si connota di quei requisiti di cui si è sopra detto per la legittima proposizione di una richiesta di traslatio iudicii, trattandosi, peraltro, di condotte verificatesi in ambito territoriale del tutto diverso, ove astrattamente avrebbe dovuto rimettersi il processo à sensi degli artt. 45 e 11 c.p.p..

I disservizi nella fissazione e nell’avvio del processo d’appello, di cui ai n. 4 dell’elenco suindicato; la mera illazione circa la partecipazione del consigliere relatore dr.ssa P. al Consiglio giudiziario del quale faceva parte anche l’avv. Chiello, priva della specificazione di qualsivoglia nesso logico con la tesi sostenuta nella richiesta; il diniego alla fonoregistrazione delle udienze al pari del diniego manifestato dal Procuratore Generale dott. Ca.Pi. a ricevere la parte civile G. F.; la selezione degli atti (e le "condizioni" di "conservazione" degli stessi) all’interno della cartellina dei documenti che le richiedenti assumono pertinente al consigliere relatore, ancora una volta costituiscono altrettante deduzioni che ex se, senza necessità di ulteriore chiosa, rivelano la propria assoluta inconferenza rispetto al tema del presunto "legittimo sospetto". Anche la condotta asseritamente aggressiva serbata in udienza dal Presidente del Collegio giudicante d’appello nei confronti della parte civile G.F., tanto da essere questa espulsa dall’aula, quand’anche effettivamente sussistente con le connotazioni che in tesi si prospettano, avrebbe potuto in astratto costituire materia di un’istanza di ricusazione, ma è del tutto priva di significazione ai fini della richiesta di rimessione.

Ed altrettanto è da dire circa il dedotto comportamento del rappresentante in udienza della Procura Generale della Repubblica di Venezia che – adducono le istanti -, benchè accusato di "dismettere l’appello veritiero del Procuratore Capo della Repubblica di Padova," avrebbe poi concluso per la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in conformità al disposto dell’art. 129 cpv. cod. proc. pen.; quindi prospettando una reformatio in pejus della sentenza di assoluzione di primo grado, nel senso invocato dalle parti civili, quantomeno in relazione al delitto di omicidio colposo contestato agli imputati H. e C..

Infine, quanto ai denegati rinvii della trattazione del procedimento, di cui le richiedenti pure si dolgono, essi non possono, manifestamente, costituire "grave ed oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice, inteso questo come ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito ", nè indici di "grave turbamento dell’ambiente esterno al processo". 6.0 Per tutto quanto sin qui evidenziato, la richiesta va dichiarata inammissibile ed a tale declaratoria consegue la condanni delle richiedenti al pagamento delle spese processuali (Sez., 15.7.1996, n. 4633).

I cospicui e plurimi indici di manifesta infondatezza della richiesta giustificano la condanna delle richiedenti medesime, ai sensi dell’art. 48 c.p.p., comma 6, anche al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo e congruo fissare nella misura minima edittale di Euro 1.000,00 ciascuna.

6.1 Prospettandosi negli atti proposti, a sostegno della istanza di rimessione, fatti costituenti reato, pei quali non è dato sapere se siano state già investite le autorità giudiziarie competenti, è d’uopo rimettere copia della istanza di rimessione al Procuratore della Repubblica di Venezia per quanto di sua competenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile la richiesta di rimessione e condanna le richiedenti B.G., G.F. e G. T. al pagamento della somma di Euro 1.000,00 ciascuna a favore della Cassa delle ammende.

Dispone che copia della richiesta di rimessione sia trasmessa al Procuratore della Repubblica di Venezia, per quanto di competenza.

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