Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-06-2012, n. 9656

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 25 novembre 2009, la Corte d’appello di Milano, riformando la decisione di primo grado, ha accolto le domande svolte da B.F. nei confronti della propria datrice di lavoro Akzo Nobel Coatings s.p.a. di annullamento del licenziamento comunicatogli in data 14 gennaio 2002, per soppressione del posto di lavoro occupato e di reintegrazione nello stesso o equivalente, limitando peraltro il risarcimento danni, di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, come sostituito dalla L. n. 108 del 1990, art. 1, all’equivalente delle retribuzioni perdute dal momento del deposito del ricorso avanti al Tribunale di Milano nell’ottobre 2006.

Avverso tale sentenza B.F. propone ricorso per cassazione, avviandolo alla notìfica a mezzo del servizio postale ex art. 149 c.p.c., in data 21 maggio 2010 e affidandolo ad un unico motivo.

Resiste alle domande la società con rituale controricorso, contenente altresì un ricorso incidentale, con un duplice motivo.

B.F. ha infine notificato controricorso avverso il ricorso incidentale.

Motivi della decisione

I due ricorsi, principale e incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c, in quanto diretti contro una medesima sentenza.

1 – Col ricorso principale, il ricorrente lamenta la "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto (risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4)", per avere la Corte territoriale illegittimamente ridotto l’ammontare del danno da risarcire ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2, nonostante che tale norma non sia applicabile in materia e nonostante che una tale riduzione non fosse stata in alcun modo richiesta dall’appellata.

2.1 – Col ricorso incidentale, la società censura, nel primo motivo, la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 5, e per insufficiente e/o contraddittoria motivazione.

La Corte territoriale aveva accolto la domanda del B., accertando la violazione dell’obbligo di repechage da parte della società. In concomitanza col licenziamento del B., quadro responsabile delle vendite nazionali della linea Lesonal di vernici per automobili, la società aveva assunto un quadro con compiti inerenti la vendita di vernici per la diversa divisione Deco-edilizia (la pubblicazione del cui annuncio di ricerca era già stata segnalata dal B. nel ricorso introduttivo).

Sulla base di tale accertamento, la Corte ha accolto la domanda di annullamento del licenziamento, rilevando che la società non avrebbe sufficientemente spiegato e provato le ragioni per cui, in ragione delle specifiche caratteristiche delle due posizioni di lavoro, non sarebbe stato possibile impiegare il B. nella diversa posizione poi ricoperta dalla società con una nuova assunzione.

La ricorrente imputa al riguardo alla Corte territoriale la mancata o insufficiente valutazione delle prove.

2.2 – Col secondo motivo, la società deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’appello di Milano erroneamente ritenuto non assolto l’onere probatorio relativo alla impossibilità di recupero del B. in altre mansioni, viceversa ampiamente osservato attraverso le dichiarazioni del teste Bu.Mi. e i documenti prodotti sia con la memoria di costituzione, che a seguito del provvedimento del giudice in data 20 settembre 2007.

Il B. non aveva del resto specificato quali posizioni avrebbe potuto ricoprire, limitandosi a produrre l’annuncio relativo alla posizione per la quale non avrebbe posseduto le necessarie caratteristiche professionali.

La ricorrente sostiene, infine, che la tesi giurisprudenziale dell’obbligo di repechage in caso di licenziamento per soppressione del posto non avrebbe base normativa di legge e andrebbe pertanto riconsiderata.

3 – Preliminarmente va esaminato il ricorso incidentale, in quanto il suo eventuale accoglimento renderebbe inutile l’esame di quello principale.

Il ricorso, i cui due motivi possono essere esaminati congiuntamente, è infondato.

Costituisce orientamento costante di questa Corte l’affermazione secondo la quale, in materia di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva, il datore di lavoro ha l’onere di provare – con riferimento alla capacità professionale del lavoratore ed alla organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento, anche attraverso fatti positivi, tali da determinare presunzioni semplici – l’impossibilità di adibire utilmente il lavoratore in mansioni diverse dalla precedenti (cfr., al riguardo, ex ceteris, Cass. 26 marzo 2010 n. 7381).

Trattasi di orientamento diretto a realizzare il miglior equilibrio possibile tra i diversi interessi delle parti interessate in materia, che trae la sua ispirazione dal rilievo attribuito al lavoro dall’Ordinamento giuridico, in primo luogo dalla Carta costituzionale, per cui il relativo sacrificio nell’interesse oggettivo dell’impresa deve essere sostenuto dalla effettività e rilevanza di quest’ultimo e rappresentare pertanto l’extrema ratio, per l’assenza di soluzioni alternative possibili.

Da esso non vi è pertanto ragione di discostarsi.

La ricorrente incidentale invoca peraltro al riguardo quella giurisprudenza (cfr. Cass. 19 febbraio 2008 n. 4068) che ritiene comunque necessaria, in proposito, la collaborazione del lavoratore nella indicazione della posizione lavorativa che potrebbe ricoprire in luogo della precedente soppressa e lamenta che una tale collaborazione sarebbe mancata da parte del B..

Al riguardo (a parte la condivisibilità o meno di tale orientamento giurisprudenziale, non uniformemente adottato dalla Corte), va rilevato che la sentenza impugnata ha smentito l’assunto della società, interpretando l’indicazione contenuta nel ricorso introduttivo – del fatto che la società aveva pubblicato un annuncio per la ricerca di un dipendente con compiti inerenti la vendita di vernici per la diversa divisione Deco – edilizia – come finalizzata a evidenziare un posto che egli avrebbe potuto ricoprire.

La società ricorrente incidentale deduce peraltro che tale posizione non sarebbe stata compatibile con la professionalità del B. e invoca, a sostegno dell’assunto, le prove testimoniali e documentali acquisite in giudizio.

Trattasi peraltro della riproduzione del contenuto di documenti, offerta (in altra parte del ricorso, dedicata alla descrizione del processo) alla diretta valutazione di questa Corte, senza alcun specifico commento e quindi in maniera inammissibile nonchè di dichiarazioni testimoniali (teste Bu.) che appaiono inoltre generiche, irrilevanti o contenenti meri giudizi, pertanto non in grado di contrastare l’accertamento dei giudici di merito relativo alla mancata illustrazione e prova della esistenza tra la posizione professionale ricoperta dal B. (e soppressa) e quella di nuova copertura di differenze tali da renderle tra di loro incompatibili.

Il ricorso incidentale va pertanto respinto.

Anche il ricorso principale è infondato.

La regola di cui all’art. 1227 c.c., comma 2, è infatti stata ritenuta da questa Corte applicabile anche al danno da risarcire ex art. 18 S.L. a seguito di un licenziamento dichiarato illegittimo ((cfr., ad es. Cass. 11 maggio 2005 n. 9898, che ritenuto legittima la limitazione del danno in un caso di prolungata inerzia ingiustificata del lavoratore nella ricerca di una nuova occupazione).

Avendo i giudici di merito fatto corretta applicazione di tale regola, con un giudizio di merito di per sè incensurabile in sede di legittimità, il ricorso incidentale si rivela infondato.

Concludendo, in base alle considerazioni svolte, i ricorsi riuniti vanno respinti, con conseguente compensazione integrale tra le parti delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando integralmente le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012
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