Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-11-2011, n. 43678

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Brescia ha rigettato l’appello proposto da G.A. avverso il provvedimento del G.i.P. del medesimo Tribunale in date 27.1.2011, con il quale era stata respinta la richiesta di dissequestro di immobili.

Il Tribunale della libertà ha osservato che il G. risulta indagato, nell’ambito di più vaste indagini relative alla commissione di plurimi reati in materia fiscale a carico anche di altri soggetti, del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, commesso quale formale amministratore delle società Cooperativa D.S. e Sintra Componenti S.r.l., nonchè di fatto della società Sintra S.r.l..

Con provvedimento in data 20.9.2010 il G.I.P. del Tribunale di Brescia aveva, tra l’altro, disposto il sequestro di alcuni beni immobili nel confronti del G. ai sensi dell’art. 322 ter c.p., reso applicabile dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, anche al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater.

Con ordinanza in data 12.10.2010 il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro.

In sintesi, l’ordinanza ha osservato che la confisca per equivalente è obbligatoria anche nell’ipotesi di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., così come richiesto dall’appellante nell’ambito del procedimento a suo carico, e che nessun elemento nuovo è stato addotto dalla difesa del G. che si è limitata a riproporre le stesse argomentazioni già sottoposte al Tribunale del riesame e disattese con il provvedimento che ha confermato il sequestro.

E’ stato inoltre osservato che le argomentazioni dell’appellante sulla disciplina della responsabilità degli enti, come quelle in ordine ai danni risarcibili, sono inconferenti tenuto conto dei presupposti del disposto sequestro.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del G. il quale con vari mezzi di annullamento deduce:

A) Insussistenza delle condizioni di applicabilità della misura del sequestro preventivo.

Si deduce che il sequestro disposto non assolve ad alcuna delle funzioni di prevenzione previste dall’ordinamento giuridico. Inoltre, nel caso in esame, risultava insussistente anche il fumus commissi delicti, in quanto il G. non ha partecipato materialmente alla commissione del reato, essendosi affidato a due liberi professionisti, entrambi dottori commercialisti, i quali avevano il compito di preservarlo dalla commissione di errori contabili o fiscali. Nella specie, inoltre, non sussiste il periculum in mora in quanto i beni sottoposti a sequestro non possono essere strumentali in relazione all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato, nè ne costituiscono il prezzo o il profitto.

B) La confisca per equivalente disposta dall’art. 322 ter, comma 2.

Si deduce, in sintesi, che le disposizioni di cui all’articolo citato non sono applicabili automaticamente, sicchè per disporne l’applicazione occorre l’esistenza di un nesso strumentale specifico tra la res ed il reato, nesso che nella specie non sussiste.

C) Scorretta qualificazione giuridica del fatto.

Si deduce che dei fatti accertati dovevano essere chiamate a rispondere le società amministrate dall’imputato ai sensi del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 che "ha introdotto il principio della responsabilità penale delle persone giuridichè". Nel prosieguo si riporta la regolamentazione della confisca nei confronti delle persone giuridichè e si osserva che il denaro o le disponibilità economiche delle società che hanno fruito del reato non sono state prese minimamente in considerazione.

D) La richiesta di patteggiamento avanzata dall’imputato.

Si deduce che il patteggiamento preclude la possibilità di disporre la confisca salve le ipotesi previste dall’art. 240 c.p., comma 2. E) La volontà di risarcire manifestata dall’imputato.

L’imputato si è offerto di risarcire il danno sia nei confronti della Agenzia delle Entrate che dell’INPS, impegnando le società dallo stesso amministrate, ma nessuno di detti soggetti, presunti danneggiati, ha formulato alcuna richiesta nei confronti dell’indagato. Si ribadisce inoltre che il reato doveva essere inquadrato ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001. F) Grave violazione di legge.

Si deduce che, stante l’impegno assunto dalle società, in ipotesi di confisca dei beni sottoposti a sequestro si potrebbe verificare un doppio risarcimento con indebito arricchimento da parte dell’Erario.

G) La composizione del Collegio giudicante.

L’appello è stato respinto da un collegio formato dagli stessi giudici che avevano, in precedenza, composto il Tribunale del riesame.

Il ricorso non è fondato.

Osserva la Corte in ordine ai vari motivi di gravame:

Il primo ed il secondo motivo non sono riferibili alla disciplina della confisca per equivalente ex art. 322 ter c.p., che per sua natura riguarda necessariamente beni che non hanno un collegamento con il reato.

E’ stato, infatti, già reiteratamente affermato da questa Suprema Corte sul punto che "La confisca obbligatoria prevista dall’art. 322 ter c.p. anche "per equivalente", ossia anche nei confronti di beni dei quali il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato, non necessita di alcuna dimostrazione sul nesso di pertinenzialità tra delitto e cose da confiscare, essendo sufficiente la perpetrazione del reato." (sez. 6, 19.1.2005 n. 7250, P.M. in proc. Nocco, RV 231604; sez. 6, 27.1.2005 n. 11902, Baldas, RV 231234).

Il sequestro in tal caso è evidentemente disposto ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 2.

Le ulteriori deduzioni del ricorrente sulla assenza di responsabilità del G. sono genetiche e fattuali e, peraltro, sul fumus del reato si è formato il giudicato cautelare.

La responsabilità delle società ex D.Lgs. n. 231 del 2001 è di natura amministrativa e patrimoniale e non certamente penale, che fa capo, invece, agli amministratori e che non è esclusa dall’altra con tutte le conseguenze di legge, tra cui la responsabilità patrimoniale.

Pertanto, la confiscabilità dei beni dell’ente non esclude affatto la suscettibilità di confisca per equivalente dei beni dell’autore del reato ed il loro preventivo sequestro.

E’ stato, infatti anche sul punto reiteratamente affermato da questa Corte che "il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato di corruzione può incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell’ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l’unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto." (sez. 6, 5.3.2009 n. 26611, Betteo, RV 244254; conf. sez. 2, 200631989, Troso, RV 235128; sez. 6, 200919764, Ramponi e altro, RV 243443).

Nel caso in esame i beni delle società non sono stati affatto sequestrati, sicchè non si pone alcuna questione di superamento dei limiti del valore confiscabile.

La confisca ex art. 322 ter c.p., per l’espressa previsione della norma, è obbligatoria anche nell’ipotesi di applicazione della pena sull’accordo della parti.

Le ulteriori questioni relative alla confisca ed al risarcimento dei danni sono generiche e non riguardano la fase del sequestro.

La irrituale composizione del collegio, infine, doveva essere fatta valere mediante ricusazione, non essendo altrimenti causa di nullità.

Peraltro, la partecipazione all’organo giudicante in materia di misure cautelari reali non è causa di incompatibilità in relazione alla partecipazione ad ulteriori fasi del giudizio per lo stesso reato (Corte Costituzionale sentenza n. 66 del 12.3.1997; n. 177 del 27.5.1996).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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