Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-06-2012, n. 9654 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva depositata il 1.3.2006, la Corte di Appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto da F. E. ed in riforma della sentenza appellata, dichiarava la prosecuzione giuridica del rapporto intercorso tra le parti dopo il 30.4.1999 e condannava la società al risarcimento del danno pari alle retribuzioni spettanti dalla messa in mora del 13.10.2000 sino alla data di scadenza del terzo anno successivo alla scadenza del contratto a termine (30.4.1999). La fattispecie esaminata riguardava contratto a tempo determinato stipulato tra le parti con decorrenza dal 2.11.1998 fino al 30.1.1999 per esigenze eccezionali, ai sensi dell’art. 8 ccnl 94, contratto poi prorogato, nell’imminenza della scadenza, fino al 20.4.1999.

La Corte rilevava l’illegittimità di tale contratto, essendo stato lo stesso stipulato oltre il termine massimo di vigenza dell’accordo del 16.1.1998 (30.4.1998) e non potendo rilevare, in senso favorevole alla società, il permanere del processo di ristrutturazione aziendale in corso, avendo le parti sociali ritenuto che la contrattazione autorizzatoria avesse validità fino alla data suindicata.

Ricorre per la cassazione di tale decisione la società Poste Italiane p. a., con due motivi.

Resiste il F. con controricorso, illustrando ulteriormente le proprie difese nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Con sentenza definitiva del 15.10.2009, la Corte di Appello di Roma, in accoglimento ulteriore dell’appello del Ferma ed in riforma della gravata sentenza, dichiarava la nullità anche dei contratti a termine del 1.7.-31.7.1997, per la necessità di espletamento del servizio per ferie e dal 22.6.1998 al 30.9.1998 per esigenze sostitutive, ritenendo, quanto al primo di essi, stipulato per espletamento del servizio per ferie, che la ipotesi di sostituzione di un lavoratore assente per ferie soggiacesse alla prescritta indicazione di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1, lett. b e che l’espletata istruttoria non avesse comprovato la sussistenza del suddetto nesso causale, che, pertanto, dovesse ritenersi la illegittimità anche degli altri contratti intercorsi tra le parti per le ragioni indicate nella sentenza non definitiva.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società con due motivi. Resiste anche a tale impugnazione il Ferma, che deposita memoria ex art. 378 c.p.c..

Il primo procedimento è stato rinviato per consentire la trattazione congiunta con il secondo, recante il n. R.G. 24747/2010, del quale è stata disposta in udienza la riunione all’altro.

Motivi della decisione

Preliminarmente, si da atto della riunione dei procedimenti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Deve, poi, rilevarsi la nullità della procura apposta a margine della comparsa di costituzione di nuovo difensore del 17.4.2012, con la quale risulta dalla Società Poste Italiane conferito mandato nel presente giudizio all’avv. Anna Teresa Laurora, in sostituzione dell’avv. Anna Maria Ursino, con la conseguente nullità della costituzione in giudizio della prima, ferma restando la validità della costituzione in giudizio della seconda. Nel giudizio di cassazione è stato affermato da questa Corte (nel regime anteriore alla L. n. 69 del 2009) che "la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, essendo necessario, in alternativa, il suo conferimento nella forma prevista dal citato art. 83, comma 2 (cfr.

Cass 9.4.2009 n. 8708; Cass. 20.8.2009 n. 18528).

D’altra parte, nella fattispecie, ratione temporis, neppure potrebbe invocarsi il nuovo testo dell’art. 83 citato, secondo il quale la procura speciale nel giudizio di cassazione, può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, in quanto lo stesso " si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45 (4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2" (cfr. Cass. 26.3.2010 n. 7241, Cass. 28.7.2010 n. 17604 e Cass. 4476/2012).

Con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Roma, la società deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 1362 c.c. e segg. nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla efficacia dell’accordo del 25.9.1997, integrativo dell’art. 8 c.c.n.l, sostenendo che alcun limite temporale doveva essere fissato per la validità del patto collettivo del 1997 e che, in base ai criteri ermeneutici, che privilegiano criteri ulteriori rispetto a quello letterale, la volontà delle parti contrattuali era quella di introdurre un’ipotesi valida fino alla scadenza del c.c.n.l. 1994, dal che doveva dedursi che l’accordo del 25.9.1997 non conteneva in sè alcuna limitazione temporale ed, in quanto integrativo della disciplina del c.c.n.l., non poteva che valere per l’intera durata di questo. Rileva che gli accordi posteriori a quello del 25.9.1997 avevano valenza meramente ricognitiva della sussistenza delle condizioni in fatto legittimanti il ricorso alla fattispecie di apposizione dei termine in esame, senza circoscrivere in alcun modo il ricorso a tale strumento solo al periodo temporale ivi indicato.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1217 e 1233 c.c., osservando che la mora accipiendi non è integrata dalla richiesta di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione e che, quanto all’aliunde perceptum, questo non poteva che essere genericamente dedotto, tenuto conto della natura risarcitoria e non già corrispettiva della somma da riconoscersi al titolo anzidetto.

Le censure non possono essere accolte.

In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001), sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011).

"Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato." (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove, però, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte affermato, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1- 10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Alla stregua di tale orientamento, ormai consolidato, deve quindi ritenersi illegittimo il termine apposto al contratto in esame per il solo fatto che lo stesso è stato stipulato dopo il 30 aprile 1998 ed è pertanto privo di presupposto normativo. Nè a diverse conclusioni può giungersi dall’esame dell’accordo del 18.1.2001, ovvero della disposizione di cui all’art. 25 del c.c.n.l. del 2001, pure invocati dalle Poste a sostegno del proprio assunto.

Si ha riguardo ad un accordo – stipulato ad oltre due anni di distanza dall’ultima proroga – che non potrebbe coprire mai il "vuoto" normativo creatosi nel periodo precedente, rendendo legittimi comportamenti posti in essere in contrasto con norme imperative di legge. Ed in ogni caso il nuovo accordo non potrebbe mai travolgere diritti già acquisiti nel patrimonio di terzi nel periodo intermedio (cfr. in termini Cass. n. 15331 del 7.8.2004).

Risulta, dunque, irrilevante il richiamo all’art. 25 del c.c.n.l. del 2001, sia perchè esso si riferisce chiaramente alle sole assunzioni da effettuare dopo l’entrata in vigore del nuovo contratto, sia perchè la possibilità di procedere ad assunzioni a termine " per esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione" è subordinata all’esito di confronto con la controparte sindacale a livello nazionale ovvero a livello regionale, il che, a ben vedere, conferma l’inesistenza di qualsiasi pregresso accordo generale per tale tipo di assunzioni.

Con riguardo al secondo motivo, per quanto attiene alla questione della mora accipiendi, vale osservare che la relativa prospettazione si rivela priva di autosufficienza, in quanto, pur evidenziandosi l’idoneità della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione a configurare valido atto di messa in mora, non se ne riporta il contenuto, al fine di consentire alla Corte di valutare la fondatezza del rilievo. Deve, quindi, dichiararsene l’inammissibilità.

In merito ai rilievi attinenti all’aliunde perceptum, deve rilevarsi che gli stessi, per come formulati, si fondano sulla considerazione che la Corte d’appello avrebbe omesso di motivare in ordine ad un fatto controverso ed in parte decisivo per il giudizio e con lo stesso si deduce la violazione del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., nonchè dell’art. 421 c.p.c., in ragione dell’omissione di ogni decisione in merito alla richiesta formulata dalla società, volta ad ottenere l’esibizione della documentazione necessaria al fine di consentire una corretta determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti dall’appellante per attività svolte alle dipendenze e/o nell’interesse di terzi. Si afferma, poi, che l’aliunde perceptum non possa che essere genericamente dedotto, essendo, se mai, onere del lavoratore dimostrare di non essere stato occupato nel periodo in questione, e che, in definitiva, fatti costituenti parte determinante della res controversa non hanno formato oggetto di una valutazione da parte del giudice del merito, con conseguente vizio della sentenza. Osserva questa Corte che la deduzione del vizio come prospettata avrebbe reso necessario trascrivere il motivo dedotto in sede di gravame, al fine di consentire alla Corte di valutare la denunziata omissione valutativa e che comunque, in termini più generali, la stessa non coglie nel segno e risulta formulata in dispregio del principio di autosufficienza, non riportandosi neanche il contenuto preciso delle istanze istruttorie asseritamente avanzate e disattese dalla Corte del merito, in ragione della ritenuta natura astratta delle enunciazioni che si intendevano provare o in relazione alle quali era stato sollecitata l’attivazione di poteri istruttori d’ufficio.

A ciò consegue la declaratoria di inammissibilità del motivo di impugnazione ed il rigetto complessivo del ricorso recante il n. R.G. 7843/2007.

Con il secondo ricorso, proposto avverso la sentenza definitiva, la società denunzia, nel primo motivo, la violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 nonchè della L. n. 56 del 1987, art. 23, ex art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando che l’accordo collettivo garantisce gli interessi dei lavoratori e formula, all’esito della parte argomentativa, quesito di diritto, con il quale domanda se il potere dei contraenti collettivi di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, stabilito dalla L. n. 56 del 1987, art. 23 possa essere esercitato senza limiti di tempo, tenuto conto che la legge non prevede alcun limite temporale al riguardo.

Con il secondo motivo, la ricorrente ascrive alla decisione impugnata la violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 2, lett. b), e art. 3, dell’art. 8 del c.c.n.l. del1994, della L. n. 56 del 1987, art. 23 dell’art. 1362 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Propone specifici quesiti, domandando se un’ipotesi di legittima apposizione del termine individuata dalla contrattazione collettiva in forza della L. n. 56 del 1987, art. 23 sia ipotesi del tutto autonoma e diversa da quella contemplata in via generale dalla legge e, pertanto, se essa risulti sottratta alle condizioni di legittima apposizione del termine previste dalla disciplina legislativa; se sia legittima l’assunzione in questione disposta in virtù dell’art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994 in forza della delega rilasciata dalla L. n. 56 del 1987 alle parti collettive, per necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre, per essere stata disposta tale assunzione nell’ambito temporale (agosto-settembre) individuato dalla contrattazione collettiva; infine, domanda se, con l’ipotesi contrattuale "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre", contenuta nell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, le parti abbiano voluto dichiarare sussistente, nel periodo indicato, la carenza temporanea di personale, per il godimento delle ferie da parte del personale stabilmente in forza presso l’azienda.

Preliminarmente, deve rilevarsi che nella sentenza impugnata si fa cenno, nella parte dedicata alla motivazione, ad ulteriore contratto stipulato in data 7.2.1998 e con scadenza il 30.4.1998, che, tuttavia, nel dispositivo, non risulta menzionato. Al riguardo deve conferirsi rilevanza al dispositivo, alla stregua di consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "nel rito del lavoro, il contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione determina la nullità della sentenza, da far valere mediante impugnazione, in difetto della quale prevale il dispositivo, che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la disposizione emanata. Ne consegue che, in tale evenienza, resta esclusa l’applicabilità del principio dell’integrazione del dispositivo con la motivazione nonchè del procedimento di correzione degli errori materiali, il cui ambito è limitato alle ipotesi di contrasto solo apparente tra dispositivo e motivazione" (cfr, in tale senso, Cass. 14.4.2010 n. 8894 e, da ultimo, in senso conforme, Cass. ord., sez 6, 26.10.2010 n. 21885).

Con riguardo al primo dei motivi, che si fonda sulla ritenuta possibilità per le parti collettive di prevedere nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, senza limiti di tempo, vale richiamare le osservazioni sopra svolte in merito al primo dei motivi di impugnazione proposto avverso la sentenza non definitiva.

Quanto al secondo motivo, con esso si censura la sentenza, per non avere la stessa rilevato la diversità strutturale tra la fattispecie legale, che fa riferimento al fenomeno della sostituzione del lavoratore assente e ad essa ricollega direttamente l’apponibilità del termine al contratto (prevedendo l’indicazione specifica del nominativo del lavoratore da sostituire, la causa e la durata della sostituzione) e quella contrattuale, incentrata sul fenomeno generalizzato e notorio dell’assenza per ferie "nel periodo giugno- settembre ", prescindendo alle singole assenze in sè considerate e valutando esclusivamente il loro complessivo effetto sull’erogazione del servizio.

Sul punto, va premesso che, con riferimento a tale causale, in particolare già con sentenza di questa Corte (cfr. Cass. 13-6-2005 n. 12632 ) è stato affermato che "in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati regolata dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e non dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, la mancata indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta alcuna nullità del contratto per difetto di forma nè la conseguente conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, non essendo la nullità per difetto di forma prevista dalla legge applicabile al rapporto "ad substantiam", stante il principio di tassatività della forma vigente nel nostro ordinamento".

Nel contempo, più in generale, si è consolidato l’indirizzo secondo cui la L. n. 56 del 1987, art. 23 "che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria "delega in bianco" a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere "oggettivo" ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente "soggettivo", (v. fra le altre Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In specie, poi, questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie simile a quella in esame (anche se con riferimento alla analoga precedente previsione collettiva ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, relativa alla "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito, avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva (sulla non necessità di indicazione del nominativo del lavoratore sostituito, v., da ultimo, Cass. n. 802/2012).

In particolare, la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie, ponendosi in contrasto col principio di diritto della "delega in bianco" enunciato dalle Sezioni Unite.

Altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, sempre con riferimento alla precedente analoga previsione collettiva) hanno confermato la decisione di merito che aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

La tesi interpretativa accolta nell’impugnata sentenza si muove invece, nella (erronea) prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962 (v. fra le altre Cass. 12-3-2008 n. 6658).

Nè a tale tipo di contratto si applicano gli accordi richiamati dalla Corte territoriale stipulati per la diversa ipotesi di contratti a termine conclusi in presenza di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane, essendo la fattispecie (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre) del tutto autonoma, anche rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie, dovendo interpretarsi l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività sia costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

li suddetto orientamento, assolutamente consolidato (v., tra le altre, Cass. 2 marzo 2011 n. 5087), deve essere pienamente confermato e pertanto la sentenza impugnata, che ha applicato principi contrastanti con quelli appena enunciati, deve essere cassata sul punto. Pertanto, ritenuto che le ragioni per le quali la apposizione del termine ai contratti in esame è stata ritenuta illegittima sono basate su una violazione di legge che ha, altresì, comportato una interpretazione errata della norma collettiva de qua, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va decisa nel merito, con il rigetto delle domande proposte dal F. di declaratoria di illegittimità del termine apposto rispettivamente ai contratti del 1.7.1997, con scadenza il 31.7.1997 e del 22.6.1998, con scadenza il 30.9.1998.

L’esito differente dei procedimenti riuniti intentati dalla società e la conseguente soccombenza reciproca delle parti giustificano la integrale compensazione tra le stesse delle spese di lite di tutti di giudizi di merito e di quelli di cassazione riuniti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso relativo al procedimento n. R.G. 7843/2007; accoglie il ricorso relativo al procedimento n. R. G. 24747/2010, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di declaratoria di illegittimità del termine apposto ai contratti 1.7.1997 e 22.6.1998.

Compensa tra le parti le spese di tutti i giudizi di merito e di quelli di cassazione per entrambi i procedimenti riuniti.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *