Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-11-2011, n. 43677

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata ordinanza il G.I.P. del Tribunale di Torino, in fruizione di giudice della esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta da N.A. avverso il provvedimento del G.I.P. del medesimo Tribunale in data 27.4.2010, con il quale era stata respinta la richiesta di restituzione di una somma di danaro in sequestro depositata sul libretto di deposito giudiziario n. 215251.

Nei confronti del ricorrente, di altri soggetti e di sua madre, M.M., era stato instaurato un procedimento penale per i reati di cui agli artt. 416 e 646 c.p. in relazione ad una lunga serie di appropriazioni indebite di somme di danaro, per il complessivo importo di Euro 5.566.917,01, attraverso operazioni di simulati rimborsi, poste in essere dalla M. in danno della Telecom di cui era dipendente. Tali somme erano state poi utilizzate dalla donna per intestare beni ai suoi congiunti, compreso, tra essi, il figlio N.A..

Il procedimento nei confronti di quest’ultimo si era concluso con una sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., con la quale era state, però, disposta la restituzione all’avente diritto Telecom del danaro presente sul c/c n. (OMISSIS) intestato al N..

La posizione della M. era stata, invece, definita con sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., con la quale veniva disposta la restituzione all’avente diritto Telecom delle somme di danaro presenti sul deposito giudiziario n. 215151.

Nelle citate pronunce giurisdizionali ed, in particolare, in quella di proscioglimento del N. si rilevava che la M. aveva ammesso di essersi appropriata delle somme di cui alla imputazione in danno della Telecom e di avere versato il danaro sui conti correnti dei propri congiunti ovvero investito parte di esso nell’acquisto di beni, anche immobili, sempre intestati ai congiunti, tra i quali un piccolo appartamento ed un’auto intestati al figlio N. A..

Quest’ultimo, rivendicando la propria innocenza, aveva affermato di ignorare la provenienza del danaro con il quale era stato acquistato l’immobile e l’auto e aveva messo a disposizione della giustizia i beni che gli erano stati intestati a sua insaputa.

Secondo la sentenza la provenienza illecita del danaro utilizzato per l’acquisto dell’immobile e dell’auto trovava riscontro nella giovane età del N., all’epoca ancora studente, e nel fatto che il periodo in cui erano stati effettuati gli acquisti coincideva con quella in cui era in pieno svolgimento l’attività delittuosa della madre.

A seguito della vendita all’asta dei beni sequestrati anche il provento delle vendite dell’appartamento e della autovettura intestati al N. era confluito nel deposito giudiziario n. (OMISSIS), del quale era stata disposta la restituzione alla Telecom con la sentenza di patteggiamento emessa nei confronti della M..

Sulla base di tali rilievi il giudice dell’esecuzione ha respinto l’opposizione, osservando che è stato accertato, tramite le citate pronunce, che il danaro confluito sul libretto di deposito giudiziario proviene dalla vendita di beni acquistati con il danaro ricavato dalla attività illecita posta in essere dalla M..

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del N., che la denuncia per vizi di motivazione e violazione di norme processuali.

Con unico, articolato, mezzo di annullamento si deduce, che, mentre con riferimento alle somme di danaro versate nel deposito giudiziario era certa la provenienza dai fatti di appropriazione indebita posti in essere dalla M., non altrettanto è a dirsi per il ricavato della vendita di un piccolo immobile e di un’auto intesti ti al N. di cui è stata chiesta la restituzione per il complessivo importo di Euro 106.000,00. Non vi è, infatti, alcuna prova certa che proprio l’immobile e l’auto siano stati acquistati dalla madre del ricorrente con il provento delle operazioni di indebito rimborso poste in essere in danno della Telecom. Nessun elemento di prova nei sensi indicati può desumersi dal fette che nel procedimento conclusosi con la pronuncia di non doversi procedere nei confronti del N. è stata disposta la restituzione in favore della Telecom delle somme depositate sul c/c intestato a quest’ultimo, poichè il provvedimento di restituzione fu reso possibile da una esplicita manifestazione di volontà del ricorrente a tal fine formalizzata con atto notarile preventivamente depositato nel fascicolo processuale.

Si aggiunge che per tutti gli altri beni immobili e mobili registrati il G.I.P., prima di provvedere sulla richiesta di restituzione, aveva rimesso le parti dinanzi al giudice civile per risolvere la controversia in merito alla loro appartenenza, sicchè il G.I.P, avrebbe dovuto adottare un’analoga procedura anche per l’equivalente pecuniario ottenuto dalla vendita dei beni intestati al N.. Nel prosieguo inoltre lo stesso G.I.P. ha disposto, a seguito di incidente di esecuzione, con provvedimento non impugnato dalla Telecom, la restituzione di tutti i beni immobili e mobili registrati agli aventi diritto, anche se intestati a soggetti che avevano chiesto il patteggiamento, sicchè emerge una evidente contraddittorietà tra il provvedimento impugnato e quelli citati. Si osserva, infine, che ai sensi dell’art. 323 c.p.p. il sequestro preventivo perde efficacia con la sentenza definitiva di condanna ove non ricorra un’ipotesi in cui la confisca, in quanto obbligatoria, possa essere disposta dal giudice dell’esecuzione, sicchè le somme di cui si tratta devono essere restituite all’avente diritto; avente diritto che non può essere identificato con la Telecom. Il giudice non dispone la restituzione solo nel caso in cui debba essere mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell’art. 316 c.p.p. su richiesta del P.M. o della parte civile, ipotesi che nella specie non ricorre non essendovi stata alcuna richiesta in tal senso da parte del P.M. e della stessa Telecom Italia S.p.A..

All’udienza del 10.3.2011 è stata disposta l’acquisizione delle sentenze di applicazione della pena sull’accordo delle parti emessa nei confronti della M. e di proscioglimento ex art. 425 c.p.p. nei confronti del N.. Il ricorso è manifestamente infondato.

Nel caso in esame non ricorre affatto un’ipotesi di mantenimento del sequestro oltre la sentenza di proscioglimento o di condanna, nè di confisca delle somme di danaro che viene disposta in favore dello Stato o di altro ente pubblico.

La sentenza di applicazione della pena nei confronti della M., che ha concluso il processo a carico della medesima ed è passata in giudicato, ha disposto la restituzione di tutte le somme presenti nel deposito giudiziario n. 215151 alla Telecom, identificata quale avente diritto alle stesse. Con l’incidente di esecuzione, proposto ai sensi dell’art. 676 c.p.p., il ricorrente si è, quindi, opposto alla restituzione di tali somme alla Telecom, deducendo che le stesse gli appartengono sulla base di argomenti che sono stati ritenuti inconferenti dal giudice dell’esecuzione in relazione alle ragioni che hanno giustificato il provvedimento emesso con la pronuncia di applicazione della pena nei confronti della M..

Orbene, in materia è stato già affermato da questa Corte che il terzo rimasto estraneo al giudizio di cognizione, e tale è il N. rispetto alla pronuncia di applicazione della pena emessa nei confronti della madre, per ottenere la restituzione di un bene in contrasto con quanto disposto nel giudicato penale ha l’onere non solo di dimostrare di essere titolare di un diritto su quel bene, ma anche la origine lecite di tele appartenenza (sez. 1, 5.11.2009 n. 48128, Succu, RV 245624).

Si osserva, quindi, che la sentenza di applicazione della pena sull’accordo delle parti emessa nei confronti della M. da atto dell’accertamento che le somme e gli immobili sequestrati costituiscono il provento delle appropriazioni indebite commesse dall’imputato nei confronti della Telecom e sulla base di tele accertamento è stata disposta la restituzione delle predette somme in esse compreso il ricavato della vendita dei beni mobili ed immobili alla parte lesa.

Analogo accertamento è, poi, contenuto nella sentenza di non luogo a procedere emessa nei confronti dello stesso N., nella quale si da atto che l’indagato aveva messo a disposizione della Telecom S.p.A. i beni a lui intestati, in quanto acquistati, sia pure a sua insaputa, con il danaro sottratto dalla madre alla Telecom S.p.A..

A fronte di così esaustive risultanze relative alla provenienza illecita dell’arricchimento che aveva consentito l’acquisto di beni del ricavato della cui vendita è stata disposta la restituzione alla Telecom, il ricorrente si limita a prospettare, in sede di legittimità, il dubbio che egli possedesse tali beni grazie a fatti e fonti legittime; dubbio che non è certamente idoneo a contrastare l’accertamento contenuto nel giudicato e le risultanze di segno contrario della pronuncia emessa nei confronti dello stesso ricorrente.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., u.c., con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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