Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-11-2011, n. 43673

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 13.01.2011 la Corte di Appello di Firenze confermava la condanna alla pena di mesi 9 di reclusione inflitta nel giudizio di primo grado a L.G. quale colpevole di avere eseguito (in zona paesaggistica dichiarata di notevole interesse pubblico senza permesso di costruire e senza autorizzazione paesaggistica) un manufatto prefabbricato insistente su una platea di cemento di mq.

7.10 x 8,10 e altro manufatto prefabbricato, poggiante su una pavimentazione in lastre di ghiaia e cemento di mq. 3 X 4 (in (OMISSIS)). Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando:

– violazione di legge sulla ritenuta configurabilità del reato urbanistico relativo a due strutture mobili temporanee e precarie, non ancorate al terreno, che non avevano alterato lo stato dei luoghi essendo rimaste "al grezzo (ad esempio assenza di pavimentazione e di finiture, d’impianti idrico ed elettrico") e non abitate. I manufatti non avevano arrecato danno al paesaggio, donde l’erroneità della sentenza che tale danno aveva ritenuto presunto;

– violazione di legge e mancanza di motivazione sulla sussistenza del delitto paesaggistico sia perchè non era stata accertata l’epoca di realizzazione delle opere, sicchè non era certo che le stesse fossero state eseguite dopo l’entrata in vigore della norma che aveva modificato la formulazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 introducendo il delitto ambientale sia perchè non era provato che il fatto fosse stato commesso su un’area che, ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 136, era stata dichiarata di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento;

– mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione anche sull’esclusione della scriminante dello stato di necessità dovendo egli garantire alla famiglia un minimo alloggio e scongiurare gravi danni alla persona anzianà;

– inosservanza di norme processuali ( art. 516, 520 e 522 c.p.p.);

difetto di contestazione della nuova imputazione di delitto ambientale effettuata all’udienza del 18.10.2007 con evidente immutazione del fatto genericamente enunciato;

– violazione dell’art. 516 c.p.p. per essere stata illegittimamente modificata l’imputazione sulla base di elementi già noti e sui quali si fondava il decreto di citazione a giudizio e non già per l’emersione nel corso dell’istruzione dibattimentale di un fatto diverso;

– violazione di norme poste a tutela del diritto di difesa perchè, per la una nuova contestazione all’imputato contumace, il Tribunale avrebbe dovuto sospendere il dibattimento e rimettere gli atti al PM per l’inizio di altra azione penale stante che lo stesso PM aveva espressamente rinunciato a quella relativa alla contravvenzione;

– mancata ammissione di una perizia tecnica per stabilire l’effettiva epoca dell’esecuzione dei lavori e per descrivere esattamente le opere.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Vanno, anzitutto, esaminate, per ragioni sistematiche, le censure di ordine procedurale.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 516 c.p.p. (per essere stata modificata l’imputazione sulla base di elementi già noti e sui quali si fondava il decreto di citazione a giudizio e non già per l’emersione nel corso dell’istruzione dibattimentale di un fatto diverso), corretto è il rilievo dei giudici d’appello secondo cui il dettato dell’art. 516 c.p.p., che prevede che si procede alla modifica dell’imputazione se nel corso dell’istruzione dibattimentale il fatto risulti diverso, va inteso nell’accezione giuridica quale composta di elementi fattuali e di qualificazione giuridica, sicchè per fatto diverso da quello descritto nel decreto che dispone il giudizio, può intendersi, ferma restando la descrizione del fatto, anche la suscettibilità dello stesso d’integrare una nuova e più grave fattispecie giuridica implicante il passaggio del reato da contravvenzione a delitto.

Non è, quindi, censurabile la modifica dell’imputazione che è stata contestata in forma chiara e precisa stante che il fatto, esaustivamente descritto, è stato inquadrato nella nuova, autonoma fattispecie criminosa di delitto in luogo dell’originaria contestazione, ponendo così l’imputato in condizione di svolgere compiutamente il suo diritto di difesa.

Palesemente infondata, poi, è l’asserzione che, in presenza di una nuova contestazione all’imputato contumace, il Tribunale avrebbe dovuto sospendere il dibattimento e rimettere gli atti al PM per l’inizio di altra azione penale stante che il PM, con la modifica dell’imputazione, non ha "espressamente rinunciato" a perseguire la contravvenzione contestata (come erroneamente asserito in ricorso), ma ha ritualmente edotto l’imputato della modifica normativa intervenuta con la L. n. 157 del 2006 che ha trasformato l’imputazione ambientale, che si era protratta oltre la data d’entrata in vigore della stessa norma, da contravvenzione a delitto.

Il ricorso, nel resto, non è puntuale perchè censura con argomentazioni generiche e giuridicamente errate la decisione impugnata che è adeguatamente motivata.

I giudici di merito hanno correttamente accertato, in fatto, che il ricorrente ha realizzato, in una zona paesaggistica vincolata dichiarata di notevole interesse pubblico, senza concessione e senza autorizzazione paesaggistica un manufatto prefabbricato insistente su una platea di cemento di mq. 7.10 x 8,10 e altro manufatto prefabbricato, poggiante su una pavimentazione in lastre di ghiaia e cemento di mq. 3 x 4 e che i lavori erano ancora in corso alla data dell’accertamento ((OMISSIS)).

Conseguentemente, è stato ritenuto, con adeguata e logica motivazione basata sulle costatazioni degli investigatori e su rilievi fotografici (che rendevano superfluo l’espletamento della perizia richiesta dalla difesa), che l’imputato abbia commesso sia la contravvenzione urbanistica (riferita a nuove costruzioni di cospicue dimensioni insistenti su platee di cemento e aventi destinazione abitativa) non potendo il requisito della precarietà essere collegato al carattere di stabilità temporanea, soggettivamente attribuito alla costruzione, dovendo essere individuato in relazione all’oggettiva e intrinseca destinazione dell’opera stessa sia il delitto paesaggistico.

Ciò alla luce della pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui la previsione normativa (l’esecuzione di lavori o di modificazione ambientale in zona vincolata senza o in difformità della prescritta autorizzazione) "configura un reato formale, la cui struttura non prevede il verificarsi di un evento di danno", sicchè "ai fini della realizzazione del reato, basta che l’agente faccia un diverso uso rispetto alla destinazione del bene protetto dal vincolo paesaggistico, mentre non è necessario che ricorra l’ulteriore elemento dell’avvenuta alterazione dello stato dei luoghi" (Cassazione Sezione 3 n. 564/2006, Villa, RV. 233012).

Essendo stato accertato, con adeguata motivazione, che le opere eseguite in assenza di nulla osta avevano dimensione rilevante e palese incidenza sul contesto ambientale (donde la superfluità di ogni ulteriore accertamento tecnico), non può essere messa in discussione la sussistenza del reato avendo l’intervento sopraindicato comportato una modifica stabile, strutturale e funzionale del tessuto urbanistico – territoriale idonea a modificare, in modo innovativo, rilevante e definitivo l’assetto ambientale.

Quanto al delitto paesaggistico, la decisione di questa Corte n. 9278/2011; RV. 249755 ha ribadito, peraltro prima che intervenisse la legge n. 157 del 2006 che ha ulteriormente modificato il D.Lgs. n. 42/2004, art. 181, che "in tema di paesaggio, la fattispecie delittuosa di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, art. 181, comma 1 bis. lett. a) esecuzione di lavori senza la prescritta autorizzazione su immobili o aree dichiarati di notevole interesse pubblico, introdotta dalla L. 19 dicembre 2004, n. 308, art. 36, comma 1, lett. c), è configurabile anche sa la dichiarazione è avvenuta con provvedimento emesso ai sensi dalle disposizioni previgenti" (Cassazione Sezione 3, n.45609/2005, Pastore, RV 232641 di seguito succintamente riportata).

Il riferimento ai beni dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136, contenuto nell’art. 181, comma 1, lett. a), nella formulazione antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 157 del 2006, corrisponde all’analogo riferimento contenuto nella lett. b) del predetto comma ai beni immobili tutelati per legge ai sensi dell’art. 142 del medesimo decreto.

Peraltro, vi è piena continuità normativa sul piano procedimentale tra le disposizioni del D.Lgs. n. 42 del 2004 (citato art. 136 e ss.) e quelle del D.Lgs. n. 490 del 1999 (artt. 139 e ss.) in materia di dichiarazione di notevole interesse pubblico d’immobili e aree;

disposizioni che, a loro volta, richiamavano quelle della L. 29 giugno 1939, n. 1497, artt. 1 e segg..

Cosi come vi è piena continuità normativa tra le previsioni del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142 e quelle contenute nel D.Lgs. n. 490 del 1999, art. 146.

Sarebbe, infine, irrazionale una disposizione normativa che avesse fondato la configurabilità della fattispecie delittuosa più grave sulla rinnovazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico con riferimento a tutto il patrimonio paesaggistico e immobiliare italiano, già ritenuto tale in base a precedenti provvedimenti.

Una diversa interpretazione, infine, risulta in contrasto con l’espresso disposto del medesimo D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 157, comma 1, lett. b), v), d bis) e c) ai sensi del quale conservano efficacia a tutti gli effetti gli elenchi compilati e le dichiarazioni di notevole interesse pubblico notificate ai sensi della L. 29 giugno 1939, n. 1497, nonchè gli elenchi compilati ovvero integrati e le dichiarazioni di notevole interesse pubblico ai sensi del D.Lgs. n. 490 del 1999, sicchè correttamente è configurata la fattispecie delittuosa di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1, lett. a), in relazione all’esecuzione d’interventi, di qualsiasi natura essi siano, senza la prescritta autorizzazione in un’area dichiarata d’interesse pubblico con D.M. 21 febbraio 1958.

Va, infine, precisato che, essendosi la permanenza dell’illecito protratta oltre l’entrata in vigore della L. n. 157 del 2006, come desunto dai giudici di merito dalla descrizione delle opere svolta dal verbalizzante e dalle fotografie in atti secondo cui le opere non erano ultimate (nel ricorso si da atto che i manufatti erano ancora allo stato grezzo), si applica la norma vigente al momento dell’accertamento con assorbimento della condotta antecedente all’entrata in vigore della norma.

Corretta è la motivazione sull’esclusione della scriminante perchè in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui "in materia di abusi edilizi e ambientali la configurabilità della scriminante dello stata di necessita, nella specie consistente nella mancanza di una casa, appare in concreto esclusa dal fatta che il pericolo del danno grave alla persona è evitabile chiedendo, in caso di terreno edificabile, la relativa autorizzazione mentre, in caso di terreno non edificabile, il diritta del cittadino a disporre di un’abitazione non può prevalere sull’interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell’ambienta" (Sezione 3, n. 41577/2007 RV. 238258).

La manifesta infondatezza del ricorso comporta l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma equitativamente fissata in Euro 1.000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro.

1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *