Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-11-2011, n. 43672

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 12.01.2011 la Corte di Appello di Trieste confermava la condanna alla pena di mesi 4 di reclusione Euro 4.000 di multa inflitta nel giudizio di primo grado a P.L. quale colpevole del reato di cui alla L. n. 376 del 2000, art. 9, comma 1 e comma 3, lett. c) per essere, quale appartenente alla società GS Fiamme Azzurre affiliata alla FIDAL, risultato positivo per la presenza di 19-norandrosteroide in concentrazione superiore a 2 ng/ml al test antidoping, a seguito del doppio prelievo effettuato a (OMISSIS) in occasione del controllo disposto dalla Commissione antidoping del CONI durante il raduno collegiale settore lanci.

Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando:

– mancanza e/o manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione; inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità e/o d’inutilizzabilità con riferimento all’eccezione d’inutilizzabilità delle analisi per il mancato rispetto delle garanzie di cui all’art. 223 disp. att. c.p.p. mancando la prova dell’avvenuta ricezione da parte dell’interessato della raccomandata con cui sarebbe stato dato avviso del giorno, dell’ora e del luogo dove le analisi sarebbero state effettuate. L’avvenuta ricezione non poteva essere desunta, come ritenuto in sentenza, dalla missiva redatta su carta intestata del Ministero della giustizia – dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – segreteria generale – GS Fiamme Azzurre, firmata dal responsabile del Gruppo sportivo, con cui si comunicava che l’atleta rinunziava a comparire sia perchè non erano note le generalità del sottoscrittore, peraltro privo di rappresentanza, sia perchè la missiva non provava che fosse stato dato avviso contenente le indicazioni previste dall’art. 223 disp. att. c.p.p.;

– mancanza e/o manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato poichè, avendo il CT del PM affermato che il 14% degli integratori alimentari (lecitamente in commercio) contengono la sostanza dopante riscontrata nell’imputato, era possibile che l’assunzione fosse avvenuta inconsapevolmente potendo rientrare il caso nella suddetta percentuale;

– violazione di legge e vizio di motivazione sulla revoca dell’ammissione a testimoniare di A.M., teste indicato dal PM per il quale era stato ammesso il controesame. Erronea era tale decisione fondata sull’assunto che la difesa non aveva indicato le circostanze sulle quali il teste doveva deporre nè la loro rilevanza, risultando, invece, che la difesa aveva specificato la circostanza "se risulta allo stato se vi sono stati precedenti controlli antidoping nei confronti dell’imputato". Era pure riscontrabile un error in procedendo avendo la corte territoriale disapplicato il dettato dell’art. 495 c.p.p., comma 4 bis;

– mancata assunzione di prova decisiva costituita dall’esame del suddetto teste.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Con la prodotta memoria integrativa l’imputato eccepiva la prescrizione del reato.

Il primo motivo, in cui il secondo è assorbito, non è puntuale.

L’imputato ha eccepito l’inutilizzabilità e la nullità della procedura di analisi e, in particolare, la violazione dell’art. 223 disp. att. c.p.p. per non avere ricevuto l’avviso previsto dal primo comma dell’articolo.

La sentenza impugnata ha ritenuto infondata l’eccezione specificando che vi è in atti la prova dell’invio della raccomandata al P. sia per quanto riguarda l’avviso del luogo, dal giorno, dell’ora delle analisi e della facoltà di farsi assistere da un difensore sia in relazione al rinvio della data fissata dall’incombente (f. 20 degli atti).

L’intervenuta conoscenza, da parte dell’atleta, delle comunicazioni previste dalla legge emerge nettamente, essendo mancata la restituzione dell’avviso di ricevimento, da una missiva della società sportiva d’appartenenza facente capo al Ministero della Giustizia – dipartimento della polizia penitenziaria – nella quale si fa specifico riferimento alla comunicazione (all’evidenza pervenuta all’atleta) e si comunica la rinuncia dello stesso a comparire facendo anche un corretto riferimento alla data fissata per l’incombente.

La provenienza della missiva dall’Ente menzionato dell’intestazione e la paternità della stessa riconducibile al "responsabile del Gruppo Sportivo" che l’ha sottoscritta sono state ragionevolmente dedotte in sentenza che si è limitata a prendere atto della presenza nella sopraindicata missiva di dati specifici relativi a un atleta del gruppo che ne aveva avuto conoscenza (in quanto destinatario di comunicazioni attinente allo svolgimento delle analisi) comunicandoli, poi, al responsabile della società che, pur non individuato, ne aveva fatto uso redigendo lo scritto.

Sono quindi prive di consistenza le osservazioni difensive che distorcono il senso del ragionamento della corte territoriale che non ha dato alcun peso alla rinuncia a presenziare alle operazioni (enfatizzata in ricorso) ma ha costatato correttamente che nella missiva, redatta su carta intestata al Ministero della giustizia, dipartimento della polizia penitenziaria, segreteria generale, gruppo sportivo Fiamme Azzurre, venivano riportate puntuali circostanze relative al P. dal quale erano state acquisite essendo egli destinatario della raccomandata che ne faceva menzione.

Non è quindi censurabile la decisione impugnata che ha ritenuto sussistere l’unica garanzia richiesta per l’attività ispettiva contemplata dal citato art. 223 disp. att. c.p.p., che impone il preavviso all’interessato del giorno, dell’ora e del luogo in cui le analisi verranno effettuate.

Il terzo motivo di ricorso (sull’assenza di prova dell’elemento soggettivo del reato), attiene a questioni di fatto non proponibili in questa sede di legittimità e, inoltre, è manifestamente infondato.

La sussistenza del reato è stata ritenuta con motivazione logica e adeguata che ha confutato l’asserzione difensiva (secondo cui, essendo la sostanza in questione presente in una certa percentuale d’integratori alimentari lecitamente in commercio, sarebbe possibile che l’atleta l’avesse ingerita inconsapevolmente o ad altri Uni) rilevandone l’assoluta genericità per non essere stato indicato quale alimento contenente l’integratore l’atleta avesse ingerito, in che tempo e in che misura.

Anche gli altri motivi vanno disattesi.

Ricordato che "il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitatole all’inizio del defaticamento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti. (Affermando il principio la Corte ha ritenuto legittima la decisione del giudice che nel corso dal dibattimento ha escluso, ritenutane la irrilevanza, la deposizione di un teste già citato)" (Sezione 2 n. 9056/2009 RV. 243306), è manifestamente infondato il motivo con cui l’imputato si duole della revoca dell’ordinanza d’ammissione del teste A., indicato dal PM (che avrebbe dovuto deporre su una circostanza assolutamente ininfluente) senza opporre alcun valido argomento alla decisione di revoca.

Anche la censura relativa all’intervenuta prescrizione del reato non è puntuale perchè, "in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli dementi in suo possesso dai quali desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti. (Fattispecie m toma di edilizia)" (Cassazione Sezione 3, n. 19082/2009 RV. 243765) e, nel caso in esame, da tale onere l’imputato si è sottratto dato che non ha fornito alcun dato utile per dimostrare che la data del commesso reato non era quella specificata nella contestazione.

Va ricordato che, restando a carico dell’accusa l’onere della prova della data d’inizio della decorrenza del termine prescrittivo, non basta la mera affermazione dell’imputato a far ritenere che il reato si sia realmente estinto per prescrizione e neppure a determinare l’incertezza della data d’inizio della decorrenza del relativo termine.

In base al principio generale per cui ciascuno deve dare dimostrazione di quanto afferma, grava sull’imputato che voglia giovarsi della causa estintiva in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a poter concretamente disporre, per determinare la data d’inizio del decorso del termine di prescrizione.

Nella specie, il motivo sulla prescrizione consiste in una mera asserzione difensiva priva di qualsiasi concreto elemento di riscontro e assolutamente irrilevante stante la persistenza degli effetti dopanti al momento dell’accertamento, sicchè, essendo il dies a quo quello indicato nel capo d’imputazione (28.04.2004), la prescrizione non è ancora maturata.

Tenuto conto della sentenza n. 186/2000 della Corte Costituzionale e, rilevato che nella specie non sussistono elementi per ritenere che l’imputato abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità, alla relativa declaratoria segue, ex art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento e quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento in favore della cassa delle ammende della somma di Euro 1.000.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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