Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 12-10-2011) 25-11-2011, n. 43670

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 6.07.2010 la Corte d’Appello di Torino confermava la condanna alla pena della reclusione inflitta nel giudizio di primo grado a J.K. quale colpevole del reato di cui agli artt. 56 e 605 c.p. (per avere, in concorso con altri, tentato di privare della libertà personale la quindicenne M. M. che, tirata per le braccia per essere introdotta a forza all’interno di una Mercedes (OMISSIS), da lui guidata, aveva opposto resistenza non consentendo agli aggressori di conseguire l’intento) e del reato di cui all’art. 609 bis c.p., n. 2 e art. 609 octies c.p. (per avere, con altri, agendo materialmente uno dei tre giovani scesi dall’autovettura guidata da J. che inizialmente aveva fermato l’auto vicino alla M., costretto costei a subire atti sessuali effettuati da uno dei tre individui scesi dall’auto mentre un altro di essi la teneva ferma contro il muro).

La corte territoriale confermava l’affermazione di responsabilità ritenendo credibile la persona offesa il cui racconto d’accusa reso nell’incidente probatorio, sia pure venato di spiegabili contraddizioni, era credibile e riscontrato da apporti esterni.

L’imputato proponeva ricorso per cassazione, integrato da memoria, denunciando:

1. "mancanza e/o contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione sulla sussistenza dell’elemento costitutivo del reato".

La corte territoriale aveva preso atto delle infinite contraddizioni (tra il narrato in querela e quello dell’incidente probatorio) in cui era incorsa la persona offesa: prima aveva sostenuto che l’aggressore le aveva sbottonato i pantaloni tentando di introdurre la mano nella zona genitale e poi che l’uomo aveva posto il membro in contatto con la vagina.

Non erano stati riscontrati segni di violenza sebbene la ragazza avesse dichiarato di avere sostenuto una colluttazione con gli aggressori.

Anche la madre della ragazza si era contraddetta.

Inoltre, l’assoluzione dai reati di molestie, minacce e ingiurie (perchè "dai tabulati non emergono chiamate nell’ora e nel giorno indicato da M.") comprometteva la credibilità della ragazza sull’accusa di violenza sessuale;

2. inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale per il diniego dell’art. 609 octies c.p., comma 4, che gli competeva per non avere preso parte attiva alla commissione del reato essendosi egli "limitato a una presenza passiva in loco" senza agevolare il compimento del crimine commesso dagli aggressori.

Chiedeva l’annullamento della sentenza.

Premesso che il ricorso non investe l’affermazione di responsabilità per il reato di tentato sequestro di persona, va osservato che lo stesso, in punto d’affermazione di responsabilità per l’altro reato, è manifestamente infondato.

L’obbligo generale della motivazione, imposto per tutte le sentenze dall’art. 426 c.p.p., richiede la sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata e va rapportato al caso in esame, alle questioni sollevate dalle parti e a quelle rilevabili o rilevate dal giudice.

Tale obbligo è assolto quando il giudice esponga le ragioni del proprio convincimento a seguito di un’approfondita disamina logica giuridica di tutti gli elementi di rilevante importanza sottoposti al suo vaglio, sicchè, nel giudizio d’appello, occorre che la corte di merito esponga compiutamente i motivi d’appello e, sia pure per implicito, le ragioni per le quali rigetti le doglianze.

Il giudice d’appello è, quindi, libero, nella formazione del suo convincimento, d’attribuire alle acquisizioni probatorie il significato e il peso che egli ritenga giusti e rilevanti ai fini della decisione, con il solo obbligo di spiegare, con motivazione priva di vizi logici o giuridici, le ragioni del suo convincimento.

Inoltre, quando "le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza d’appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo" (Cassazione Sezione 1 n. 8868/2000, Sangiorgi, RV. 216906).

Tanto premesso, va osservato che in tema di reati sessuali, poichè la testimonianza della persona offesa è spesso unica fonte del convincimento del giudice, è essenziale la valutazione dell’attendibilità del teste; tale giudizio, essendo di tipo fattuale ossia di merito, può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr.

Cassazione Sezione 3, 41282/2006, Agnelli, RV. 235578).

Nel caso in esame, la corte territoriale ha ritenuto che gli elementi probatori acquisiti avessero spessore tale da giustificare l’affermazione di responsabilità dell’imputato richiamando le argomentazioni logiche dei giudici del primo giudizio, riferite alla globalità delle prove obiettive raccolte, non inficiate dalle censure difensive segnalate nell’atto d’appello.

Con argomentazioni incensurabili l’attendibilità della persona offesa è stata positivamente vagliata tenendo conto della coerenza delle sue dichiarazioni; dei riferimenti oggettivi e soggettivi; dei riscontri costituiti dalle deposizioni di coloro che furono informati nell’immediatezza del fatto (la madre, le compagne di scuola B. e le due C.) e della tempestiva presentazione della querela.

Inoltre, la segnalata contraddizione circa il grado d’intrusività detrazione criminosa è stata logicamente spiegata con lo stato psicologico della vittima, provata dalla dolorosa vicenda, che, comunque, non ha tenuto comportamenti incompatibili con l’effettività della violenza, subito denunciata.

Assolutamente generica è la censura sulle asserite contraddizioni attribuite alla teste A., madre della vittima e irrilevante l’assenza di lesioni evidenti rilevata dai medici che la visitarono dopo il fatto.

Nè è puntuale il rilievo secondo cui l’assoluzione dai reati di molestie, minacce e ingiurie incrinerebbe la credibilità della M. avendo i giudici d’appello precisato che la mancata indicazione sul tabulato della telefonata che sarebbe pervenuta il 24 o il 25 novembre 2003 non ne dimostra l’inesistenza trattandosi di indicazione fornita dalla madre della ragazza che non ne aveva diretta conoscenza e che non era stato effettuato un esame del tabulato per accertare se vi fossero telefonate provenienti da cabine pubbliche o da utenze di persone sconosciute alla ragazza stessa.

Il ricorso articola, quindi, soltanto censure in fatto e muove giudizi d’inverosimiglianza inammissibili in sede di legittimità.

Anche la censura relativa all’attenuante ex art. 608 c.p., comma 4 non è puntuale perchè la Corte d’Appello ha valutato correttamente l’incidenza del contributo causale alla consumazione della violenza sessuale di gruppo dato dall’imputato, che personalmente non ha compiuto atti di violenza, ma ha partecipato a un segmento dell’azione delittuosa (guidando il veicolo col quale è stata abbordata la vittima e con cui gli aggressori si sono dileguati al sopraggiungere di un passante), donde la rilevanza della sua presenza per l’effetto intimidatorio derivante dalla consapevolezza, da parte della vittima, di essere in balia di un gruppo di persone, con accrescimento, quindi, del suo stato di prostrazione e ulteriore diminuzione della possibilità di sottrarsi alla violenza (Cassazione Sezione 3, n 45979 RV 232537).

Per l’inammissibilità del ricorso grava sul ricorrente l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende di una somma equamente determinata in Euro 1.000.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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