Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-06-2012, n. 9646 Indennità di anzianità e buonuscita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata – in accoglimento dell’appello dell’INPDAP avverso la sentenza del Tribunale dell’Aquila n. 60/2008 del 7 marzo 2008 e in riforma di tale ultima sentenza – rigetta la domanda di N.R. volta ad ottenere la riliquidazione dell’indennità di buonuscita, sulla base del trattamento economico principale e accessorio dei dirigenti di seconda fascia previsto per il personale dell’Area 1, in godimento al momento del collocamento a riposo, in conformità con quanto stabilito nella sentenza della Corte dei conti n. 602/06, che gli aveva riconosciuto il diritto alla riliquidazione del trattamento di quiescenza, nei suddetti termini.

La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:

a) preliminarmente va dichiarata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta dal N., visto che l’atto di appello investe tutti gli aspetti della questione oggetto di causa e non è limitato al solo aspetto relativo al conferimento degli incarichi di reggenza;

b) nel merito l’appello va accolto, infatti i due incarichi dirigenziali di cui si tratta sono stati conferiti in via temporanea – e poi trasfusi in altrettanti contratti – per il tempo necessario alla copertura di posti vacanti, in base all’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate (come ha riferito lo stesso ricorrente);

c) si è trattato, quindi, di incarichi sottoposti a precisi limiti temporali, rappresentati dal completamento delle procedure selettive di reclutamento del personale di livello dirigenziale;

d) lo stesso art. 24 cit. dispone che ai funzionari chiamati a ricoprire posti vacanti di dirigenti sia riconosciuto il trattamento economico previsto per i dirigenti, ma nulla dice in merito al trattamento previdenziale e quindi all’indennità di buonuscita, che ha natura previdenziale;

e) d’altra parte, non si può fare applicazione dell’art. 40 del c.c.n.l. Area dirigenti, invocato dal N., perchè esso si riferisce ai titolari della qualifica di dirigente, mentre il ricorrente è sempre rimasto estraneo all’Area dirigenziale, continuando a possedere la posizione economica C3 con qualifica di funzionario di 9 livello e questo conta per la liquidazione della buonuscita, ai sensi del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38 come si desume anche da Cass. 11 giugno 2008, n. 15498, riguardante una fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio.

2- Il ricorso di N.R. domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resistono, con due diversi controricorsi, l’INPDAP e l’Agenzia delle Entrate.

Il N. deposita anche memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Motivi della decisione

1 – Profili preliminari.

1.- Preliminarmente deve essere precisato che, essendo la legittimazione, intesa come individuazione della parte capace processualmente, un presupposto necessario per la regolare costituzione del rapporto processuale in tutte le sue fasi, essa deve essere verificata ed è rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di cassazione, come questa Corte ha ripetutamente affermato (vedi per tutte: Cass. sentenze n. 914 del 1988; n. 5024 del 1995, nonchè Cass. 16 marzo 2009, n. 6348; Cass. 13 ottobre 2009, n. 21703; Cass. 2 dicembre 2011, n. 25813).

Ora, nella presente controversia risulta che nel giudizio di appello l’Agenzia delle Entrate ha chiesto la dichiarazione del passaggio in giudicato del capo della sentenza del Tribunale sul proprio difetto di legittimazione passiva o, in subordine, la conferma di tale capo della sentenza di primo grado.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, il giudicato interno si determina allorchè la carenza di legittimazione sia stata appositamente denunciata e, quindi, sia stata espressamente negata dal giudice di merito ovvero sia rimasta senza esplicita risposta e tale omessa pronuncia non sia stata poi oggetto di appello (arg. ex Cass. 21 dicembre 2011. n. 28078; Cass. 17 luglio 2007, n. 15946).

Ne consegue che, nella specie, si deve ritenere che si sia formato il giudicato interno sul difetto di legittimazione passiva dell’Agenzia delle Entrate, non essendosi la Corte d’appello pronunciata sul capo della sentenza di primo grado che l’aveva dichiarata.

2- Sintesi dei motivi di ricorso.

2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, in forza dell’art. 324 cod. proc. civ. Si rileva che nel ricorso introduttivo era stato precisato che: a) ai sensi del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 3 l’indennità di buonuscita del personale civile dello Stato va liquidata sulla base dell’ultimo stipendio o dell’ultima paga o retribuzione integralmente percepita;

b) nel caso di specie è stato stipulato un primo contratto in via provvisoria il 16 maggio 2001, nel quale è stato attribuito al ricorrente oltre allo stipendio di dirigente la retribuzione di posizione parte fissa e parte variabile del quarto livello dirigenziale; successivamente, con il contratto individuale di lavoro integrativo in data 6 marzo 2002, salve le restanti disposizioni, è stato conferito al N. l’incarico di direzione dell’Ufficio fiscalità della Direzione generale delle Entrate per l’Abruzzo corrispondente al terzo livello di posizione, con decorrenza dal 1 gennaio 2001 e fino alla individuazione del dirigente idoneo, con attribuzione del trattamento economico fondamentale ed accessorio in conformità delle vigenti disposizioni del c.c.n.l. per la dirigenza dell’area 1.

Conseguentemente nel ricorso suindicato è stato chiesto l’accertamento del diritto del ricorrente alla riliquidazione della indennità di buonuscita in considerazione del trattamento economico attribuito con il menzionato contratto integrativo e la condanna dell’INPDAP al pagamento della differenza tra quanto corrisposto e quanto dovuto a titolo di indennità di buonuscita.

Il Tribunale ha accolto il ricorso sulla base della giurisprudenza di legittimità, sottolineando che nella specie le componenti retributive in contestazione erano correlate alla professionalità del N., anche se non attribuite in via definitiva, visto che si trattava di un incarico di reggenza conferito con due contratti individuali, uno iniziale e uno integrativo.

Nell’atto di appello dell’INPDAP non è stato espressamente impugnato il capo della sentenza nel quale si fa espresso riferimento alla sopravvenuta contrattualizzazione dell’incarico dirigenziale, che rappresenta quello in base al quale è stato accolto il ricorso. Per tale ragione il N. ha sollevato un’eccezione di inammissibilità dell’appello sostenendo che su tale questione – assorbente – si era formato il giudicato interno. La Corte d’appello viceversa ha respinto l’eccezione ritenendo che l’appello fosse riferito a tutti gli aspetti della problematica in discussione.

Pertanto, si sostiene che la Corte aquilana sia pervenuta all’accoglimento di un appello che, invece, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile. Quindi la sentenza attualmente impugnata dovrebbe essere dichiarata nulla perchè ha omesso di pronunciare sulla inappellabilità della sentenza per la preclusione derivante dal giudicato interno formatosi sul capo della sentenza di primo grado nel quale è stato posto in rilievo che la non precarietà della corresponsione delle voci stipendiali contestate dipendeva dalla sopravvenuta contrattualizzazione dell’incarico dirigenziale, che costituisce ragione da sola idonea a comportare l’attribuzione del trattamento economico richiesto e che non è stato espressamente contemplato nell’atto di appello.

3.- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38 con riferimento al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 19; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.

Si sostiene che la Corte territoriale ha applicato erroneamente il principio di diritto affermato da Cass. 11 giugno 2008, n. 15498 perchè la fattispecie esaminata in tale sentenza è quella dello svolgimento di mansioni superiori "in via di fatto", mentre nella presente controversia le mansioni dirigenziali sono state svolte dal ricorrente sulla base di formali atti di incarico, seguiti da la stipulazione di due contratti individuali con l’Agenzia delle Entrate, in base ai quali al N. è stato corrisposto il trattamento economico proprio dell’incarico dirigenziale conferito, sul quale sono state operate, in favore dell’INPDAP, le trattenute di legge finalizzate all’attribuzione della corrispondente indennità di buonuscita.

Infine, si sottolinea anche dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 40 (non applicabile, ratione temporis) – secondo cui, ai fini della determinazione del trattamento pensionistico dei dipendenti statali titolari di incarichi di funzioni dirigenziali, resta fermo il D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 43 in base al quale l’individuazione dell’ultimo stipendio corrisponde all’ultima retribuzione percepita in relazione all’incarico svolto – si può desumere che, in difetto di una specifica normativa di modifica, anche per la determinazione dell’indennità di buonuscita resta ferma la disposizione del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38 che prevede, analogamente, che si debba fare riferimento all’ultimo stipendio, all’ultima paga o retribuzione.

3- Esame delle censure.

4.- Il primo motivo del ricorso deve essere respinto, per le ragioni di seguito precisate. 4.1,- In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. 23 agosto 2007, n. 17935; Cass. 17 novembre 2008, n. 23747), non anche su quelli relativi ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cass. 30 ottobre 2007, n. 22863);

b) costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. 17 novembre 2008, n. 23747; Cass. 30 ottobre 2007, n. 22863; Cass. 20 dicembre 2006, n. 27196);

c) ove non sia stata proposta impugnazione nei confronti di un capo della sentenza e sia stato, invece, impugnato un altro capo strettamente collegato al primo, è da escludere che sul capo non impugnato si possa formare il giudicato interno (vedi, per tutte:

Cass. 2 marzo 2010, n. 4934);

d) la violazione del giudicato interno si può verificare soltanto quando la sentenza di primo grado si sia pronunziata espressamente su una questione del tutto distinta dalle altre e tale specifica pronunzia non può considerarsi implicitamente impugnata allorchè il gravame sia proposto in riferimento a diverse statuizioni, rispetto alle quali la questione stessa non costituisca un antecedente logico e giuridico, così da ritenersi in esse necessariamente implicata, ma sia soltanto ulteriore ed eventuale e, comunque, assolutamente distinta (Cass. 3 dicembre 2008, n. 28739);

4.2- Nella specie, è del tutto evidente che il capo della sentenza – relativo alla sopravvenuta contrattualizzazione dell’incarico dirigenziale – sul quale si sarebbe formato il giudicato interno, non integra una decisione autonoma, ma piuttosto rappresenta un passaggio motivazionale della statuizione in concreto adottata.

Ne consegue che la mancata specifica impugnazione del suddetto passaggio motivazionale non può certamente configurare una situazione di formazione di un giudicato interno e quindi non incide sull’ammissibilità del ricorso e ancor meno può essere configurata come causa della prospettata nullità della sentenza o di omessa pronuncia, tanto più che la relativa eccezione è stata esaminata dalla Corte territoriale (e respinta, con congrua motivazione) e, d’altra parte, dall’atto di appello (consultabile in questa sede, dato il tipo di censura in argomento) risulta che l’INPDAP ha inteso impugnare integralmente la sentenza di primo grado e ne ha contestato la complessiva impostazione, come ha rilevato anche la Corte aquilana.

5.- Il secondo motivo è, invece, da accogliere.

5.1.- L’argomento principale su cui si fonda la decisione della Corte territoriale è quello secondo cui quando si garantisce a chi svolge "temporaneamente" un incarico di funzione dirigenziale senza averne la qualifica il trattamento economico corrispondente all’incarico svolto non si ricomprende l’indennità di buonuscita che ha natura previdenziale e non retributiva.

Tale assunto non può essere condiviso per molteplici ragioni.

Com’è noto, da tempo, la Corte costituzionale ha sottolineato che, attraverso l’ampio processo di assimilazione tendente a permeare l’intero assetto del rapporto di lavoro dipendente iniziato con il D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, le indennità di fine rapporto, nonostante le diversità di regolamentazione, costituiscono ormai, una categoria unitaria connotata da identità di natura e funzione e dalla generale applicazione a qualunque tipo di rapporto di lavoro subordinato e a qualunque ipotesi di cessazione del medesimo, affermando, in particolare, che ad esse va riconosciuta l’essenziale natura di retribuzione differita, pur se legata ad una concorrente funzione previdenziale (Corte cost.: sentenze n. 458 del 2005; n. 91 del 2004; n. 243 e n. 99 del 1993; n. 439 e n. 63 del 1992; n. 319 del 1991 e n. 471 del 1989).

Peraltro, parallelamente, anche nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato – e progressivamente consolidato – l’orientamento secondo cui nel pubblico impiego privatizzato la buonuscita dei dipendenti ha natura retributiva e la relativa determinazione deve essere effettuata tenendo conto di ogni elemento di natura retributiva che, avendo i caratteri dell’obbligatorietà, della continuità e della determinatezza (o determinabilità) rientri nella nozione di retribuzione normale o di fatto (arg. ex Cass. 18 febbraio 1992, n. 1979; Cass. 28 marzo 2007, n. 7596), pur specificandosi, con riguardo ai dipendenti statali, che deve escludersi che, ai fini del ragguaglio dell’indennità medesima, possano comprendersi emolumenti diversi da quelli tassativamente previsti dal combinato disposto del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38 o da leggi speciali, non potendo interpretarsi le locuzioni "stipendio", "paga" o "retribuzione", nel senso generico di retribuzione omnicomprensiva riferibile a tutto quanto ricevuto dal lavoratore in modo fisso o continuativo e con vincolo di corrispettività con la prestazione, attesa la specifica enumerazione degli assegni, computabili a tal fine, operata dal legislatore (vedi in tal senso, da ultimo: Cass. 16 febbraio 2012, n. 2259; Cass. 25 ottobre 2011, n. 22125).

Non va, del resto, dimenticato che, come già più volte sottolineato da questa Corte, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 ha compreso tra le controversie devolute al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro riguardanti i rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4 anche quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte (Cass. SU 2 luglio 2008, n. 18038; Cass. SU 24 dicembre 2009, n. 27305). Nè va omesso di considerare che, anche in precedenza, i giudizi relativi all’indennità di buonuscita non sono mai stati devoluti alla giurisdizione della Corte dei conti (che si occupa delle controversie nella materia pensionistica del settore pubblico), ma al Giudice amministrativo (arg. ex Corte dei Conti, sez. giur. Regione Lombardia, 1 aprile 1995, n. 314).

Ne risulta confermato che l’indennità di buonuscita – al pari delle alle indennità di fine rapporto, variamente denominate – dei dipendenti statali e del pubblico impiego privatizzato pur realizzando una funzione di tipo previdenziale ha natura retributiva ed è commisurata alla base contributiva dell’ultima retribuzione percepita (Cass. SU 30 ottobre 2008, n. 26019).

Il riferimento alla "percezione" del trattamento economico comporta, per gli statali, che, in base al principio ricavabile dal combinato disposto del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3, 37 e 38 è necessario, ai fini del computo della buonuscita, che vi sia corrispondenza fra corrispettivo utile all’effetto predetto ed assoggettamento dello stesso al contributo previdenziale obbligatorio (Cons. Stato, sez. 6, 4 giugno 2009, n. 3438; Cons. Stato 28 maggio 2009, n. 3305).

5.2.- Stabilita la natura retributiva dell’indennità di buonuscita, va precisato che, come ripetutamente affermato anche dalla giurisprudenza costituzionale, il principio di proporzionalità della retribuzione, di cui all’art. 36 Cost., richiede che il temporaneo svolgimento delle mansioni superiori sia sempre aggiuntivamente compensato rispetto alla retribuzione della qualifica di appartenenza (sentenze n. 101 del 1995, n. 296 del 1990 e n. 57 del 1989), ma non impone la piena corrispondenza al complessivo trattamento economico di chi sia titolare di quelle funzioni i appartenendo ad un ruolo diverso previo oggettivamente accertamento, con apposita selezione concorsuale, della relativa maggiore qualificazione professionale, significativa di una più elevata qualità del lavoro prestato (sentenze n. 115 del 2003 e n. 273 del 1997), perchè le prestazioni lavorative effettuate possono non risultare pienamente omogenee.

Da ciò si desume, a contrario, che nell’ipotesi di reggenza conferita per un posto vacante di dirigente per il periodo necessario all’espletamento delle procedure di selezione per la copertura del posto stesso con attribuzione del relativo trattamento economico se la reggenza prosegue per un periodo eccessivamente lungo e nel frattempo il dipendente matura i requisiti per il collocamento a riposo, nel computo dell’indennità di buonuscita non si può non tenere conto, come ultimo trattamento economico percepito, di quello corrisposto per il suddetto incarico dirigenziale, anche se a titolo di reggenza.

Va, infatti, ricordato che, in base ad altrettanto consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:

a) in materia di pubblico impiego contrattualizzato – come si evince anche dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 6, nel testo, sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e successivamente modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15 ora riprodotto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 32 l’impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche se corrispondenti, in ipotesi, ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e suffieiente ai sensi dell’art. 36 Cost.;

b) tale principio deve trovare integrale applicazione senza sbarramenti temporali di alcun genere, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all’attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni (Principio di diritto enunciato ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, per la particolare importanza della questione di diritto risolta, da Cass. SU 11 dicembre 2007. n. 25837, cui si sono uniformate: Cass. 11 giugno 2009, n. 13597; Cass. SU 23 aprile 2008, n. 10454; Cass. 30 dicembre 2009, n. 27887);

c) in particolare, in tema di reggenza da parte del personale appartenente alla qualifica C3 del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, il D.P.R. n. 266 del 1987, art. 20 (contenente le norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il Comparto del personale dipendente dei Ministeri), deve essere interpretato, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod. civ. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), nel senso che l’ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità ("in attesa della destinazione del dirigente titolare"), con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo in virtù della suddetta specifica norma regolamentare, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicchè, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di mansioni dirigenziali. Nè, a tal fine, assume rilievo la disposizione di cui all’art. 24 del c.c.n.l. del 16 febbraio 1999 Comparto Ministeri- personale non dirigente che nel disciplinare il trattamento retributivo conseguente all’attribuzione di mansioni immediatamente superiori alla qualifica di appartenenza – riguarda la diversa ipotesi di sostituzione di dirigenti assenti temporaneamente (Cass. SU 16 febbraio 2011, n. 3814);

d) il D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266, art. 20 (contenente le norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 marzo 1987 concernente il Comparto del personale dipendente dei Ministeri), in tema di reggenza da parte del personale appartenente alla nona qualifica funzionale del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, deve essere interpretato, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod. civ. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), nel senso che l’ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità ("in attesa della destinazione del dirigente titolare"), con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo in virtù della suddetta specifica norma regolamentare, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicchè, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di mansioni dirigenziali. Peraltro, l’art. 24, comma 4, del c.c.n.l. del Comparto Ministeri per il quadriennio 1998-2001 – che la Corte di cassazione può interpretare direttamente ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5, anche nelle clausole che non hanno costituito oggetto di censura da parte del ricorrente con il quale le parti hanno disciplinato il conferimento delle mansioni immediatamente superiori, non si riferisce all’ipotesi dell’assegnazione delle mansioni dirigenziali a dipendente non in possesso della relativa qualifica, atteso che la previsione pattizia si limita, al primo comma, a fornire una regolamentazione per la sola parte demandata alla contrattazione e, al sesto comma, richiama espressamente la disciplina legale per quanto non previsto. Il conferimento delle mansioni dirigenziali a dipendenti non in possesso della relativa qualifica resta, pertanto, regolato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, con conseguente diritto del lavoratore alla differenza di trattamento economico (Principio affermato ai sensi dell’art. 360- bis c.p.c., comma 1, da Cass. 6 giugno 2011, n. 12193, nello stesso senso: Cass. 26 marzo 2010, n. 7342);

e) il medesimo principio è stato affermato con riguardo ad un incarico di reggenza di un ufficio dirigenziale sprovvisto di titolare svolto da un dipendente statale appartenente alla nona qualifica funzionale protrattosi per un quinquennio (dal 1995 al 2000), riconoscendosi il diritto del reggente alla retribuzione correlata alle mansioni superiori svolte nelle more del lungo intervallo temporale trascorso per la copertura del menzionato posto e soggiungendosi che la situazione non si poteva considerare mutata per effetto della nuova classificazione attuata dal c.c.n.l. del Comparto Ministeri del 16 febbraio 1999, non ricomprendendosi tra le mansioni proprie del profilo relativo alla posizione economica C3 le funzioni di reggenza del ruolo dirigenziale (Cass. 17 aprile 2007, n. 9130);

f) nello stesso senso, in una analoga situazione di reggenza, da parte del personale appartenente alla nona qualifica funzionale, del pubblico ufficio sprovvisto, temporaneamente, del dirigente titolare, si è stabilito che, nel caso concreto, non assumeva importanza determinare l’arco temporale congruo per l’espletamento della procedura concorsuale in quanto il posto era rimasto vacante dal 1992 al 2000, periodo sicuramente superiore ad ogni tollerabile spatium deliberandi (Cass. 9 settembre 2008, n. 22932);

g) lo svolgimento di mansioni rientranti in una qualifica superiore, pur non avendo effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore, rileva, alle condizioni stabilite dalla legge (da ultimo: D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52), ai fini della maturazione del diritto alle relative differenze retributive, anche nel caso in cui le mansioni non rientrino nella qualifica immediatamente superiore ma in quelle ulteriori, dovendo essere corrisposta al lavoratore in ogni caso una retribuzione proporzionata al lavoro prestato ex art. 36 Cost. (Cass. 23 febbraio 2009, n. 4367);

h) il diritto al compenso per Io svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscere nella misura indicata nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 5, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, nè all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (Cass. 18 giugno 2010, n. 14775);

i) nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, il conferimento di mansioni dirigenziali a un funzionario è illegittimo, ma, ove tali mansioni vengano di fatto svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni, il lavoratore ha comunque diritto al corrispondente trattamento economico (Cass. 12 aprile 2006, n. 8529; Cass. 27 aprile 2007, n. 10027; Cass. 6 luglio 2007, n. 16469);

j) nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, la rilevanza delle specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative a livello dirigenziale e delle relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico non impedisce l’applicazione della disciplina relativa all’esercizio dell’espletamento di fatto di mansioni superiori da parte di un funzionario, con il corrispondente diritto al relativo trattamento economico, ma a tal fine non è sufficiente il provvedimento di incarico, occorrendo invece l’allegazione e la prova della pienezza delle mansioni assegnate, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, in relazione alle concrete attività svolte e alle responsabilità attribuite (Cass. 19 aprile 2007, n. 9328).

5.3.- Dall’insieme dei richiamati principi si trae conferma del fatto che, nella specie, non può essere negato al N. il diritto azionato in quanto: 1) l’incarico di funzione dirigenziale non generale in oggetto è stato conferito con appositi contratti (quindi, in base alla disposizione omologa, ratione temporis, rispetto al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 6, nonchè in base alla corrispondente disciplina di settore) nei quali è stata prevista l’attribuzione del "trattamento economico fondamentale e accessorio in conformità alle vigenti disposizioni del c.c.n.l. per la dirigenza dell’Area 1" (e non semplicemente la corresponsione della retribuzione di posizione relativa all’ufficio dirigenziale, in aggiunta allo stipendio tabellare della qualifica di appartenenza);

2) è pacifico e non contestato che il N. ha svolto pienamente le mansioni proprie dell’ufficio dirigenziale stesso, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, con riguardo alle connesse e concrete attività poste in essere e alle responsabilità attribuite; 3) l’incarico è stato conferito con decorrenza 1 gennaio 2001 e "fino all’individuazione del dirigente idoneo" a ricoprire il posto vacante "temporaneamente" coperto dal N.; 4) N. è cessato dal servizio in data 5 luglio 2004, quando stava ancora svolgendo il suddetto incarico di funzione dirigenziale.

A ciò va aggiunto che l’Amministrazione finanziaria ha goduto, fin dal D.L. 28 marzo 1997, n. 79, art. 12 convertito con modificazioni dalla L. 28 maggio 1997, n. 140, di un regime di favore in ordine alla possibilità di attribuire, per motivate esigenze funzionali, reggenze di uffici di livello dirigenziale non generale a dipendenti appartenenti alla nona e all’ottava categoria.

Con l’avvento delle Agenzie fiscali tale regime non è mutato, ma, poichè il 1 gennaio 2001, le Agenzie sono diventate Amministrazioni autonome, per le suddette situazioni si deve fare riferimento anche alle specifiche regolamentazioni di cui ciascuna Agenzia si è dotata.

Nel regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, approvato con delibera del Comitato direttivo n. 4 del 30 novembre 2000 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 36 del 13 febbraio 2001) dal combinato disposto dell’art. 12, comma 6, e dell’art. 24 (intitolato: "Copertura provvisoria di posizioni dirigenziali") si desume che in caso di assenza di un dirigente per un periodo di tempo superiore ad un mese ovvero per la copertura dei posizioni dirigenziali vacanti all’atto del proprio avvio, l’Agenzia può stipulare, previa specifica valutazione di idoneità a ricoprire provvisoriamente l’incarico, contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti, con l’obbligo di avviare nei sei mesi successivi" la procedura selettiva, salve eventuali vacanze sopravvenute.

Ne deriva che nella fattispecie in esame nella quale ricorrono tutti gli elementi in base ai quali nella giurisprudenza di questa Corte è stata affermata la sussistenza del diritto del "reggente" alla corresponsione del trattamento economico corrispondente alla mansioni superiori svolte, ivi compresa la durata dell’incarico per un periodo sicuramente superiore ad ogni tollerabile spatium deliberandi – a maggior ragione deve essere riconosciuta la fondatezza della pretesa del N., ove si consideri, da un lato, che egli, al momento della cessazione del servizio, si trovava nella posizione di incaricato di un ufficio dirigenziale sulla base di un contratto e, quindi, in applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, comma 6, – che gli conferiva il diritto di percepire il trattamento economico corrispondente all’incarico dirigenziale stesso e, dall’altro lato,i che l’incarico medesimo si è protratto per un periodo di tempo molto lungo e senz’altro maggiore rispetto a quello che la stessa Agenzia delle Entrate aveva previsto quando aveva assunto l’obbligo di avviare le procedure selettive per coprire le posizioni dirigenziali vacanti "nei sei mesi successivi" alla stipulazione dei contratti per la copertura provvisoria delle suddette posizioni.

Nè può essere messo in dubbio che la suddetta situazione si rifletta anche – per quanto si è osservato prima – sulle modalità di calcolo dell’indennità di buonuscita, per le quali non si può non tenere conto, come ultimo; trattamento economico percepito, di quello corrisposto per il suddetto incarico dirigenziale, anche se a titolo peraltro, solo nominalmente – temporaneo, tanto più che non è in contestazione che questo trattamento è stato assoggettato al corrispondente contributo previdenziale obbligatorio.

4 – Conclusioni.

6.- Per le suesposte ragioni il primo motivo di ricorso deve essere respinto e il secondo deve, invece, essere accolto.

La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata, in relazione al motivo accolto. Trattandosi di cassazione della sentenza impugnata per violazione di norme di diritto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, può essere decisa nel merito, con la dichiarazione del diritto di N.R. alla riliquidazione della indennità di buonuscita sulla base del trattamento economico di dirigente di seconda fascia, previsto per il personale dell’Area 1 c.c.n.l. dirigenti Comparto Ministeri (stipendio, r.i.a., retribuzione di posizione) applicabile ratione temporis alla data del collocamento a riposo e con la conseguente condanna dell’INPDAP al pagamento sia della differenza fra il suindicato importo dovuto e quello concretamente corrisposto sia dei corrispondenti interessi legali.

L’INPDAP va anche condannato al pagamento, in favore di N. R., delle spese processuali dell’intero processo, nella misura liquidata – rispettivamente per i vari gradi del giudizio – in dispositivo.

In considerazione del divario di decisioni registratosi in merito alla posizione assunta nel presente giudizio dall’Agenzia delle Entrate e alla globale complessità delle questioni trattate, si ritiene ricorrano giustificate ragioni per disporre la compensazione delle spese dell’intero processo nei confronti dell’Agenzia stessa.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e rigetta il primo.

Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito: 1) dichiara il diritto di N.R. alla riliquidazione della indennità di buonuscita sulla base del trattamento economico di dirigente di seconda fascia, previsto per il personale dell’Area I c.c.n.l. dirigenti Comparto Ministeri (stipendio, r.i.a., retribuzione di posizione) applicabile ratione temporis alla data del collocamento a riposo; 2) condanna l’INPDAP al pagamento della differenza fra l’importo dovuto sub e quello corrisposto, oltre agli interessi legali; 3) condanna l’INPDAP al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente, liquidate, rispettivamente, in:

a) Euro 1800,00 (milleottocento/00), di cui Euro 1000,00 (mille/00) per onorari, oltre IVA e CPA per il giudizio di primo grado;

b) Euro 2000,00 (duemila/00), di cui Euro 1200,00 (milleduecento/00) per onorari, oltre IVA e CPA per il giudizio di secondo grado;

c) Euro 40,00 (quaranta/00) per esborsi, oltre Euro 2500,00 (duernilacinquecento/00) per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali per il giudizio di cassazione. Compensa le spese dell’intero giudizio nei confronti della Agenzia delle Entrate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 15 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *