Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-06-2012, n. 9634 Tassa rimozione rifiuti solidi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 114/6/10, depositata il 25.6.10 e notificata il 30.7.10, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dal Comune di Varedo avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato in parte accolto il ricorso proposto dalla DLS Group s.r.l.

avverso le cartelle di pagamento emesse per la TARSU, relativa agli anni di imposta 2006 e 2007.

2. La CTR riteneva, invero, che i rifiuti prodotti nell’immobile condotto in locazione dalla società contribuente fossero in toto riconducibili ai rifiuti urbani, atteso che anche gli imballaggi erano stati ricompresi dall’ente impositore, con apposita delibera adottata ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2 tra i rifiuti speciali non pericolosi assimilabili – ai fini della relativa tassazione – ai rifiuti urbani.

3. Per la cassazione della sentenza n. 114/6/10 ha proposto ricorso la DLS Group s.r.l., affidato a due motivi. Il Comune di Varedo ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, la DLS Group s.r.l. deduce l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 50 del 1993, nonchè la mancanza di motivazione.

1.1. La ricorrente – dopo una lunga introduzione dedicata all’inquadramento della TARSU (tassa per lo smaltimento di rifiuti solidi urbani), e della norme che la disciplinano, nel sistema tributario italiano – lamenta, in estrema sintesi e del tutto genericamente, che erroneamente la CTR avrebbe equiparato i rifiuti urbani a quelli speciali non pericolosi, non tenendo conto del fatto che il Comune non aveva – a suo dire – comunicato ad essa istante l’espletamento del servizio, non mettendola, di conseguenza, in condizione di usufruire del servizio stesso.

2. Con il secondo motivo di ricorso, poi, la DLS Group s.r.l. deduce l’erronea applicazione delle norme processuali, e la mancanza di motivazione.

2.1. La ricorrente, dopo avere trascritto integralmente la propria comparsa di costituzione e di risposta nel giudizio di appello, ha dedotto – richiamandosi integralmente alle difese ivi contenute – che sulle stesse non vi sarebbe stata alcuna presa di posizione dell’ente imposi-tore, Comune di Varedo, nè tali deduzioni e difese sarebbero state, tanto meno, prese in considerazione dall’impugnata sentenza.

3. I due motivi di ricorso suesposti sono inammissibili.

3.1. Questa Corte ha, invero, più volte affermato che il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione dell’impugnata sentenza, aventi i caratteri di specialità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata. Il che comporta la necessità dell’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnato, nonchè dell’esposizione di ragioni che illustrino – in modo intellegibile ed esauriente – le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione dell’impugnata sentenza (cfr. Cass. 13259/06, 2065:709).

A tal riguardo, va tenuto conto, infatti, che la violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una disposizione normativa; per il che è evidente che la sua deduzione non può che concretarsi nel mettere in evidenza l’inammissibilità del motivo di ricorso – un problema interpretativo della medesima disposizione di legge. Per contro, la deduzione del vizio motivazionale non tradursi nella specifica allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, operata da parte del giudice di merito a mezzo delle risultanze di causa; tale censura è, pertanto, esterna all’esatta interpretazione della disposizione normativa ed è, a differenza del vizio di violazione di legge, mediata dalla contestata valutazione in fatto delle risultanze di causa (cfr. Cass.S.U. 10313/06).

3.2. Ebbene, nel caso di specie, il ricorso proposto dalla DLS Group s.r.l. – pur involgendo almeno in astratto, nelle intenzioni della ricorrente, sia presunti errori in diritto che vizi motivazionali dell’impugnata sentenza -non si è, peraltro, tradotto nell’indicazione, nè di specifici errori interpretativi, nei quali sia incorso il giudice di appello, nè di concrete ed individuabili carenze motivazionali della sentenza di seconde cure. I motivi di ricorso articolati dalla contribuente sono, per vero, già del tutto genericamente rubricati "erronea applicazione del D.Lgs. n. 50 del 1993; mancanza di motivazione", il primo, ed "erronea applicazione delle norme processuali; mancanza di motivazione", il secondo, senza che sia effettuato, pertanto, alcun riferimento specifico alle pretese violazioni di legge ed ai presunti vizi motivazionali dedotti. Ma poi, mentre il primo di tali motivi, dopo un’ampia premessa del tutto teorica sulla natura e sul regime della TARSU, si risolve in una apodittica e generica doglianza circa la pretesa mancata fruizione del servizio di smaltimento rifiuti da parte della ricorrente, il secondo motivo si concreta esclusivamente nella trascrizione e nel pedissequo richiamo della comparsa di costituzione nel giudizio di appello.

Manca del tutto, pertanto, un qualsiasi riferimento alle rationes decidendi poste a fondamento dell’impugnata sentenza, ed alle critiche che ad esse la ricorrente intenda muovere in fatto ed in diritto.

3.3. Nè può in alcun modo emendare il palese vizio di inammissibilità da cui risultano affetti i due motivi di ricorso della DSL Group s.r.l., a giudizio della Corte, il rinvio della contribuente agli atti difensivi del giudizio di appello e la loro integrale trascrizione. Ed invero, secondo il costante insegnamento di questa Corte, il ricorso per cassazione è inammissibile se il ricorrente, anzichè narrare i fatti di causa ed esporre l’oggetto della pretesa, come richiede l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, si limiti a trascrivere integralmente gli atti dei precedenti gradi del giudizio, ovvero si limiti ad allegare mediante "spillatura" tali atti al ricorso (cfr. Cass. S.U. 16628/09, S.U. 19255/10, Cass. 6279/11). Come pure è, senza dubbio, da escludere che l’onere dell’indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 – qualunque sia il tipo di errore, in procedendo o in indicando, per cui è proposto – possa essere assolto per relationem con il generico rinvio agli atti del giudizio di appello (Cass. 11984/11). E’ fin troppo evidente, infatti, che tale modus operandi integra una palese violazione del c.d. principio di autosufficienza del ricorso, finalizzato a consentire alla Corte l’agevole comprensione, sulla base del solo atto introduttivo del giudizio di legittimità, dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura.

4. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della società ricorrente, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.500,00, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 17 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

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