Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-06-2012, n. 9631 Tassa rimozione rifiuti solidi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 255/34/09, depositata il 17.11.09, la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dal Comune di Somma Vesuviana avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto in parte il ricorso proposto dalla società Supermercato D & C. s.r.l.

avverso la cartella di pagamento emessa per il pagamento della TARSU (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), per l’anno di imposta 2005.

2. La CTR, invero, riteneva, per un verso, totalmente non tassabile l’area adibita a reparto macelleria, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, per altro verso, regolarmente approvata, e non invalidabile in alcun modo da parte del giudice tributario, la Delib. Consiliare n. 1934-24/98, con la quale il Comune di Somma Vesuviana aveva provveduto all’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2.

3. Per la cassazione della sentenza n. 255/34/09 ha proposto ricorso la Supermercato D & C. s.r.l., articolando due motivi.

L’amministrazione intimata ha replicato con controricorso contenente, altresì, ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, la Supermercato D & C. s.r.l.

denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

1.1. Deduce, al riguardo, la ricorrente che la CTR avrebbe del tutto erroneamente ritenuto di non poter in alcun modo incidere – "per incompetenza assoluta in materia" -sulla Delib. Consiliare n. 1934- 24/98, con la quale il Comune di Somma Vesuviana aveva provveduto all’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, per il solo fatto di essere stata detta delibera "regolarmente approvata" dall’ente territoriale.

Difatti, a parere della Supermercato D. & C. s.r.l., se è bensì vero che al giudice tributario è inibito pronunciarsi sulla validità di una delibera comunale e dell’atto adottato in forza della stessa, pronunciandone l’annullamento, tuttavia, al medesimo giudice è consentito di procedere alla disapplicazione degli atti amministrativi ritenuti illegittimi, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, rt. 7, comma 5. Sicchè la CTR, ad avviso della ricorrente, ben avrebbe potuto – e dovuto – verificare la legittimità sostanziale della suindicata delibera e del susseguente regolamento comunale, al di là della loro, formalmente regolare, approvazione, e procedere alla disapplicazione di tali atti ai sensi della disposizione succitata.

1.2. Il motivo è fondato.

1.2.1. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che al giudice tributario – non diversamente dal giudice ordinario – sia inibito conoscere principaliter degli atti e provvedimenti amministrativi, e di pervenire ad una decisione di annullamento degli stessi, ostandovi – sul piano generale – il chiaro disposto della L. n. 2248 del 1865, art. 4. E neppure siffatto potere di intervento "pieno" sull’atto amministrativo, presupposto del tributo, è stato in alcun modo concesso al giudice dalla normativa speciale in materia di giurisdizione tributaria.

Tuttavia, al medesimo giudice è stato attribuito, da detta normativa, il potere di disapplicare tutti gli atti amministrativi illegittimi costituenti presupposto per l’imposizione, e non soltanto, quindi, quelli a contenuto normativo o generale, di cui è menzione nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5. Va osservato, invero, che siffatto potere di disapplicazione costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. n. 2248 del 1865, art. 5, che deve, pertanto, ritenersi concesso al giudice tributario ancor prima dell’espresso riconoscimento operato – in subiecta materia – dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, come modificato dalla L. n. 448 del 2001, art. 12, comma 2.

Tale principio si traduce – in definitiva – nel conferimento al giudice tributario del potere generale di decidere incidenter tantum – finchè la legittimità dell’atto presupposto non sia stata affermata dal giudice amministrativo con autorità di giudicato – su questioni attribuite alla competenza della diversa giurisdizione chiamata a decidere in via principale sulla legittimità dell’atto stesso, provvedendo – se del caso – non certo all’annullamento dell’atto medesimo, bensì alla sua disapplicazione nel caso concreto (cfr. Cass. S.U. 6265/06, Cass. 5929/07).

1.2.2. Orbene, il suindicato potere di disapplicazione degli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione – proprio perchè conferito ad un giudice diverso da quello amministrativo, giudice "naturale" della legittimità di tali atti, nell’interesse, di rilevanza pubblicìstica, alla loro applicazione in giudizio solo se legittimi – ben può essere esercitato dal giudice tributario anche d’ufficio, purchè, però, detti atti siano -nella singola fattispecie sottoposta al suo esame – rilevanti per la decisione. Il che, in concreto, si verifica – com’è del tutto evidente – allorquando gli atti in questione siano stati, in qualche modo, investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato (cfr. Cass. 15285/11).

1.2.3. Nel caso concreto, tale rilevanza degli atti presupposti – costituiti dalla delibera consiliare n. 1934-24/98 e dal regolamento attuativo con essa approvato – è da ritenersi senza dubbio esistente, avendone la società Supermercato D. & C. s.r.l. dedotto l’illegittimità in prime cure – come si evince dal trascritto ricorso – per omessa indicazione delle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti speciali assimilati, da detta delibera, a quelli urbani, ai fini della tassazione.

La CTR non avrebbe dovuto, pertanto, limitarsi a prendere atto della regolare approvazione di detta delibera con il connesso regolamento attuativo, ma sarebbe dovuta scendere nel merito della legittimità di tali atti, e – ove ne avesse riscontrato l’illegittimità – avrebbe dovuto disapplicarli, facendo uso del potere concessole dal D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 7.

Il motivo di ricorso proposto, al riguardo, dalla contribuente non può, pertanto, che essere accolto.

2. Con il secondo motivo di ricorso, la Supermercato D. & C. s.r.l.

denuncia, inoltre, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 18 e 21, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1. L’illegittimità della Delib. n. 1934-24/98 e del regolamento ivi approvato discenderebbe, invero, ad avviso della ricorrente, dal fatto che detta delibera si sarebbe limitata ad elencare una serie di sostanze, nominativamente indicate, che sarebbero assimilabili – per le loro caratteristiche qualitative – ai rifiuti solidi urbani, ai fini della raccolta e dello smaltimento, e, quindi, assoggettate a tassazione al pari di questi ultimi.

Senonchè, a parere della Supermercato D & C. s.r.l., la disposizione di cui al succitato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, postulerebbe, ai fini della suindicata assimilazione, l’indicazione anche dei limiti quantitativi – oltre che delle caratteristiche qualitative – dei rifiuti speciali non pericolosi assimilabili a quelli urbani, in guisa da rendere ostensiva alla collettività degli utenti, l’effettiva capacità dell’ente territoriale di curarne, in condizioni di piena sicurezza igienico-ambientale, la raccolta e lo smaltimento.

2.2. La censura è fondata.

2.2.1. Va osservato, infatti, che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), postula la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti speciali soggetti a lavorazione da parte degli enti comunali.

E’ del tutto evidente, infatti, che l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto, quale è quello che connota le materie costituenti rifiuti speciali non pericolosi, non può essere correttamente valutato – in conformità ai criterì stabiliti con la deliberazione del CIPE del 27.7.84 – se non tenendo conto anche della sua quantità (cfr. Cass. 12752/02, 30719/11).

2.2.2. Ebbene, va rilevato che, nel caso concreto, la suddetta delibera del Consiglio Comunale di Somma Vesuviana, nel disporre l’assimilazione, ai fini suindicati, ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali non pericolosi, ha provveduto – nel regolamento attuativo approvato con la medesima delibera – ad una mera elencazione delle sostanze assimilabili ai rifiuti urbani, indicandole nominativamente e senza alcuna specificazione dei relativi limiti quantitativi.

Ne discende che – essendo stata la predetta assimilazione operata, in violazione delle disposizioni succitate, tenendo conto solo delle caratteristiche qualitative dei materiali costituenti rifiuti speciali non pericolosi, e senza fare ricorso alcuno a criteri di ordine quantitativo – la suddetta delibera ed il connesso regolamento attuativo sono da ritenersi del tutto illegittimi, ed andavano, di conseguenza, disapplicati dalla CTR, in forza dei menzionati poteri concessi dalla legge al giudice tributario.

Il motivo di ricorso in esame, pertanto, va accolto, in quanto pienamente fondato.

3. Passando, quindi, all’esame del ricorso incidentale proposto dal Comune di Somma Vesuviana, va osservato che, con l’unico motivo, l’ente pubblico deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62, 67 e 68, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

3.1. La CTR avrebbe, invero, del tutto erroneamente ritenuto – a parere dell’ente territoriale – che il reparto macelleria del supermercato gestito dalla società contribuente dovesse ritenersi totalmente esente dalla tassazione, quanto ai rifiuti speciali ivi prodotti, benchè il contribuente non avesse fornito la prova dell’esistenza, in concreto, dei presupposti per l’applicabilità dell’esenzione da imposta, prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3.

3.2. Il motivo è fondato e va accolto.

3.2.1. In materia di TARSU, secondo l’insegnamento di questa Corte, grava – per vero – sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, per alcune aree detenute ed occupate, aventi specifiche caratteristiche strutturali e di destinazione. Ed infatti, pur operando nell’ordinamento tributario il principio secondo cui è l’amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, tale principio non può essere spinto fino al punto di fare carico all’Ufficio di dimostrare la non spettanza, al contribuente, del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile. L’esenzione, totale o parziale, costituisce, invero, un’eccezione alla regola generale del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale, ed – in quanto tale – non può, pertanto, che essere dimostrata dal contribuente che intenda avvalersene (Cass. 4766/04, 775/11).

3.2.2 Orbene, l’esclusione dalla superficie tassabile di quella destinata a lavorazioni industriali deve, anzitutto, avvenire – come espressamente prevede la succitata norma dell’art. 62, comma 3 – esclusivamente in ragione delle "specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione", ossia tenendo conto soltanto della natura speciale del rifiuto, in quanto prodotto in un luogo in cui si svolgono determinate lavorazioni industriali (Cass. 17600/09). Ne discende, dunque, il che il contribuente – ai fini dell’esenzione dall’imposta – deve, in primis, dimostrare che nelle aree adibite a tali produzioni si formino rifiuti speciali.

Inoltre, stante il tenore letterale della norma summenzionata, il medesimo deve altresì comprovare che allo smaltimento di tali rifiuti speciali provveda lo stesso produttore, a sue spese.

Esclusivamente nel concorso di entrambi gli elementi suindicati – la cui sussistenza in concreto sia stata dimostrata dal contribuente – l’esenzione totale da imposta ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, può essere, pertanto, accordata al contribuente medesimo (Cass. 13851/04, S.U. 7581/09).

3.2.3. Da quanto suesposto discende, pertanto, che ha errato la CTR nell’affermare in maniera del tutto apodittica – di qui la fondatezza anche del dedotto vizio di motivazione – la totale esenzione, ai sensi della disposizione succitata, dell’intera area adibita a macelleria, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, in difetto di prova, da parte della società Supermercato D. & C. s.r.l., in ordine alla sussistenza, nella specie, dei presupposti per l’applicabilità di detta esenzione.

Per tali ragioni, pertanto, anche il ricorso incidentale, proposto dall’ente resistente, deve trovare integrale accoglimento.

4. Per tutte le ragioni esposte, dunque, in accoglimento del ricorso principale e di quello incidentale, la sentenza n. 255/34/09 va cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che dovrà riesaminare il merito della controversia, determinando il quantum della pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, attenendosi al seguente principio di diritto: "il giudice tributario può disapplica tutti gli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione, anche d’ufficio, purchè detti atti siano rilevanti per la decisione, per essere stati investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo impugnato; in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), postula la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti speciali soggetti a lavorazione da parte degli enti comunali; è onere del contribuente provare, ai fini dell’esclusione dalla superficie tassabile di quella destinata a lavorazioni industriali, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, che nelle aree adibite a tali produzioni si formino rifiuti speciali, e che allo smaltimento di tali rifiuti provveda lo stesso produttore, a sue spese".

5. Il giudice di rinvio provvederà, altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso principale e quello incidentale; cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania, che provvederà alla liquidazione anche delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 17 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

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