Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-06-2012, n. 9630 Tassa rimozione rifiuti solidi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 14/20/10, depositata il 5.2.10 e notificata l’1.3.10, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla società Tubettificio M. Favia s.r.l. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato disatteso il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso per il recupero della maggiore TARSU (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), per gli anni di imposta dal 2001 al 2005.

2. La CTR, invero, riteneva: a) corretta l’emissione di un unico atto impositivo cumulativo, per più annualità di imposta; b) legittima la determinazione percentuale di riduzione dell’area tassabile adibita alla produzione di rifiuti speciali tossici o nocivi, operata – con regolamento comunale – indistintamente per tutte le attività produttive di tali rifiuti; c) legittimo l’aumento, per l’anno 2005, della superficie sottoposta a tassazione, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, comma 3, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 340.

3. Per la cassazione della sentenza n. 14/20/10 ha proposto ricorso la Tubettificio M. Favia s.r.l., affidato a tre motivi.

L’amministrazione intimata ha replicato con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, la Tubettificio M. Favia s.r.l.

deduce la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 64, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR nel ritenere legittima l’emissione di un unico avviso di accertamento per più annualità di imposta, sebbene dal tenore letterale della norma di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 64, comma 1, si evinca che "la tassa è corrisposta in base a tariffa commisurata ad anno solare, cui corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria".

1.2. Il motivo è infondato.

1.2.1. Va osservato, infatti, che la menzionata disposizione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 64, comma 1 – la cui rubrica, non a caso, recita "inizio e cessazione dellroccupazione o detenzione" di locali ed aree scoperte, attività costituenti lo specifico presupposto per l’applicazione del tributo – contiene esclusivamente l’enunciazione della dimensione temporale della tassazione, in relazione al presupposto di imposta suindicato. L’applicazione del tributo in parola deve – per vero -avvenire, alla stregua della prescrizione normativa succitata, in base a tariffa commisurata ad anno solare, ed il computo annuale, così effettuato, determina l’insorgenza di un’obbligazione tributaria autonoma per ciascuna annualità di imposta.

Da quanto suesposto non può, peraltro, inferirsi – a giudizio della Corte – che tutte le annualità di imposta dovute dal contribuente debbano, ciascuna, costituire oggetto di un atto impositivo autonomo e diverso da quello relativo alle altre.

1.2.2. Va osservato, infatti, che l’accertamento tributario costituisce l’atto nel quale l’amministrazione finanziaria enuncia la propria pretesa impositiva, esternandone il titolo e le ragioni giustificative, al solo fine di consentire al contribuente di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale.

Nell’ambito dell’eventuale processo instaurato dal contribuente, poi, l’amministrazione creditrice sarà tenuta a passare dall’allegazione della propria pretesa, costituente l’oggetto dell’atto impositivo, alla prova del credito tributario vantato, fornendo la dimostrazione, in concreto, degli elementi costitutivi del proprio diritto (cfr.

Cass. 12394/02, 4322/03, 9129/06).

Ne discende che l’enunciazione della pretesa fiscale, costituente oggetto dell’avviso di accertamento, che si limita a rendere ostensive al contribuente le ragioni per le quali l’amministrazione esercita la propria pretesa creditoria, ben può essere relativo a più annualità di imposta, in ordine alle quali sussistano – in ipotesi – i presupposti e le ragioni giustificative che legittimano l’esercizio del potere di imposizione fiscale.

1.2.3. Con specifico riferimento alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), quindi, in assenza di una qualsiasi norma che vieti specificamente all’ente territoriale di ricomprendere, in un unico documento, avvisi di accertamento che riguardino più annualità di imposta, l’emissione di un avviso di accertamento cumulativo, che ricomprenda, cioè, tutti gli anni in contestazione deve ritenersi pienamente legittimo. In tal caso, infatti, l’atto impositivo, ancorchè forenalmente unico, contiene in realtà, in un documento unitario, più avvisi di accertamento, ciascuno di essi effettuato – come è accaduto nel caso di specie – in riferimento alle singole dichiarazioni annuali del contribuente (cfr., in tal senso, Cass. 15639/04, 20352/06), Per tali ragioni, dunque, il motivo di ricorso in esame non può che essere disatteso.

2. Con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

2.1. Rileva, invero, la ricorrente che, nell’anno 1995, era stata definita dalla medesima, in contraddittorio con il Comune di Cernusco sul Naviglio, la superficie del proprio stabilimento industriale – adibito alla produzione di tubetti in alluminio per il settore farmaceutico – da tassare ai fini dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, fatta eccezione per quella parte produttiva di rifiuti tossici e nocivi, smaltiti direttamente a spese A della società, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3. Ne sarebbe dovuta derivare – a parere della Tubettificio M. Favia s.r.l. – l’esenzione dalla tassazione di tutte quelle aree, individuate in contraddittorio con l’ente territoriale, adibite dalla ricorrente a produzione di rifiuti tossici e/o nocivi.

Per converso, il Comune di Cernusco sul Naviglio aveva fatto applicazione, nel caso di specie, dell’art. 7 del regolamento comunale, a norma del quale – in applicazione dell’ultima parte del comma 3 del succitato art. 62 l’area esclusa dalla tassazione, perchè adibita alla produzione di rifiuti tossici o nocivi, è determinata nell’80% della superficie dei locali ove si formano i predetti rifiuti speciali, restando assoggettato a tassazione il residuo 20%.

2.2. Senonchè, ad avviso della Tubettificio M. Favia s.r.l., tale determinazione della superficie esente sarebbe del tutto illegittima, essendo stata effettuata senza l’indicazione – richiesta dalla norma in esame – di specifiche "categorie di attività produttive" preventivamente individuate, bensì operando una riduzione in misura percentuale (80%) indistintamente per tutte le attività produttive di rifiuti tossici o nocivi.

Ne deriverebbe, a parere della ricorrente, l’illegittimità di tale riduzione dell’area assoggettabile a tassazione, con conseguente necessità di disapplicazione del regolamento comunale in forza del quale la stessa riduzione è stata adottata.

2.3. La censura è fondata e merita accoglimento.

2.3.1. Osserva, invero, la Corte che – in forza del disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 (applicabile ratione temporis alla fattispecie) – sono esenti da imposta le superfici tassabili nelle quali, per specifiche ragioni strutturali o funzionali, si formano, di regola, rifiuti tossici o nocivi, al cui smaltimento – essendo tale produzione esclusa dal servizio comunale di raccolta – devono provvedere a proprie spese i produttori stessi.

E tuttavia, la medesima disposizione succitata riconosce ai Comuni la facoltà di individuare, ai fini della determinazione della superficie non tassabile, categorie di attività produttive di rifiuti speciali, tossici o nocivi, alle quali può essere applicata una percentuale di riduzione rispetto all’intera superficie sulla quale l’attività viene svolta.

Ebbene – come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare – tale facoltà non viene correttamente esercitata in tutte le ipotesi in cui il regolamento comunale si limiti a prevedere un limite quantitativo di riduzione della superficie tassabile, applicabile indistintamente a tutte le attività produttive. E’ di tutta evidenza, infatti, che a tal fine occorra – come prevede il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 – anche l’espressa specificazione delle "categorie di attività produttive" dei predetti rifiuti speciali (tossici o nocivi) ai quali l’imposta si applica, sia pure in relazione ad una superficie ridotta. Ed invero, va tenuto conto del fatto che la tassazione delle aree destinate alla produzione di tali rifiuti speciali si giustifica proprio per essere la produzione degli stessi assimilabile a quella produttiva di rifiuti ordinari.

In caso contrario, infatti, la superficie adibita alla lavorazione industriale di tali rifiuti speciali, non potrebbe che essere del tutto esente da tassazione (cfr. Cass. 13851/04, Cass. S.U. 7581/09).

2.3.2. Ebbene, nel caso di specie, è del tutto incontroverso tra le parti – avendolo affermato anche lo stesso Comune resistente nel controricorso (pp. 4 e 5) – e risulta dall’impugnata sentenza, che l’art. 7 del regolamento comunale di Cernusco sul Naviglio prevede una riduzione della superficie tassabile, in misura dell’80%, indistintamente per tutte le attività, senza individuare le particolari categorie di attività produttive dei predetti rifiuti speciali, assimilabili a quelle produttive di rifiuti ordinari, cui è applicabile la tassazione TARSU con riferimento alle superfici adibite alla produzione dei rifiuti tossici o nocivi, sia pure con la riduzione determinata – in misura percentuale – dal regolamento comunale.

Ne discende che siffatta determinazione della riduzione in parola, operata dal Comune con criterio meramente quantitativo, è da ritenersi illegittima, con la conseguenza che il giudice di merito avrebbe dovuto disapplicare il regolamento comunale che l’ha disposta, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5.

Pertanto, il motivo di ricorso in esame – per tali ragioni – deve essere accolto.

3. Con il terzo motivo di ricorso, la Tubettificio M. Favia s.r.l.

deduce la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

3.1. La CTR non avrebbe, invero, tenuto conto – a parere della società contribuente – del fatto che l’aumento, per l’anno 2005, della superficie sottoposta a tassazione, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, comma 3, come modificato dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 340, è autorizzato da tale disposizione esclusivamente "per le unità immobiliari di proprietà privata a destinazione ordinaria, censite nel catasto edilizio urbano", Senonchè – a detta della contribuente – lo stabilimento industriale di sua proprietà sarebbe classificato in categoria D, "a destinazione speciale", con conseguente inapplicabilità della norma succitata.

3.2. Il motivo è inammissibile.

3.2.1. La censura collide, invero, con il c.d. principio di autosufficienza del ricorso più volte enunciato dalla giurisprudenza di questa Corte, ed in forza del quale il ricorrente deve indicare specificamente nel ricorso, anche in caso di denuncia di un errore di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice a quo, asseritamente erronea. Ma non basta. Il ricorrente dovrà, altresì, indicare gli atti sui quali l’impugnazione si fonda e che siano tali da evidenziare la situazione di fatto la cui valutazione giuridica si assume errata, e trascriverli nella loro completezza, con riferimento alle parti oggetto di doglianza (cfr. da ultimo, Cass. 6937/10, 11731/11, 86/12).

3.2.2. Ebbene, nel caso concreto, la Tubettificio N. Favia s.r.l. non ha nè allegato, nè trascritto – ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso – il certificato catastale edilizio, che comprovi che lo stabilimento della ricorrente è inserito nella categoria D, ossia come un’unità immobiliare privata a destinazione speciale, e non ordinaria, e, quindi, soggetta all’aumento di superficie L. n. 311 del 2004, ex art. 1.

La censura in esame va, pertanto, dichiarata inammissibile.

4. L’accoglimento del secondo motivo di ricorso proposto dalla Tubettificio M. Favia s.r.l. comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico del resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi – in relazione alla novità e controvertibilità delle questioni giuridiche trattate nelle precedenti fasi del giudizio – per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il secondo motivo di ricorso, e rigetta il primo ed il terzo; cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dal contribuente; condanna il resistente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.500,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge; dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 17 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

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