Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-06-2012, n. 9628 Accertamento Riscossione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La FIORDALISO s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia indicata in epigrafe, con la quale, rigettando sia l’appello principale della contribuente, sia quello incidentale dell’Ufficio, è stata confermata la sentenza di primo grado, che aveva accolto parzialmente il ricorso della società contro l’avviso di accertamento con cui, in relazione all’anno 2003, era stata ripresa a tassazione, ai fini IRPEG, IRAP ed IVA, la complessiva somma di Euro 3.843.368,00 a seguito di risultanze di prospetti inventariali di fine esercizio riguardanti la contabilità di magazzino, dai quali era emersa una differenza negativa quantificata in Euro 2.734.575,00 come differenza inventariale strettamente intesa e in Euro 1.108.793,00 come scarti e rotture.

Il giudice d’appello, da un lato, ha confermato la riduzione operata dal primo giudice ad Euro. 1.202.776,00 della differenza inventariale strettamente intesa, avendo ritenuto condivisibile la percentuale determinata prendendo come punto di partenza i valori di cui al c.d.

"barometro Europeo di furti nel retail" e parametrandoli in considerazione della peculiarità della fattispecie (caratterizzata dalla mancanza sia di denunce di furto sia di richieste di licenziamento o sanzioni disciplinari a carico dei dipendenti), ed osservato inoltre che l’Ufficio aveva legittimamente utilizzato prospetti contabili volontariamente redatti dalla stessa società;

dall’altro lato, ha affermato che l’annullamento della ripresa relativa alle differenze inventariali per scarti e rotture era stato ampiamente motivato dai primi giudici sia con riferimento alla dettagliata analisi dei detti scarti, sia alla documentazione fornita dalla società che aveva provveduto a smaltire i rifiuti della contribuente.

2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso e propone altresì ricorso incidentale, al quale a sua volta resiste con controricorso la ricorrente principale, la quale ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo del ricorso principale, la contribuente, premesso di operare nel settore della grande distribuzione commerciale al dettaglio, denuncia la violazione del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, censurando la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello ritenuto che i prospetti contabili redatti dalla società su base puramente volontaria (in quanto non obbligatori ai sensi della norma citata) fossero idonei a fondare le presunzioni legali di cessione previste dal menzionato D.P.R. n. 441 del 1997, nonostante la mancanza delle fonti di innesco tassativamente previste dalla norma.

Con il secondo motivo, è denunciata la violazione dell’art. 2697 c.c., sostenendosi che, una volta esclusa l’applicabilità nella fattispecie del D.P.R. n. 441 del 1997, era l’Ufficio a dover provare l’esistenza di componenti positive non dichiarate.

Con la terza censura, la contribuente deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 2729 c.c., dolendosi del fatto che il giudice di merito ha attribuito i caratteri di gravità, precisione e concordanza alle presunzioni semplici sulle quali si fondava l’avviso di accertamento, basate esclusivamente su contabilità gestionale non obbligatoria con la quale la società rilevava l’esistenza di differenze inventariali imputandole a fenomeni diversi dalla cessione di beni.

Il quarto motivo concerne la violazione del D.P.R. n. 441 del 1997, art. 2: la ricorrente lamenta che il giudice ha escluso l’idoneità della documentazione da essa fornita (che dimostrava analiticamente l’origine delle differenze inventariali) a vincere le presunzioni di cui al citato decreto.

Infine, con il quinto motivo, è denunciata l’insufficienza della motivazione della sentenza in ordine alla rideterminazione del quantum relativo alle differenze inventariali propriamente intese.

2. L’Agenzia delle entrate, con il ricorso incidentale, formula, a sua volta, le seguenti censure.

Con la prima, si duole dell’omessa motivazione della sentenza sui motivi dell’appello incidentale dell’Ufficio concernenti la legittimità del recupero a tassazione dei maggiori ricavi imputati alla contribuente.

Con il secondo motivo, denuncia la violazione del ripetuto D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 2, per avere il giudice a quo ammesso una sorta di "franchigia" nelle perdite (costituita da una percentuale media di furti e taccheggi) e considerato sufficiente l’affidamento della merce ad una ditta di smaltimento di rifiuti, invece di richiedere gli specifici mezzi di prova indicati nei commi 3 e 4 del citato art. 2.

3.1. Le censure formulate dalle parti, che possono essere esaminate unitariamente in quanto strettamente collegate, si rivelano nel complesso infondate per le ragioni appresso specificate.

3.2. Il D.P.R. 10 novembre 1997, n. 441 (regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto), emanato in attuazione della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 137, con efficacia sostitutiva della disciplina dettata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, (cfr. art. 5, comma 2) (e che trova applicazione, in linea di massima, in virtù del principio di unitarietà dell’ordinamento, anche in materia di imposte dirette:

cfr. Cass. nn. 15087 del 2000, 16483 del 2006, 15312 del 2008), dopo aver stabilito, per quanto qui interessa, all’art. 1, comma 1, che "si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, nè in quelli dei suoi rappresentanti", ed aver poi previsto tipologia e modalità della prova contraria a carico del contribuente idonea a vincere la presunzione di cessione (art. 1, commi 2 e ss., e art. 2), dispone, all’art. 4, che: "1. Gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano al momento dell’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche. 2. Le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 14, comma 1, lett. d), o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo".

Ne deriva che, ai fini dell’operatività della presunzione legale (relativa) di cessione, occorre che la differenza quantitativa, in negativo, tra beni esistenti nei luoghi sopra indicati e quelli acquistati, importati o prodotti risulti o a seguito della verifica fisica dei beni giacenti, oppure dal confronto – "differenza inventariale" – tra la consistenza delle rimanenze registrate e le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d), o di altra documentazione obbligatoria.

La norma ora citata, poi, nel prescrivere l’obbligo, per le società, gli enti e gli imprenditori commerciali di cui al primo comma del precedente art. 13, della tenuta, fra l’altro, delle scritture ausiliarie di magazzino ("dirette a seguire le variazioni intervenute tra le consistenze negli inventali annuali" e nelle quali "devono essere registrate le quantità entrate ed uscite delle merci destinate alla vendita"), prevede che, per le attività elencate al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 22, nn. 1) e 2), tra le quali – n. 1) – le cessioni di beni effettuate da commercianti al minuto autorizzati in locali aperti al pubblico, "le registrazioni vanno effettuate solo per i movimenti di carico e scarico dei magazzini interni centralizzati che forniscono due o più negozi o altri punti di vendita".

Pertanto, le aziende della grande distribuzione non sono obbligate alla tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino per i depositi dei singoli punti vendita che non fungono – come nella fattispecie è incontestato – da "magazzini interni centralizzati" (cfr. Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 31/E del 2 ottobre 2006).

Ne discende, in conclusione, che nel caso in cui – come pacificamente avvenuto nella fattispecie – gli ammanchi di beni non siano stati riscontrati nè a seguito di un inventario fisico degli stessi, nè di un confronto basato su documentazione contabile obbligatoria, si è fuori dall’ambito applicativo della disciplina dettata dal D.P.R. n. 441 del 1997.

3.3. L’inoperatività delle presunzioni legali di cessione non comporta, tuttavia, come pretende la contribuente, anche l’inapplicabilità delle norme generali in tema di accertamento delle imposte (in specie, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54), le quali consentono la rettifica delle dichiarazioni anche sulla base di presunzioni semplici dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 c.c.; e la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ammesso la rilevanza, a detti fini, di documentazione, pur se non obbligatoria, tenuta dal contribuente e rinvenuta dai verificatori o spontaneamente esibita (cfr. Cass. nn. 6949 del 2006, 7184 del 2009).

Ne consegue che ben potevano essere oggetto di valutazione, in virtù delle norme citate, sia ai fini dell’emissione dell’avviso di accertamento, sia ai fini della successiva decisione del giudice, i prospetti inventariali volontariamente redatti dalla contribuente (già è stato affermato che, al fine della rettifica della dichiarazione IVA per differenze delle merci giacenti rispetto a quelle contabilizzate, la mancanza di un inventario "fisico" di dette merci giacenti, necessario per rendere operante la presunzione di cessione delle merci non rinvenute, di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 53, comma 1, non osta, alla stregua dell’art. 54 del citato decreto, a che l’ufficio possa avvalersi di altre scritture, diverse da quelle obbligatorie vidimate e bollate – nella specie, prospetti di "differenze inventariali" redatti dal contribuente -, dalle quali siano desumibili omissioni, falsità od inesattezze della denuncia: Cass. n. 479 del 1991).

3.4. In ordine al ricorso principale, va osservato, inoltre, che il quarto motivo è inammissibile, sia perchè andava prospettato come vizio di motivazione e non come violazione di legge, sia, in ogni caso, perchè tende ad una rivalutazione del materiale probatorio; e che il terzo ed il quinto motivo sono infondati, in quanto il giudice a quo ha sottolineato la "assai singolare ed incontroversa circostanza della mancanza sia di denunce di furto – presentate dalla società contro clienti o contro il dipendente infedele o negligente – sia di richieste di licenziamenti o sanzioni disciplinari", nonchè il fatto che l’Ufficio aveva evidenziato la scarsa credibilità della tesi del taccheggio con riferimento a tipologie di merce di rilevante ingombro (frigoriferi, televisori, cucine, ecc.); anche la motivata condivisione della sentenza di primo grado in ordine alla rideterminazione del quantum con riferimento alle percentuali medie di settore indicate nel c.d. "Barometro Europeo dei furti nel retail" si sottrae al denunciato vizio di motivazione.

Quanto, infine, al primo motivo del ricorso incidentale, deve essere anch’esso rigettato, sia per i motivi ora esposti in ordine all’analoga censura proposta dalla contribuente, sia perchè, in riferimento alle differenze inventariali per scarti e rotture, la sentenza si rivela adeguatamente motivata là dove richiama, da un lato, la dettagliata analisi di detti scarti compiuta dal primo giudice, e, dall’altro, la specifica documentazione fornita dalla società incaricata di smaltire i rifiuti della contribuente.

4. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati.

La reciproca soccombenza e la novità della questione comportano la totale compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

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