Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-06-2012, n. 9602

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La srl S’Isula Edilizia ricorre, sulla base di due motivi, illustrati con successiva memoria, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna che, rigettandone l’appello, ha confermato la reiezione del ricorso avverso l’avviso di accertamento ai fini dell’ICI per l’anno 2000, con il quale veniva rettificato il valore dichiarato di un fabbricato di categoria D non iscritto in catasto, interamente posseduto da essa ricorrente e distintamente contabilizzato.

Il giudice d’appello riteneva infatti che per il periodo d’imposta 2000 non fosse censurabile la scelta dell’amministrazione di assumere come base il valore indicato nel bilancio chiuso il 31 dicembre 1998, pari a Euro 7.416.485, piuttosto che quello, invocato dalla contribuente, indicato nel bilancio al 31 dicembre 1999, pari ad Euro 5.561.130, in quanto non risultava giustificata da alcun elemento probante una tale "notevole riduzione del valore nel corso di un anno, senza che si siano dichiarate documentate modifiche che l’abbiano determinata: le semplici affermazioni di ingenti somme erogate che potrebbero ridurre il calcolo del costo storico non sono supportate da adeguata motivazione".

Il Comune di Villasimius resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando "violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, e del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 7, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", assume che il valore dei fabbricati classificabili nel gruppo catastale D non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, da determinare all’inizio di ciascun anno solare, non potrebbe essere individuato, in dipendenza del valore contabilizzato, sulla base dei valori emergenti da un qualsiasi bilancio antecedente rispetto al periodo d’imposta interessato, ma dovrebbe, piuttosto, essere individuato, sempre sulla base del criterio del "valore contabilizzato", con riferimento al bilancio immediatamente antecedente al periodo d’imposta interessato.

Con il secondo motivo, denunciando la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, commi 2 e 2-bis, sostiene che non sarebbe correttamente motivato l’avviso di accertamento con il quale, sulla base del criterio del "valore contabilizzato", viene rettificato il valore di un fabbricato disattendendo i valori emergenti dal bilancio immediatamente precedente rispetto al periodo d’imposta interessato all’accertamento in favore dei valori ricavabili da altro bilancio relativo ad un periodo d’imposta precedente, senza esporre nella motivazione dell’atto impositivo la ragione della rettifica (rappresentata dal giudizio di inaffidabilità dei valori emergenti dal bilancio del quale si disattendono le risultanze), nè indicare gli elementi sui quali la stessa si fonda, o non sia dovere dell’ente impositore, piuttosto, riportare nella motivazione dell’avviso di accertamento sia l’una (la ragione della rettifica) che gli altri (i fatti giustificativi).

Nel disegnare la disciplina per la determinazione della base imponibile dell’ICI sui fabbricati, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, distingue i fabbricati iscritti in catasto con attribuzione di rendita da quelli che ne sono ancora privi; per i primi, in particolare, stabilisce (art. 5, comma 2) che la base imponibile è costituita dal valore risultante dall’applicazione, all’ammantare delle rendite catastali vigenti al 1 gennaio dell’anno di imposizione, dei moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dal primo periodo del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, u.c..

Per i fabbricati ancora privi di rendita distingue ulteriormente da tutte le altre ipotesi quella dei fabbricati a destinazione speciale, classificabili nel gruppo catastale D, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, ipotesi con riguardo alla quale all’art. 5, comma 3, prevede che la base imponibile è costituita dal valore determinato secondo i criteri stabiliti dal penultimo periodo del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, e cioè "dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili applicando per ciascun anno di formazione dello stesso" i coefficienti indicati dal medesimo comma 3 dell’art. 5, soggetti ad aggiornamento con decreto ministeriale; per le altre ipotesi di fabbricati ancora privi di rendita, la base imponibile è individuata (art. 5, comma 4) nel valore determinato con riferimento alla cosiddetta rendita presunta e cioè alla rendita dei fabbricati similari già iscritti in catasto.

I fabbricati di cui al gruppo catastale D, adibiti ad attività industriali e commerciali, sono, per le loro caratteristiche funzionali e tipologiche, "a destinazione speciale", e sono quindi ordinati per rendita catastale ottenuta con stima diretta, ai sensi del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 30.

In mancanza di tale stima, per gli immobili non iscritti in catasto il legislatore, trattandosi di beni posseduti da imprese, da soggetti quindi obbligati alla tenuta delle scritture contabili, ha preferito il criterio, già sperimentato per l’imposta straordinaria sugli immobili (ISI), del costo rivalutato di acquisizione del bene ricavabile dalle scritture contabili stesse, in luogo di quello basato sulla rendita "presunta", di più difficile applicazione.

Questa Corte, con riferimento alla locuzione "distintamente contabilizzato", ha chiarito (Cass. n. 21445 del 2009) come l’iscrizione del valore di un fabbricato nei registri aziendali è "distinta", e pertanto integra il requisito di legge per il calcolo contabilistico dell’ICI, se non comprende cumulativamente quello di altri beni non soggetti all’imposta, come macchine e scorte, ma corrisponde al prezzo d’acquisto del bene immobile, comunque censito in catasto, ed all’ammontare delle spese incrementative, risultanti dalle scritture contabili.

Nel mandare assolte dal dubbio di illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., le disposizioni in esame, che appunto prevedono il ricorso al "valore di libro" dell’immobile, il giudice delle leggi ha sinteticamente rilevato che esse "non discriminano sfavorevolmente la capacita contributiva degli imprenditori, della quale il valore contabilizzato del fabbricato costituisce -anzi – sicura espressione" (Corte cost., sent. n. 67 del 2006).

E’ alla luce di tali criteri, quindi, che per l’ipotesi in esame occorre procedere per la determinazione della base imponibile: la corrispondenza del valore contabilizzato dell’immobile al prezzo d’acquisto del bene e all’ammontare delle spese incrementative, e l’essere tale valore sicura espressione della capacità contributiva dell’imprenditore. Fuori da tali criteri, affermare che il valore di libro debba essere necessariamente e comunque quello del bilancio dell’esercizio immediatamente precedente l’anno di imposta si appalesa come pretesa obbediente ad una corrispondenza meramente meccanica, non collegata alla ratio ed alla concreta determinazione del tributo.

Ai principi che precedono il giudice di merito si è attenuto, individuando, per il periodo d’imposta 2000, il valore del bene nel bilancio di un esercizio – sicuramente non remoto -nel quale un siffatto valore emergeva, ed ha congruamente motivato l’accertamento di fatto compiuto – che la contribuente non fa oggetto di adeguata censura – col rilievo che non risultava giustificata da alcun elemento probante una tale "notevole riduzione del valore nel corso di un anno – dal bilancio chiuso nel dicembre 1998 a quello di dicembre 1999 -, senza che si siano dichiarate documentate modifiche che l’abbiano determinata: le semplici affermazioni di ingenti sentine erogate che potrebbero ridurre il calcolo del costo storico non sono supportate da adeguata motivazione".

Il secondo motivo è inammissibile.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, "in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso -, è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo" (Cass. n. 15867 del 2004, n. 12786 del 2006, n. 13007 del 2007).

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 3000, ivi compresi Euro 100 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

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