Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-06-2012, n. 9601

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.F. ricorre, sulla base di sei motivi, nei confronti della Commissione tributaria regionale del Veneto che, rigettandone l’appello, ha confermato la legittimità di tre avvisi di accertamento ai fini dell’ICI per gli anni 2000, 2001 e 2003, relativa ad un’area edificatale in Conselve, dichiarata dal contribuente come terreno agricolo.

Il Comune di Conselve resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

Motivi della decisione

Il primo motivo del ricorso, con il quale si denuncia "violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 111 Cost. Immotivata contraddizione nel dispositivo della sentenza impugnata"), si chiude con la richiesta a questa Corte di dire "se sia invalida e perciò annullabile una sentenza che presenti i caratteri dell’apoditticità e della mancanza di una sufficiente motivazione atta a salvaguardare il diritto di difesa del ricorrente anche ai sensi dell’art. 111 Cost.".

Il motivo è inammissibile, in quanto il quesito di diritto – nonchè l’indicazione del fatto controverso, ove si ritenga denunciato anche un vizio di motivazione -, è inidoneo alla stregua della prescrizione dell’art. 366-bis cod. proc. civ., in quanto del tutto astratto e generico, privo di relazione con la fattispecie, neppure descritta.

Con il secondo motivo, censura la sentenza di appello per violazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 11 e art. 7 dello statuto dei diritti del contribuente, per aver ritenuto sufficientemente motivati gli avvisi di accertamento.

Il motivo è infondato, atteso che nella sostanza il contribuente lamenta che l’area sia divenuta dall’anno 2000 oggetto di imposizione ICI mentre non lo era in precedenza, e che in relazione all’emissione degli avvisi non sia stata istaurata nei suoi confronti una forma di contraddittorio.

La doglianza è inoltre generica nella denuncia delle carenze di motivazione degli atti impositivi, in particolare in quanto non indica gli atti che, benchè richiamati, non sarebbero stati ad essi allegati, non consentendo così di verificare se almeno ne fosse stato riprodotto il contenuto essenziale, come previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, comma 2-bis.

Con il terzo motivo deduce la tardività della notificazione degli avvisi di accertamento in relazione agli anni 2000 e 2001, e quindi la decadenza dell’ufficio dalla potestà impositiva, ravvisando soluzione di continuità fra la scadenza del termine ed entrata in vigore della disposizione che quel termina prorogava.

Il motivo è infondato, in quanto i termini – fissati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11 – per l’accertamento dell’ICI spiranti il 31 dicembre 2004 furono prorogati al 31 dicembre 2005, limitatamente alle annualità d’imposta 2000 e successive, con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 67, entrato in vigore, ai sensi del successivo comma 572, il 1 gennaio 2004 (cfr. sul tema Cass., sez. vai., 9 febbraio 2001, n. 3157).

Con il quarto motivo il ricorrente assume che ai fini dell’ICI sarebbero da considerare come aree non edificabili, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 9, i terreni che, benchè inclusi come fabbricabili nel ERG, abbiano una utilizzazione agricola ad opera di soggetti qualificati, anche quando questi siano coltivatori diretti in pensione e abbiano dimostrato di continuare l’attività come semplici coadiuvanti.

Il motivo è infondato.

Questa Corte ha infatti chiarito come "in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), il trattamento agevolato previsto dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 9, per i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale, spetta solo a quanti traggono dal lavoro agricolo la loro esclusiva fonte di reddito e non va, quindi, riconosciuto, a chi sia titolare di pensione, avendo ottenuto la cancellazione dall’elenco dei coltivatori diretti" (Cass. n. 12565 del 2010).

Nella specie, il giudice di merito ha accertato, sulla base di documento rilasciato dall’INPS, come il contribuente fosse risultato iscritto negli elenchi dei coltivatori diretti fino al 31 dicembre 1999, e come fosse "titolare di pensione di cat. VR (vecchiaia colt.

diretti, coloni e mezzadri)".

Con il quinto motivo il ricorrente deduce che la pubblicazione nell’Albo pretorio del Comune della delibera con la quale erano stati fissati i criteri di stima dei terreni "non possa sopperire all’obbligo dell’amministrazione di motivare adeguatamente l’avviso di accertamento/liquidazione, così come previsto dalla L. n. 241 del 1990 nonchè di allegarla allo stesso avviso, come richiesto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, e non ne costituisca una esimente".

Il rilievo è infondato, in quanto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, "in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo d’allegazione all’avviso d’accertamento, ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, degli atti cui si faccia riferimento nella motivazione riguarda necessariamente, cerne precisato dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 1, gli atti non conosciuti e non altrimenti conoscibili dal contribuente, mentre atti generali come le delibere del consiglio comunale sono comunque soggette a pubblicità legale, sicchè la loro conoscibilità è presunta" (Cass. n. 5755 del 2005, n. 21511 del 2006).

Il sesto motivo, con il quale si denuncia "insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5). Dell’incongruità dei valori assegnati, della mancanza di prova, dell’omessa valutazione della perizia giurata di stima", si rivela inammissibile, perchè privo della "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume emessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione", come prescritto dall’art. 366- bis cod. proc. civ. per i motivi con i quali si faccia valere un vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5.

In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.300,00, ivi compresi Euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *