T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 04-01-2012, n. 67

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Considerato che:

– in qualità di congiunto – in particolare, zio – di un collaboratore di giustizia (il sig. F.R.), con delibera in data 28 luglio 1998 il ricorrente veniva ammesso al programma speciale di protezione di cui alla L. n. 82 del 1991;

– con il provvedimento impugnato, la Commissione centrale ex art. 10 della citata legge deliberava la revoca del programma di protezione nei confronti del ricorrente, aderendo alle valutazioni della Direzione Nazionale Antimafia, nonché a quelle non contrarie della Direzione Distrettuale Antimafia, espresse sulla base della circostanza che il predetto "è stato deferito all’A.G. competente perché resosi responsabile di aver procurato illegalmente l’ingresso di cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato" (cfr. nota del 12 febbraio 2010 del Servizio Centrale di Protezione – menzionata nel provvedimento nonché espressamente richiamata nella nota del 19 febbraio 2010 della Segreteria della Commissione Centrale ex art. 10 L. n. 82 del 1991 – a cui si riferiscono sia la DNA che la DDA – cfr. rispettive note del 18 febbraio 2010 e del 10 marzo 2010), e, nel contempo, precisando che – ai fini amministrativi – rileva non l’accertamento penale dei fatti in via definitiva bensì il materiale accertamento di quest’ultimi, "in quanto … indicativi di condotte … che si pongono in assoluto contrasto con la caratterizzazione funzionale del programma e con le esigenze di sicurezza sottese al sistema, che peraltro l’interessato ha dimostrato di non percepire, avendo rifiutato di dare corso al trasferimento disposto per motivi di sicurezza";

– avverso tale provvedimento il ricorrente è insorto, deducendo – tra l’altro – violazione di legge e, in particolare, dell’art. 13 quater della L. n. 82 del 1991 in quanto difetterebbe il presupposto per l’applicazione della norma in parola, atteso che "non è dato comprendere, e neppure è stato in alcun modo indicato nella delibera impugnata, quale sia l’apprezzamento in concreto effettuato dall’amministrazione sulla" sua condotta, risolvendosi il presupposto del provvedimento in un "mero giudizio di verosimiglianza", in palese violazione dell’art. 27 della Costituzione, soggiungendo – per completezza – che "il rifiuto del trasferimento disposto per motivi di sicurezza" – di cui pure si fa menzione nel provvedimento – non è automaticamente sanzionato con la revoca del programma ed, anzi, per prassi consolidata dà origine ad una mera diffida dell’Amministrazione;

Considerato che l’intimata Amministrazione, costituitasi in giudizio, ha prodotto documenti, tra cui una nota con la quale ha così- in sintesi – contestato le deduzioni di cui sopra:

– la valutazione dei comportamenti posti in essere da un familiare del collaboratore di giustizia è rimessa alla discrezionalità della Commissione, la quale può procedere alla revoca nel caso in cui la persona ponga in essere violazioni che vanifichino il programma; – tali violazioni non devono necessariamente sostanziarsi in illeciti penali; – nel caso in esame, il ricorrente ha posto in essere comportamenti in contrasto con gli obblighi assunti; – in ogni caso, il provvedimento impugnato è stato adottato sulla base dei pareri della DDA e della DNA, i quali integrano incidentalmente, quoad effectum, la revoca della originaria proposta; – il richiamo dell’art. 7 L. n. 241 del 1990 non è pertinente, stante l’inapplicabilità dello stesso ai sensi del successivo art. 13.

Considerato, ancora, che – in ottemperanza a quanto richiesto con l’ordinanza istruttoria n. 6157 dell’11 luglio 2011 – l’Amministrazione si è, poi, limitata a precisare che "il procedimento penale instaurato a carico del" ricorrente "consta essere tuttora nella fase delle indagini preliminari, non essendo iscritto quale proc. pen. pendente con assunzione della qualità di indagato";

Lette le memorie depositate dalle parti;

Considerato che il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza pubblica del 24 novembre 2011;

Ritenuto che – in ragione di quanto sopra evidenziato – la censura di cui è stata data in precedenza evidenza, concernente la violazione dell’art. 13 quater del D.L. n. 8 del 1991, convertito nella L. n. 82 del 1991, è meritevole di condivisione, atteso che:

– con l’art. 13 quater in argomento, relativo alla "Revoca e modifica delle speciali misure di protezione", introdotto dalla L. n. 45 del 2001, è stato fissato il principio della temporaneità delle misure speciali di protezione (la disposizione prevede che "sono a termine) e la loro mutabilità (laddove si specifica che "anche se di tipo urgente o provvisorio … possono essere revocate o modificate in relazione all’attualità del pericolo, alla sua gravità ed alla idoneità delle misure adottate, nonché in relazione alla condotta delle persone interessate e alla osservanza degli impegni assunti a norma della legge");

– in particolare, il comma 2 dell’articolo disciplina le singole ipotesi di revoca: automatica con la previsione di "fatti che comportano la revoca"; discrezionale con l’indicazione di "fatti valutabili ai fini della revoca o della modifica delle speciali misure di protezione";

– in relazione all’ipotesi di revoca discrezionale – di sicura rilevanza in questa sede – la giurisprudenza ha più volte avuto modo di affermare che sussiste la possibilità di procedere alla revoca della protezione pur in assenza della commissione di illeciti penali da parte del soggetto tutelato in quanto ha riconosciuto che – a tale fine – è sufficiente la tenuta di un comportamento che non solo renda superflue le speciali misure di protezione accordate, ma risulti in oggettivo contrasto con le finalità perseguite dalla L. n. 82 del 1991 (cfr., tra le altre, TAR Lazio, Sez. I, 21 dicembre 2010, n. 37834);

– in relazione al caso di specie, appare – in primis – necessario osservare che il provvedimento impugnato risulta adottato essenzialmente sulla base del deferimento all’A.G. del ricorrente "perché resosi responsabile di aver procurato illegalmente l’ingresso di cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato", mentre al rifiuto "di dare corso al trasferimento disposto per motivi di sicurezza" non può che essere riconosciuto un carattere meramente rafforzativo, senza porsi in "concorrenza" con il precedente. Ciò si trae in termini inequivoci dall’espressione – riportata nel provvedimento – secondo la quale la Commissione ha ritenuto "integrati i presupposti per la revoca … aderendo alle valutazioni espresse" dalla DDA e dalla DNA – le quali, rifacendosi alla nota del 12 febbraio 2010 del Servizio Centrale di Protezione, rivelano che il comportamento preso in considerazione si identifica esclusivamente con il suddetto "deferimento" – e trova, altresì, conferma nelle argomentazioni relative al valore "determinante" di dette valutazioni, riportate nella nota della Segreteria della Commissione Centrale ex art. 10 L. n. 82 del 1991 del 5 ottobre 2010, prodotta agli atti;

– ciò detto ma anche osservato che il suddetto provvedimento – pur assunto in aderenza al parere della Direzione Nazionale Antimafia del 10 marzo 2010 – non può essere considerato in linea con il parere della Procura Distrettuale Antimafia del 18 febbraio 2010 (nel cui ambito, la carenza di motivi ostativi alla revoca risulta testualmente condizionata all’accertamento delle "responsabilità penali del ricorrente"), è doveroso rilevare che il suddetto deferimento non vale a supportare la decisione assunta. Il deferimento de quo è, infatti, inidoneo – di per sé considerato – a concretizzare la sussistenza di elementi oggettivi e concreti, utili per affermare la violazione degli obblighi comportamentali assunti dal ricorrente. In definitiva, diviene doveroso escludere che l’Amministrazione abbia provveduto sulla base dell’effettivo materiale accertamento – pur non in sede penale – dei fatti ascritti. Come si desume dal provvedimento impugnato e dagli atti allo stesso presupposti (in particolare, dalla nota della Questura del 3 febbraio 2010) ma anche emerge dalle informazioni fornite dall’Amministrazione in esito all’istruttoria, non risultano, infatti, accertate circostanze valide a sostenere che il ricorrente abbia effettivamente commesso i fatti ascrittigli, da quest’ultimo, tra l’altro, formalmente contestati, come dimostrato anche dalla denuncia – querela dallo stesso sporta in data 28 ottobre 2010, prodotta in allegato alla memoria del 13 maggio 2011, la quale renderebbe "il sig, M. …. addirittura parte lesa del reato" (cfr., tra l’altro, memoria del ricorrente del 2 novembre 2011, pag. 5);

– in ragione di tale constatazione, è doveroso pervenire alla conclusione che il provvedimento impugnato non si fonda su un presupposto di fatto idoneo a supportare la decisione assunta e, dunque, non è stato correttamente adottato;

– per completezza, si precisa, ancora, che non ostano a tale conclusione gli ulteriori eventi, riportati nella documentazione prodotta dall’Amministrazione, consistenti nell’esistenza di un procedimento (il n. 11/1081) "che vede imputato il M.C." per "appropriazione indebita" nonché in due nuovi parere della DDA, resi rispettivamente in data 15 giugno 2011 e in data 5 ottobre 2011, atteso che trattasi di elementi di cui non si fa menzione nel provvedimento impugnato (anche perché "sopravvenuti") e, quindi, di elementi che – in quanto estranei alla decisione assunta – si rivelano inidonei ad interferire con la legittimità o meno del provvedimento stesso;

Ritenuto che, tenuto conto di quanto sopra rappresentato, il ricorso deve essere accolto;

Ritenuto, peraltro, che – in ragione delle peculiarità della vicenda – le spese di lite devono essere compensate tra le parti;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 6588/2010, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2011 con l’intervento dei Magistrati:

Linda Sandulli, Presidente

Pietro Morabito, Consigliere

Antonella Mangia, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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