Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13-06-2012, n. 9595 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.P. convenne innanzi alla Giunta Speciale per le Espropriazioni di Napoli la soc. COPIN per ottenere il pagamento delle giuste indennità di esproprio, di asservimento e di occupazione legittima in relazione agli interventi ablatori e di asservimento che la sua proprietà immobiliare di (OMISSIS), aveva subito a causa delle occupazioni e degli interventi previsti dalla L. n. 887 del 1984, art. 11, comma 18. Si costituirono la COPIN e la Presidenza della Giunta Regionale della Campania ed il giudice adito con sentenza 13.7.2010, esclusa la legittimazione ad causam della Presidenza Regionale, ha determinato l’indennità di espropriazione dei mq. 180 di area pertinenziale al fabbricato in Euro 115.122,00, l’indennità di asservimento dei mq.

53 delle aree stradali private in Euro 6.325,00, l’indennità di occupazione legittima per le aree espropriate ed asservite in Euro 13.927,40, in Euro 614,25 ed in Euro 453,12, nonchè, relativamente all’indennità di occupazione legittima per le aree occupate ed ancora non espropriate, gli interessi sino all’1.4.2010 sulla somma di Euro 2.017,25.

In motivazione – e per quel che rileva – la GSE di Napoli ha ritenuto applicabile, al fine di determinare il valore di computo delle indennità di espropriazione, la L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, introdotto dopo la sentenza 348 del 2007 con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo il D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, convertito in L. n. 359 del 1992. In tal prospettiva la GSE ha quindi espressamente "disapplicato" il combinato disposto della L. n. 219 del 1981, art. 80 e della L. n. 2892 del 1885, art. 13 (nella parte in cui si prevede il criterio della semisomma del valore venale e dei fitti coacervati) ed ha pertanto adottato il criterio del valore venale pieno. Con ampia motivazione e richiami alla disposta CTU la GSE di Napoli ha quindi sviluppato i calcoli della spettanza delle varie voci, principali ed accessorie, sulla base dei quali è pervenuta alla determinazione delle spettanze dianzi indicate.

Per la cassazione di tale sentenza COPIN ha proposto ricorso 10.10.2011 con unico motivo al quale si è opposto C.P. con controricorso 22.11.2011 contenente ricorso incidentale articolato su un motivo. La Presidenza della G.R. ha notificato controricorso 21.11.2011. Il C. ha depositato memoria finale

Motivi della decisione

Pronunziando sui ricorsi riuniti ex art. 335 c.p.c., ritiene il Collegio che il ricorso di COPIN sia meritevole di accoglimento nel mentre non abbiano ingresso alcuno le censure proposte, in via incidentale, dal C..

La GSE con la sentenza in disamina ha riconosciuto all’espropriato C. ed a carico di COPIN un complesso di indennità la cui base di computo è frutto della "disapplicazione" della L. n. 219 del 1981, art. 80; tale disposizione, è noto, rinvia al criterio della legge del risanamento di Napoli (n. 2892 del 1885), per il quale il valore di mercato dell’area urbanizzata (pervero privo di alcun valore effettivo stante il degrado della zona "da risanare"), e quindi il reale modesto valore (al di fuori di alcuna irrilevante dicotomia tra valore agricolo o valore edificatorio) veniva assommato al concreto valore dei fitti coacervati del decennio decorso e la somma era dimidiata come "congruo" indennizzo da erogare.

Ebbene ad avviso della GSE di Napoli tale disapplicazione sarebbe imposta dallo jus superveniens (L. n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90) seguito alla radicalmente innovativa pronunzia della Corte Costituzionale n. 348 del 2007. A fondamento di tale operazione giuridica di "sostituzione" delle nuove norme alle vecchie – operata senza predicare la idoneità delle seconde ad abrogare le prime – la GSE invoca l’orientamento di questa Corte introdotto da Cass. 18844 del 2008 e concluso dai principii contenuti nella pronunzia delle S.U. 26334 del 2009.

Insorge contro tale operazione il ricorso COPIN, osservando che la norma di rinvio alla Legge del 1885 contenuta nella L. n. 219 del 1981, non avrebbe potuto e dovuto essere semplicemente "non applicata" ma, semmai sospetta di illegittimità costituzionale, rimessa alla Corte Costituzionale per il sindacato in via incidentale, sospetto peraltro inconsistente alla luce della natura e della portata emergenziale della legislazione del 1980.

Effettivamente, osserva il Collegio, nel corpo della sentenza del 2009 di queste Sezioni Unite (pervero preceduta da Cass. 18844 del 2008 poco dopo contraddetta da Cass. 28431 del 2008, entrambe della Prima Sezione), sentenza richiamata dalla pronunzia della Giunta Speciale, vi è una affermazione di disapplicazione quale quella citata ma essa, a ben vedere, si riferiva alla ritenuta impossibilità di assumere il vecchio criterio di computo a base non già di un contestato indennizzo di espropriazione bensì della indennità virtuale sulla quale computare l’indennità di occupazione, che era il solo oggetto di contesa in causa.

Quel che rileva, a criterio del Collegio, è che si sia ben diversamente statuito nella successiva pronunzia delle S.U. di questa Corte (2419 del 2011) decisione che si fa carico della apparente diversa impostazione seguita dalla pronunzia del 2009 ed afferma che quella decisione venne adottata per regolare la stima della indennità virtuale di costruzioni e non di aree.

Ebbene, la decisione del 2011, alla quale il Collegio intende dare piena continuità, afferma che ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione relativa a terreni siti nel comune di Napoli, il criterio stabilito dalla L. 15 gennaio 1885, n. 2892, art. 13 – che non da rilievo alcuno alla distinzione tra aree edificabili e non fabbricabili e che è per l’appunto espressamente richiamato dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 80 – continua ad applicarsi, anche dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5-bis, pronunziata dalla sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale.

E l’affermazione di tale permanente vigenza si coniuga, nella affermazione di queste Sezioni Unite, con la esclusione di alcun dubbio di legittimità costituzionale della conservata previsione del valore dimidiato trattandosi di criterio, speciale, totalmente distinto da quello del citato art. 5-bis e gli effetti della cui permanenza applicativa – nella parte che determina un indennizzo inferiore al valore venale effettivo, di contro imposto dalla decisione 348 del 2007 e recepito, anche all’interno del vigente D.P.R. n. 327 del 2001, dalla L. n. 244 del 2007, art. 2 – si giustificano in relazione alla particolare natura, temporanea ed eccezionale, degli interventi di cui alla L. n. 219 del 1981.

Al proposito la manifesta infondatezza dei dubbi di costituzionalità sulla "impermeabilità" della legislazione speciale del 1981 all’intervento della Corte Costituzionale (decisioni 348 e 349 del 2007) ed alla conseguente introduzione dei criteri facenti capo al "valore venale", è stata già affermata da queste Sezioni Unite con la decisione 5265 del 2008.

Con tale decisione è stata affermata la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 219 del 1982, art. 80, sollevata per contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo della CEDU, nella parte in cui prevede un criterio liquidatolo speciale non dissimile (per il profilo dello scostamento dal valore integrale del bene) da quello adottato, in via generale, dalle disposizioni del più volte citato art. 5-bis e del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, commi 1 e 2, dichiarate incostituzionali con la sentenza della Corte cost. n. 348 del 2007 per contrasto con l’art. 1 Primo Protocollo CEDU, "come interpretato dalla Corte di Strasburgo", costituente "parametro integrativo dell’art. 117 Cost." quanto all’ivi prescritto necessario (ragionevole) allineamento dell’indennizzo al valore pieno di mercato del bene espropriato.

Ebbene la sentenza di queste Sezioni Unite del 2008, considerato che secondo la stessa sentenza 348 del 2007 obiettivi legittimi di utilità pubblica come quelli perseguiti da misura di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo, ha affermato che ciò si verifica proprio con la L. 14 maggio 1981, n. 219, avente natura speciale, temporanea ed eccezionale, in quanto volta a porre rimedio alle conseguenze degli eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981, e non assumendo rilevanza alcuna il fatto che il D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 1, come sostituito dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, preveda, in via generale, per le espropriazioni finalizzate ad attuare interventi di riforma economico-sociale, una riduzione (del 25%) più contenuta di quella consentita dalla legge del 1981. Questa Corte a Sezioni Unite con la rammentata pronunzia del 2008 ha infatti affermato che deve ritenersi avere rilievo assorbente sia la specialità, temporaneità ed eccezionaiità della legge stessa, sia comunque, ed in linea di principio, il fatto che l’avanzamento, nel prosieguo della legislazione, del livello di garanzia di un valore costituzionale non comporta l’illegittimità della normativa precedente attestata su un livello inferiore di tutela.

La chiarezza del condiviso arresto del 2008, che vede chiaramente coniugata la affermazione della piena e permanente applicabilità della L. n. 219 del 1981, art. 80 (del quale viene esclusa alcuna ipotesi di indebita "disapplicazione" ad opera delle norme sopravvenute) con la valutazione di inesistenza di alcun sospetto di incostituzionalità del conservato criterio riduttivo dell’indennizzo, non viene neanche revocata in dubbio dalla riconferma, in diverso ambito ma in una prospettiva altrettanto generale, de criterio del giusto indennizzo: ci si riferisce alla rimozione del riduttivo e rigido criterio del Valore Agricolo Medio, operata da Corte Costituzionale con la sentenza 181 del 2011. Tanto le due pronunzie del 2007 quanto la più recente pronunzia sugli esproprii delle aree aventi natura agricola, infatti, ridisegnano gli obiettivi – pervero recepiti dal legislatore ed attuati dalla giurisprudenza di questa Corte – di un generale ristoro delle ragioni dei proprietari espropriati sulla base di un reale, effettivo e completo indennizzo ma lasciano intatta la ragionevolezza della scelta effettuata oltre trenta anni fa. La chiarezza della condivisa decisione del 2008 di queste Sezioni Unite nell’affermare la ragionevolezza della previsione di un’area di indennizzi ridotti perchè legati "allo scopo" – temporaneo e localmente definito – di effettuare interventi di vera emergenza sociale, non richiede al Collegio altra illustrazione.

Deve nondimeno farsi carico della ipotesi, affacciata in memoria del controricorrente, per la quale la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea – alla luce della clausola di equivalenza sancita dall’art. 52 par. 3 – abbia determinato una trattatizzazione indiretta delle disposizioni della CEDU te volte in cui i diritti previsti dalla Convenzione vengano a trovare una corrispondenza all’interno della Carta di Nizza, si che ravvisandosi siffatta corrispondenza tra la previsione dell’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione (come inteso dalla nota sentenza 29.3.2006 della Corte Europea nella causa Scordino contro Italia) e la previsione di giusta indennità di cui all’art. 17 par. 1 della Carta di Nizza, ne discenderebbe la collisione della normativa nazionale in disamina con il parametro della "giusta indennità" il quale non può che essere, secondo il dictum della Corte Europea, parametro di ristoro totale. E da tale collisione non potrebbe derivare altro che la diretta applicazione della norma europea da parte del giudice nazionale (disapplicandosi la norma collidente).

Ritiene il Collegio affatto assorbente il rilievo, formulato nelle decisioni 80 e 303 del 2011 della Corte Costituzionale per il quale siffatta applicabilità diretta della Carta di Nizza sia predicabile solo per le ipotesi nelle quali la fattispecie sia disciplinata dal diritto europeo e non già, totalmente, da norme nazionali prive di alcun legame con il diritto dell’ Unione Europea. Ebbene, appare evidente come non sia ravvisabile alcuna "disciplina" da parte delle norme dell’I).E. nella generica previsione, nell’art. 17 par. 1 della Carta, del diritto alla percezione di una "giusta indennità" da parte del soggetto privato della proprietà per "causa di pubblico interesse", trattandosi di disposizione che non è espressiva del regolamento di una materia di interesse comunitario ed è priva di attitudine regolatrice di situazioni indeterminate in quanto non inclusiva di alcun criterio o parametro determinativo.

Sulla base di tali considerazioni, pertanto, la sentenza della GSE impugnata deve essere cassata in pieno accoglimento della censura proposta da COPIN per la rideterminazione delle indennità spettanti all’espropriato alla stregua del parametro normativo indebitamente disapplicato.

Venendo al ricorso incidentale del C. se ne osserva la evidente inammissibilità che ne preclude l’esame di merito: si tratta infatti di una non chiara sommatoria di doglianze prive di indicazione delle norme violate, prive di autosufficienza espositiva e mai denunzianti puntuali omissioni od illogicità di argomentazione (anche nel recepimento della indicazioni peritali) ma solo la inadeguatezza dei conteggi e la non condivisibilità dei risultati attinti. Si lamenta infatti la "sottostima" dei danni e lo "svilimento" del valore del cespite; si censura la valutazione dell’indennità di occupazione a valori del 2002 nel mentre si doveva pervenire ad una stima nel 2007; ci si duole della omessa considerazione della urbanizzazione dell’area e della sottostima del valore unitario dell’immobile ragguagliato a valori modesti e temporalmente inattendibili. Si tratta all’evidenza di censure alla valutazione del fatto che, come dianzi detto, sono sfornite dei requisiti di ammissibilità di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Sarà onere della Giunta in sede di rinvio determinare anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia – anche per le spese – alla Giunta Speciale per le Espropriazioni presso la Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *