Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13-06-2012, n. 9594 Accertamento, opposizione e contestazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate di Foggia ebbe ad avvisare R.A. della irrogazione di sanzione adottata D.L. n. 12 del 2002, ex art. 3, comma 3, convertito in L. n. 73 del 2002 e pari ad Euro 41.114,00 per occupazione di lavoratori irregolari. Il R. si oppose e la CT di Foggia con sentenza del 2006 ebbe ad accogliere in parte l’opposizione riducendo l’importo sanzionato nella misura di Euro 20.557,00. Venne quindi proposto appello dall’interessato ed appello incidentale dell’Agenzia. La Commissione Regionale con sentenza 8.3.2010 ha accolto l’impugnazione incidentale di Agenzia Entrate e respinto il ricorso principale ed ha, in motivazione, disatteso la questione di giurisdizione posta in discussione orale dal R. con riguardo alla sopravvenuta giurisdizione del G.O. indotta da Corte Cost. 130 del 2008.

La Commissione Regionale infatti ha preliminarmente rilevato la formazione ostativa del giudicato implicito per effetto della pronunzia di merito della Commissione Provinciale, non impugnata sul punto con appello incidentale, ed all’uopo ha richiamato S.U. 24883 del 2008 anche precisando che il consolidamento del rapporto processuale in tal guisa determinatosi aveva inibito alla pronunzia della Corte Costituzionale di esplicare i suoi effetti retroattivi.

Esaminando, quindi, l’appello incidentale del R., la Commissione Regionale ha rilevato che, pur essendo diretto a fornire la prova consentita dalla pronunzia di incostituzionalità del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3 (sentenza 144 del 2003), il gravame era del tutto sfornito di elementi a sostegno dell’accertamento dell’inizio del rapporto di lavoro in data successiva a quella dell’inizio dell’anno. Esaminando di contro l’appello incidentale di Agenzia delle Entrate, la Commissione lo ha accolto.

Per la cassazione di tale sentenza il R. ha proposto ricorso in data 26.7.2010 articolando tre motivi ai quali si è opposta Agenzia delle Entrate con controricorso del 7.3.2011.

Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che il ricorso, nessuna delle proposte censure meritando condivisione, debba essere rigettato.

Il primo motivo del ricorso del R. pone questione di giurisdizione "sopravvenuta" per effetto della pronunzia di Corte Cost. n. 130 del 2008 che sarebbe idonea, a suo avviso, a superare la preclusione formatasi con la mancata proposizione di appello incidentale sul punto. Ed a sostegno della indubbia appartenenza della opposizione alla sanzione de qua alla giurisdizione ordinaria ben può il ricorrente invocare l’indirizzo fermo di queste Sezioni Unite (si ricordano tra le ultime le decisioni 22884 del 2011 e 1986 del 2012).

Ebbene il ricorrente non contesta che si possa essere verificata preclusione per mancata proposizione di gravame incidentale sulla pronunzia della C.T. che affrontò e decise il merito con una riduzione della sanzione, ed all’uopo richiama la nota pronunzia 24883 del 2008 di queste S.U. (alla quale si aggiungano, da ultimo, le pronunzie 1417 e 5704 del 2012): egli sostiene invece che la sentenza di incostituzionalità – dotata di efficacia retroattiva – avrebbe avuto l’effetto di escludere "……l’operatività della perpetuano jurisdictionis" superando ogni preclusione frutto di scelte processuali adottate a norme vigenti.

Al Collegio appare assorbente ricordare che, sulla inidoneità della sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità a superare il giudicato sulla giurisdizione, questa Corte a S.U. ha da ultimo affermato (24405 del 2011 e 3200 del 2010) che, se, per effetto della non impugnazione sulla questione di giurisdizione della sentenza che ha deciso il merito della controversia, si è formato il giudicato implicito sulla sussistenza stessa della giurisdizione, la pronuncia di incostituzionalità della norma sul cui presupposto il giudice ha deciso nel merito non ha effetto su quel processo, poichè il rilievo del difetto di giurisdizione è ormai precluso.

Ed il Collegio intende dare seguito a tale indirizzo, pertanto rigettando la doglianza in esame che da siffatto principio, al quale la Commissione Regionale si è puntualmente attenuta, tenta di discostarsi.

Può quindi procedersi alla disamina dei motivi ulteriori del ricorso. Il secondo motivo lamenta che, essendo stato dichiarato incostituzionale dalla sentenza 144 del 2003 il D.L. n. 12 del 1992, art. 3, comma 3, si sarebbe erroneamente posto a carico dell’opponente la sanzione l’onere di provare la insussistenza da una certa data del rapporto di lavoro subordinato (vieppiù quando, come nella specie, ex actis risultavano dichiarazioni negative dei pretesi "dipendenti").

Il terzo motivo, poi, lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c., non avendo la Commissione Regionale considerato che le dichiarazioni liberatorie dei due pretesi dipendenti non erano state contestate da Agenzia delle Entrate e che a suo favore si invocava solo un verbale ispettivo INPS contenente solo giudizi e valutazioni e non acclarante fatti.

Il quarto motivo, infine, propone la stessa censura sopra riportata come vizio di motivazione (per omessa considerazione delle dichiarazioni "liberatorie").

Esaminando complessivamente i tre motivi essi appaiono privi di alcun fondamento.

Va rammentato che, ove si tratti di addurre una diversa, successiva, datazione (rispetto al 1 gennaio) dell’anno nel quale è stata accertata la violazione, questa Corte ha ripetutamente affermato che, con riguardo alle sanzioni amministrative irrogabili per l’impiego di lavoratori non regolarmente denunciati, il D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, art. 3, comma 3 (conv. in L. n. 73 del 2002), secondo il quale il rapporto di lavoro decorre dal primo gennaio dell’anno dell’accertamento fino al giorno della contestazione della violazione, instaura una presunzione legale, intesa ad inasprire ulteriormente il trattamento sanzionatorio, contro la quale è ammessa prova contraria a carico del datore di lavoro, non competendo alcun obbligo a carico dell’ente irrogante la sanzione di provare l’effettiva prestazione di lavoro per il detto periodo (Cass. 24678 de 2011 e S.U. 356 del 2010 e 23206 del 2009).

Ma, venendo alla disamina della vicenda di specie, viene dal ricorrente contestata – nei profili scanditi dai tre sintetizzati motivi – non già una diversa decorrenza ma, più radicalmente, la stessa efficacia probatoria dell’accertamento ispettivo INPS sul quale si è basata la sanzione adottata da Agenzia delle Entrate: e non vi è alcun dubbio che la prova del presupposto della pretesa sanzionatoria e cioè della sussistenza di rapporti di lavoro irregolare non potesse che gravare sull’Amministrazione.

E’ però altrettanto indubbio che detta prova veniva affermato, già con la decisione della Commissione Provinciale, essere nelle risultanze del verbale ispettivo dell’INPS, verbale redatto con la constatazione diretta della presenza attiva dei due lavoratori occupati in tipici lavori di ristorazione: consegue che detta prova doveva essere contestata, quanto alla esistenza e veridicità delle affermazioni accertative del verbale, nelle forme di legge e, con riguardo alle valutazioni nello stesso verbale espresse (la prestazione di mansioni tipiche faceva presumere l’esistenza di lavoro subordinato), con la pertinente allegazione di circostanze contrarie fatte segno a prova documentale od a capitolazione di prova orale.

Nella specie il ricorrente odierno si è limitato a richiamare le dichiarazioni di giudizio dei due "lavoratori" generalizzati nel verbale ispettivo e cioè elementi fonti di diversa "vantazione" che il giudice del merito ha ritenuto inidonei a revocare in dubbio la persuasività del verbale ispettivo.

La censura che si muove a tale considerazione da un canto ignora il carattere assorbente che i giudici di merito hanno inteso conferire alle risultanze del verbale ispettivo e, dall’altro canto, affida la propria contestazione di superficiale valutazione alla "eloquenza" della smentita alla esistenza di rapporti di lavoro scaturente dalle prodotte controdichiarazioni. E la non conducenza di siffatta produzione documentale allo scopo di contrastare gli argomenti desunti dal verbale appare di tutta evidenza.

Le spese di giudizio dell’Agenzia delle Entrate – respinto il ricorso – graveranno sul ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente R.A. al pagamento delle spese di giudizio in favore di Agenzia delle Entrate che liquida in Euro 5.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2012

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