Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-06-2012, n. 9790 Onere della prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 18.9.89 A.M. evocava in giudizio avanti all’allora competente tribunale di Napoli, L.S. V., e premesso di avere eseguito in appalto su incarico di quest’ultimo, i lavori di sistemazione esterna della sua abitazione, sita in (OMISSIS) per l’importo di L. 26.300.00, chiedeva la condanna del convenuto al pagamento della somma suddetta, oltre interessi e rivalutazione. Si costituiva il L. V. deducendo di nulla dovere per i lavori in questione in quanto tutte le opere eseguite erano state interamente da lui pagate, come da documentazione che si riservava di esibire, senza inversione dell’onere della prova. Istruita la causa (CTU e testi) il tribunale di Torre Annunziata – presso il quale la causa stessa veniva poi trasferita – con sentenza n. 1781/03 accoglieva la domanda attrice condannando il L.V. al pagamento della somma di L. 19.725.000, pari ad Euro 10.187,00, oltre interessi e rivalutazione.

Avverso la sentenza proponeva appello il L.V. deducendo l’arbitraria ed erronea interpretazione delle risultanze probatoria e la contraddittorietà della motivazione; l’ A. costituitosi chiedeva il rigetto del gravame e l’adita Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 1680/2008 depos. in data 8 maggio 2008, accoglieva l’appello ed in riforma dell’appellata decisione, rigettava la domanda proposta dall’ A., compensando le spese del doppio grado. Osserva fa Corte partenopea che l’appaltatore A. non aveva superato l’eccezione di pagamento proposta dal committente L. V., in virtù della quale, questi aveva corrisposto al primo la somma di L. 144.000.000 per l’intero ammontare dei lavori eseguiti presso la di lui l’abitazione. Precisava che avendo il convenuto contestato l’ammontare del pagamento richiesto, incombeva all’attore dimostrare l’esistenza del suo credito e la corrispondenza del pagamento preteso con quello contrattualmente stabilito, onere probatorio però da lui non assolto.

Per la cassazione della suddetta pronuncia ricorre A.M. sulla base di n. 5 censure. Resiste con controricorso il L.V., che ha depositato altresì memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c. e del principio "negativa non sunt probanda".

L’esponente deduce "l’inammissibile inversione dell’onere della prova", in quanto il L.V., contrariamente a quanto da lui sostenuto, non avrebbe mai provato di aver pagato al ricorrente la somma di L. 144 milioni a saldo dei lavori sia interni che esterni alla sua abitazione, atteso che le dichiarazioni da lui fatte in questo senso sono sempre state contestate.

Sottolinea in specie il ricorrente che, avendo il convenuto riconosciuto di aver commissionato lavori per L. 144.000.000 e di averli pagati, la lite non verteva sull’an e sul quantum di essi, ma solo sul loro pagamento. Rimasta inadempiente la prova del pagamento che gravava sul convenuto, erroneamente la C.A. aveva rigettato la propria domanda, mentre invece avrebbe dovuto accoglierla. La doglianza non è fondata.

Rileva il Collegio che la Corte d’Appello ha fatto alcune affermazioni errate in ordine alla prova dell’avvenuto pagamento, il cui onere grava certo sul debitore. Peraltro lo stesso giudice, ha ritenuto che il L.V. avesse contestato l’ammontare dei lavori eseguiti dall’ A. ed ha stabilito che in mancanza di compiuta prova di essi, la domanda andava rigettata. Più precisamente, secondo la corte, l’ A. non aveva provato nè l’esistenza del diritto azionato (esecuzione delle opere), nè l’ammontare del credito vantato in citazione, nè ha dato la prova di essersi previamente accordato con il L.V. per l’esecuzione dei lavori all’esterno dell’abitazione al costo vantato.

L’attore in sostanza avrebbe dovuto provare di avere concordato con il creditore la specifica esecuzione di lavori esterni all’abitazione per un determinato prezzo da versare entro una certa scadenza. Si tratta dunque di una ratio decidendi che il ricorrente non ha per nulla censurata partendo dal presupposto, non condiviso dalla sentenza, che fosse in contestazione solo l’avvenuto pagamento, e non anche l’esecuzione dei singoli lavori. Tutto ciò determina dunque, l’inammissibilità della doglianza in esame.

Passando al 2 motivo, con esso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1193,1193, 1199 e 2697 c.c. Il L. V. aveva esibito matrici di assegni e cambiali, erroneamente equiparate dalla Corte d’Appello a ricevute di pagamento. Anche le dichiarazioni fatte dal committente in questo senso sono sempre state contestate cosi come è stata contestata la produzione di matrici di assegni e cambiali per provare il pagamento in questione. Anche in questo caso, osserva il Collegio, che a prescindere da tutto ciò, la sentenza si regge in base all’indicata altra ratio decidendi che non riguarda l’avvenuto pagamento ma la carenza di prova a carico dell’appaltatore circa l’esecuzione dei lavori concordati di cui chiede egli il pagamento. Anche tale motivo è pertanto inammissibile.

Lo stesso dicasi per il 3 motivo in cui si propone la stessa censura ma sotto il profilo del vizio motivazionale.

Con il 4 motivo: si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 61, 115, 116, 191 e 194 c.p.c. in relazione all’esistenza in atti, in base alla CTU espletata, della prova dei lavori e del loro costo. Erroneamente la Corte d’Appello aveva negato che ci fosse la prova sufficiente dei lavori eseguiti, mentre in realtà tali prove potevano essere acquisite sia dalla CTU che dai testi escussi e dalla documentazione prodotta.

Con il 5 motivo: vizio della motivazione sul quantum. La Corte avrebbe dovuto valutare le prove con riguardo alla CTU espletata (perizia percipiente); poteva desumere il valore delle opere esterne proprio dall’elaborato peritale e le doveva porre a carico del resistente che non aveva dimostrato di averle pagate. "Se la corte – conclude il ricorrente – avesse, come in suo dovere, spinto oltre la sua indagine valutando e combinando le risultanze della prova offerta con quella della CTU e le avesse recepite in motivazione, avrebbe desunto il valore delle opere esterne dall’elaborato peritale e le avrebbe poste a carico del resistente il quale non ha dimostrato di averle pagate".

Osserva il Collegio che le due ultime censure – congiuntamente esaminate in quanto connesse – non hanno giuridico pregio. Le stesse infatti si risolvono in una critica alla valutazione delle prove da parte del giudice di merito, come tale inammissibile in sede di legittimità, attesa la corretta e congrua motivazione su tale specifico punto della sentenza. Invero la Corte d’appello è pervenuta alle proprie conclusioni dopo avere attentamente esaminate le risultanze della CTU mentre nessun rilievo ha attribuito al c.d.

computo metrico (su cui il ricorrente fonda la sua richiesta di pagamento) che costituiva " una nota spese priva di alcun valore probatorio in ordine all’asserito credito vantato nei confronti dell’appellante" Conclusivamente il riscorso dev’essere dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 1.500,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

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