Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-06-2012, n. 9783

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato il 3 e 4 aprile 1997, C.A., premesso di essere proprietario per una quota di 1596/1800 di un terreno con fabbricato rurale in Comune di Correzzola, distinto al foglio 18 con i mappali 57 e 58, conveniva S.G., B., A., E. e Ag., quali eredi di C.G., e C.P., quale erede di C.R., innanzi al Tribunale di Padova, chiedendo che venisse accertato che egli era proprietario esclusivo dei beni in questione per intervenuta usucapione.

Si costituiva la sola S.E., resistendo alla domanda e proponendo domanda riconvenzionale di divisione degli immobili secondo le quote di legittima spettanza.

2. – Con sentenza non definitiva in data 31 marzo 2003 il Tribunale di Padova, dopo avere disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di S.L.M., rigettava la domanda principale, disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione della causa per la decisione sulla domanda riconvenzionale di divisione.

3. – c.a. proponeva gravame, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Venezia con sentenza depositata in data 13 agosto 2007. Osservava il giudice di secondo grado che l’appellante aveva dedotto in primo luogo la falsità del presupposto di partenza del ragionamento del giudice di primo grado, e cioè che lo stesso appellante ed i convenuti fossero coeredi, sostenendo che pertanto non sarebbe stata invocabile ai fini del rigetto della domanda la giurisprudenza richiamata dal primo giudice. La Corte di merito giudicava infondato l’assunto, rilevando che in ogni caso in cui oggetto di usucapione sia un bene in comunione, il compossessore che deduca di avere esteso il suo possesso anche alle quote degli altri comproprietari deve dare la prova non solo di avere esercitato il godimento esclusivo della cosa comune o di avere compiuto atti di gestione, ma altresì di avere da un dato momento sostituito all’originario godimento uti condominus il godimento animo domini, e quindi di avere esercitato il possesso esclusivo incompatibile con la possibilità per gli altri comproprietari di far uso del bene.

Nella specie tale prova era mancata.

In ordine alla deduzione dell’appellante secondo la quale S. E. non avrebbe dato la prova di avere accettato l’eredità di C.G. nei termini di legge, la Corte di appello osservava che l’appellata aveva dato tale dimostrazione, e che la qualità di erede era stata del resto riconosciuta dallo stesso appellante che la aveva convenuta in giudizio appunto in tale veste, tenuto conto che la costituzione in giudizio, la contestazione dell’acquisto per usucapione e la domanda di divisione costituiscono atti che ex art. 476 c.c., implicano accettazione tacita dell’eredità.

La qualità di erede di C.G. in capo all’appellata non era stata poi mai messa in discussione dall’appellante nel giudizio di primo grado.

A fronte di ciò, la deduzione in grado di appello che l’atto implicante l’accettazione dell’eredità fosse stato compiuto dopo dieci anni dalla morte della de cuius, e che quindi fosse maturata la prescrizione del diritto di accettare l’eredità rappresentava eccezione in senso proprio, che pertanto avrebbe dovuto essere svolta dall’appellante nel giudizio di primo grado e non poteva essere tardivamente sollevata in sede di appello.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, con quattro motivi illustrati da memoria, c. a.. Con ordinanza in data 20 maggio 2009, questa Corte ha disposto la integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di S.L.. L’adempimento è stato eseguito, con notifica del ricorso ad A., E., R.L. e a L.E.. Gli intimati non si sono costituiti nel presente giudizio.

Motivi della decisione

1.1. – Da un punto di vista logico va esaminata per prima la censura contenuta nel terzo motivo, con il quale si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 480 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riguardo alla mancata valorizzazione delle prove raccolte nel giudizio di primo grado idonee a fondare l’accertamento dell’acquisto di proprietà a titolo originario in capo all’attore. Si lamenta che erroneamente i giudici di merito avrebbero ritenuto tardiva l’eccezione di prescrizione del diritto di S.E. di accettare l’eredità di C. G., sottolineandosi come l’onere di fornire la prova dei requisiti prescritti per l’esercizio del diritto (ivi compresa la stessa qualità di erede accettante) incombe all’attore in petizione di eredità secondo il principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ.; pertanto il rilievo della mancata dimostrazione della qualità di erede accettante sollevato dal C. riguarderebbe un fatto costitutivo del diritto azionato e non si configurerebbe sul piano processuale come eccezione in senso proprio, bensì come mera deduzione difensiva, risultando quindi rilevabile d’ufficio, in quanto rientrante entro i confini del thema decidendum. Si sostiene poi che non sarebbe esatto che la costituzione in giudizio per chiedere la divisione vale come accettazione dell’eredità e che l’attuale ricorrente avrebbe riconosciuto la qualità di erede di C.G. ad S.E. citando quest’ultima in giudizio. Infine, si rileva che nel comportamento dell’appellante, odierno ricorrente, fosse ravvisabile un esercizio del possesso animo domini e caratterizzato dalla manifesta intenzione di non riconoscere agli altri coeredi alcun diritto sul fondo de quo.

1.2. – La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: Se competa all’erede convenuto nel giudizio di usucapione e che richieda in via riconvenzionale la divisione del compendio dar prova dell’accettazione dell’eredità nei termini di prescrizione di cui all’art. 480 cod. civ.".

2.1. – La doglianza è infondata.

2.2. – Questa Corte ha avuto occasione di affermare che l’eccezione di prescrizione del diritto della controparte di accettare l’eredità è inammissibile ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ., ove proposta per la prima volta con l’atto di appello (Cass., sent. 17 aprile 2009 n. 9303). Tale rilievo vale a superare anche le ulteriori articolazioni della censura.

2.3. – Quanto alla contestazione della esattezza della affermazione della sentenza impugnata secondo la quale il possesso dell’attuale ricorrente non era idoneo a far maturare l’usucapione in danno degli altri compossessori, la doglianza è inammissibile, per la sua genericità, in relazione alla motivazione con la quale la sentenza impugnata è andata di contrario avviso.

3.1. – Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1140 c.c., art. 1146 c.c., n. 1, artt. 1158, 2697 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riguardo alla ritenuta esistenza di una situazione di compossesso in capo all’appellata sugli immobili in questione. Si rileva che i giudici di merito intanto avrebbero potuto fare riferimento ai principi in tema di usucapione con riguardo a beni comuni, in quanto fosse stata provata una situazione di compossesso tra l’attuale ricorrente e C.G. (cui S.E. sarebbe subentrata ex art. 1146 cod. civ., comma 1): prova che, nella specie, sarebbe completamente mancata.

3.2. – La illustrazione della censura si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: "Se ai fini della situazione di compossesso si debba invocare la successione nel possesso prevista dall’art. 1146 c.c., comma 1, mediante la dimostrazione che il rapporto possessorio ex art. 1140 c.p.c., preesisteva in capo al dante causa al momento dell’apertura della successione; e se al di fuori di una situazione di compossesso, il possessore attuale possa usucapire indipendentemente dalla prova di avere escluso il possesso degli altri coeredi e solo ricorrendo i presupposti dell’art. 1158 c.c. ed indipendentemente dalla prova dell’interversio possessionis".

4. – La doglianza è inammissibile per la novità della questione che ne costituisce l’oggetto, in quanto l’attuale ricorrente con l’atto di appello aveva contestato solo la veste di coerede di S. E., ma non anche che vi fosse una situazione di compossesso con la stessa.

5. – Ciò comporta, quale logica conseguenza, il rigetto altresì del secondo motivo, con il quale si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1158 e 2697 cod. civ., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riguardo alla mancata valorizzazione delle prove raccolte nel giudizio di primo grado idonee a fondare l’accertamento dell’acquisto di proprietà a titolo originario in capo all’attore. Il ricorrente, sul presupposto che non vi era una situazione di compossesso con S.E., deduce che dalle prove acquisite sarebbe risultato che egli aveva esercitato un possesso esclusivo sufficiente ai fini della usucapione, e conclude la illustrazione della censura con la formulazione del seguente quesito di diritto: "Se il possessore esclusivo possa invocare contro gli altri proprietari non (com)possessori la maturata usucapione ultraventennale mediante la prova del diuturno e pacifico godimento del bene, determinato dal comportamento acquiescente e dismissivo del proprietario, il quale non ha conservato per tutto il tempo la materiale disponibilità dell’immobile, nè una disponibilità indiretta così come dispongono l’art. 1158 c.c.".

6.1. – Con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 6 della Tariffa Forense di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 217.

Il ricorrente deduce che i giudici di merito avrebbero liquidato le spese in misura sproporzionata rispetto al valore della causa.

6.2. – La illustrazione della censura si conclude con la illustrazione del seguente quesito di diritto: "Se nelle cause relative alla proprietà della quota (usucapione e/o divisione) il valore della causa ai fini della determinazione dei diritti ed onorari di avvocato vada determinato avendo riguardo al valore della quota in contestazione e ciò ai sensi dell’art. 6 Tariffa Forense D.M. 8 aprile 2004, n. 217".

7. – Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità della contestazione.

8. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta alcuna attività difensiva dagli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 dicembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

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