Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 04-10-2011) 25-11-2011, n. 43724

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza pronunciata il giorno 11 giugno 2010, ex art. 444 c.p.p., il Tribunale di Ancona, in composizione monocratica, ha applicato, con l’aumento di 2/3 della pena base ex art. 99 c.p., comma 4, e la diminuzione per il rito, la pena di anni uno e mesi due di reclusione a J.M., imputato del delitto di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, perchè, senza giustificato motivo, si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal Questore di Bologna, notificatogli il 3 dicembre 2009, con il quale gli veniva intimato di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni dalla data predetta (fatto accertato in (OMISSIS)).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, il quale denuncia, con un unico motivo, l’erronea qualificazione giuridica del fatto con riguardo alla contestata recidiva infranquinquennale, risultando l’ultima sentenza di condanna a suo carico passata in cosa giudicata il 25 dicembre 2004, donde l’insussistenza della ritenuta recidiva reiterata nel quinquennio.

Motivi della decisione

2. La fattispecie di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, che punisce la condotta di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del questore, ancorchè posta in essere prima della scadenza dei termini, entro il 24 dicembre 2010, per il recepimento della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008, deve considerarsi non più applicabile nell’ordinamento interno, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia U.E. 28/04/2011 (nell’ambito del processo El Dridi, C-61/11PPU), che ha affermato l’incompatibilità di detta norma incriminatrice con la predetta normativa comunitaria, determinando effetti sostanzialmente assimilabili alla abolitio criminis, con la conseguente necessità di dichiarare, nei giudizi di cognizione, che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e fare ricorso in sede di esecuzione – per via di interpretazione estensiva – alla previsione dell’art. 673 c.p.p. (c.f.r., in termini, Sez. 1, 28/04/2011, n. 22105 e 29/04/2011, n. 20130).

Il recente D.L. 23 giugno 2011, n. 89, convertito nella L. 2 agosto 2011, n. 129, recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva suindicata sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva sul rimpatrio dei cittadini di paesi terzi irregolari, ha novato la fattispecie, sostanzialmente confermando l’intervenuta abolitio criminis.

La nuova formulazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5 ter, introdotta con l’intervento legislativo suindicato, non realizza, infatti, una continuità normativa con la precedente disposizione, sia per lo iato temporale intercorrente con l’effetto della direttiva, sia per la diversità strutturale dei presupposti e la differente tipologia della condotta necessaria ad integrare l’illecito delineato. Sul punto è sufficiente ricordare che, oggi, alla intimazione di allontanamento si può pervenire solo all’esito infruttuoso dei meccanismi agevolatori della partenza volontaria ed allo spirare del periodo di trattenimento presso un centro a ciò deputato (Centro di identificazione ed espulsione, abbreviato in CIE).

La più recente normativa ha, dunque, istituito una nuova incriminazione, applicabile solo ai fatti verificatisi dopo l’entrata in vigore della novella.

L’intervenuta abolitio criminis impone di risolvere il problema che si pone nella presente fattispecie, connotata dalla particolarità della inammissibilità del ricorso (la recidiva è stata correttamente contestata come reiterata infraquinquennale poichè l’ultima condanna per violazione della legge in materia di sostanze stupefacenti reca la data del 18 aprile 2008), nel senso che l’abrogazione è destinata a prevalere anche sulla causa di inammissibilità dell’impugnazione, in quanto alla impossibilità di rilevare cause di non punibilità in costanza di ricorso inammissibile, resistono le ipotesi di successione di leggi riconducibili all’art. 2 c.p.. La nozione di condanna ricavabile da quest’ultima norma, in combinato con l’art. 673 c.p.p., deve essere, infatti, ricondotta al giudicato formale e ciò comporta che, fino a quando esso non si è formato, spetta al giudice della cognizione prendere atto, in particolare, della intervenuta abolitio criminis e annullare la condanna per fatto divenuto privo di rilievo penate (conformi: Sez. 5, n. 39767 del 27/09/2002, dep. 26/11/2002, Buscemi, Rv. 225702, relativa proprio ad una sentenza di applicazione della pena su richiesta; Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003, dep. 16/06/2003, Giordano, Rv. 224606, con riguardo ad un più complesso caso di successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo del reato oggetto di condanna).

Segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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