Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-06-2012, n. 9782

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto depositato in data 13/6/2006, S.I. impugnava la sentenza del Tribunale della Spezia che aveva determinato in 2/3 la quota di pensione di reversibilità spettante a D.B. L., vedova di M.M., ed in 1/3 quella ad essa ex moglie.

Lamentava l’appellante la contraddittorietà di tale decisione, adottata dopo aver rilevato la notevole durata del primo matrimonio del defunto, pari a 30 anni contro i 17 del secondo, e dopo aver considerato che essa appellante era soggetto in più disagiate condizioni economiche, godendo del mero usufrutto dell’abitazione in cui viveva ed avendo un’età che non le consentiva l’esperimento di un’attività lavorativa, contrariamente alla vedova, che era in età di piena attualità di guadagno e percepiva retribuzione di circa Euro 24.000,00. Lamentava, inoltre, la mancata pronuncia sulla richiesta di ordine di pagamento agli enti erogatori anche per i mesi di durata della causa.

Resisteva D.B.L., chiedendo il rigetto dell’impugnazione e deducendo che la controparte, oltre all’usufrutto sulla casa in cui abitava, era comproprietaria di una quota di una villa a (OMISSIS) di notevole valore. Sosteneva che la quota della pensione doveva consentirle di mantenere lo stesso tenore che le garantiva l’assegno.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza n. 83 del 2008,in parziale accoglimento dell’impugnazione, determinava nella misura di 2/3 la quota della pensione di reversibilità a favore di S. I. ed in quella di 1/3 la quota a favore di D.B.L..

Quest’ultima ricorre per cassazione avverso la citata sentenza sulla base di un motivo, illustrato con memoria, cui resiste con controricorso la S..

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente deduce che il secondo Giudice avrebbe violato la L. n. 898 del 1970, art. 9, avendo considerato soltanto la lunga durata del matrimonio della S. rispetto a quello della D.B. e non avendo considerato gli altri elementi correttivi (ammontare dell’assegno goduto dal codice divorziato, condizioni di ciascun coniuge ed ogni altra circostanza). Inoltre, assume che contraddicendo (e per certi versi omettendo) gli atti ed elementi istruttori, la Corte d’appello avrebbe costruito una inammissibile ed illegittima congettura, per riferire ad essa D.B. inesistenti consistenze patrimoniali.

Il ricorso è inammissibile.

Al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate le disposizioni di cui al capo 1^ del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, fin vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione del motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1-2-3- 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorso deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione; in altri termini deve cioè contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. (Cass. sez. un. 20603/07).

Inoltre ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, il ricorso deve contenere sempre a pena di inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali si fonda.

Nel caso di specie, il ricorso non contiene alcuna formulazione di quesito di diritto in ordine alle questioni sollevate nè indica gli atti sui quali si fonda. Inoltre, le censure che deducono un vizio di motivazione, oltre a non contenere quanto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., dianzi riportato, in quanto non si rinviene alcuna sintetica formulazione del dedotto vizio motivazionale, investono il merito della motivazione e si appalesano generiche e prive di autosufficienza.

Pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 1500,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012
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