Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-06-2012, n. 9780 Deliberazioni

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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 2018 del 3 agosto 2011, il Tribunale di Verona annullava la delibera del consiglio comunale di Oppeano (VR) che aveva dichiarato decaduti i consiglieri comunali B., b., M., A., Mi. e Bo. e l’altra che li aveva surrogati con i soggetti intimati di cui in epigrafe, in accoglimento del ricorso proposto dagli odierni controricorrenti ai sensi del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 82 e li reintegrava nella carica, condannando l’ente locale alle spese.

Il Tribunale, rigettava l’eccezione di irricevibilità del ricorso introduttivo proposta dal Comune di Oppiano, per avere avuto solo notizia dell’azione e non essere stato evocato in causa con la notificazione dell’atto introduttivo, affermando che la notifica non era necessaria perchè "l’amministrazione è carente di legittimazione passiva" nell’azione.

Il primo giudice, poi, escludeva la esistenza della "lite pendente" che costituiva la ragione per la quale i consiglieri erano stati dichiarati incompatibili ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 63, comma 1, n. 4.

Tale lite era infatti sorta dal ricorso al TAR del Veneto proposto dai consiglieri dichiarati decaduti e da altri avverso delibere del consiglio che avevano approvato una variante al P.R.G. e i bandi di alienazioni di alcuni terreni comunali, atti revocati in autotutela dall’ente locale che, in riconvenzione, aveva chiesto la condanna dei ricorrenti per lite temeraria; cessata la materia del contendere sulla causa principale, il giudizio pendeva solo sulla riconvenzionale.

Avverso tale sentenza era proposto appello dal Comune di Oppeano, che insisteva ancora nella istanza di dichiarare improcedibile il ricorso introduttivo delle controparti, per non essere stato notificato ad esso; era anche censurata la sentenza di primo grado, in ordine alla sussistenza della lite pendente con il comune dei consiglieri decaduti, causa della incompatibilità.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 2532 del 15 dicembre 2011, ha dichiarato inammissibile il gravame per difetto di legittimazione attiva del comune, pur avendone rilevato la improcedibilità, perchè la copia del ricorso in appello dell’ente locale, depositata il 22 agosto 2011 con il decreto di fissazione dell’udienza e ritirata per la sola notifica alle controparti, non risultava ridepositata nei dieci giorni successivi alla notificazione effettuata, con la prova di quest’ultima, ai sensi del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82, comma 3.

Tale ultimo termine, perentorio e a pena di decadenza, risultava essere stato violato per cui il gravame, ai sensi dell’art. 82, comma 5 e dell’art. 82 bis, u.c. del citato D.P.R., era improcedibile (si cita in tal senso Cass. 21 aprile 2008 n. 10546), anche se l’esame di merito dell’impugnazione era precluso, non avendo l’ente locale "un interesse ad intervenire in tale giudizio legato alla tutela della legittimità del provvedimento amministrativo e della correttezza dell’attività amministrativa, che si paventano essere lese dall’eventuale insussistenza della causa di incompatibilità", profili per la cui tutela doveva adirsi il giudice amministrativo (la sentenza impugnata, a pag. 5, cita Cass. 11 dicembre 2007 n. 25946).

In ordine alla domanda proposta dagli appellati di condanna dell’ente locale ai sensi dell’art. 96 c.p.c., la Corte di merito ha ritenuto la stessa rinunciata, avendo i consiglieri reintegrati dedotto la inammissibilità dell’appello e solo insistito nelle loro difese di merito con le conclusioni.

Per la cassazione di tale sentenza, il Comune di Oppeano propone ricorso di otto motivi, notificato il 4 – 5 gennaio 2012, cui resistono i controricorrenti, i quali propongono ricorso incidentale condizionato per la conferma nel merito dell’annullamento deciso in primo grado delle delibere consiliari di incompatibilità e di surroga dei decaduti e eccepiscono la inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., per manifesta infondatezza, con condanna dell’ente locale ai sensi dell’art. 96 c.p.c., u.c..

Motivi della decisione

1. Va anzitutto esclusa la nullità della sentenza impugnata denunciata con il primo motivo del ricorso principale, per non essere stata depositata nei dieci giorni dalla decisione che si è avuta il 24 novembre 2011, ai sensi del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82, u.c..

Il comma 5, di tale norma espressamente prevede la natura perentoria dei termini "di cui sopra", cioè quello di trenta giorni dalla delibera per la impugnazione di essa (commi 1 e 2) e gli altri, di dieci giorni, dalla comunicazione del decreto del Presidente in calce al ricorso introduttivo, per la notifica di questo, e di dieci giorni da tale notificazione per depositare le copie di detti atti in cancelleria.

Non è invece nella norma qualificato "perentorio" il termine di deposito della sentenza (art. 152 c.p.c.) e nessun cenno vi è nella norma alla nullità dedotta nel motivo di ricorso, che sarebbe effetto di un deposito tardivo della sentenza.

Deve quindi rigettarsi il primo motivo di ricorso che chiede di pronunciare la nullità della sentenza per una causa non prevista dalla legge (art. 156 c.p.c.) e, in specie, dal D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 (così, Cass. 19 dicembre 2002 n. 18128).

1.3. I motivi terzo e quarto del ricorso attengono alla questione preliminare di merito del difetto di legittimazione sostanziale del comune nella presente impugnazione della delibera consiliare di incompatibilità dei consiglieri controricorrenti, ai sensi del D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 e il loro esame appare quindi logicamente prioritario.

Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 6 e del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 126, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 82, e segg., e del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, artt. 62, 69 e 70, deducendo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c, per avere negato la legittimazione sostanziale attiva del Comune di Oppeano nel giudizio dinanzi al giudice ordinario sul diritto a permanere nella carica dei consiglieri comunali, ritenendo legittimato il comune solo nel giudizio amministrativo sui provvedimenti e rilevanti per la partecipazione alle elezioni (si cita, sul punto, a pag. 5 della sentenza, Cass. 25 dicembre 2007 n. 25946). Il comune ricorrente non propone la questione di giurisdizione dei giudici aditi nel presente processo, da ritenere peraltro inammissibile per il giudicato implicito sulla stessa (così da S.U. 9 ottobre 2008 n. 24883 a 9 novembre 2011 n. 23306), ma insiste nell’affermare la sua legittimazione nella causa, relativa alla validità delle delibere di decadenza e di surroga adottate da un suo organo, cioè dal consiglio comunale.

Richiamato il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 22, inapplicabile ratione temporis nella fattispecie, per non avere tale nuova norma previsto la necessità della notifica agli eletti del ricorso introduttivo del giudizio, con estensione implicita del potere di partecipare a questo anche al comune interessato al regolare funzionamento dei suoi organi elettivi, l’ente locale afferma che la questione della legittimazione sarebbe stata implicitamente decisa a suo favore, avendo esso regolarmente partecipato al giudizio di prime grado.

Con il quarto motivo di ricorso lo stesso Comune di Oppeano denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, per avere omesso di pronunciarsi sul primo motivo di appello, che aveva censurato la decisione del tribunale per non avere dichiarato improcedibile l’atto introduttivo, proposto in primo grado, solo notiziando l’ente locale della domanda sulla incompatibilità ma senza notificare allo stesso il relativo ricorso introduttivo, ritenendo che la pronuncia su tale punto dell’impugnazione assorbisse i motivi di merito di essa.

Richiamato analiticamente il motivo di appello dell’ente locale, che nega al tribunale ordinario di potere annullare gli atti del consiglio comunale, come le delibere di decadenza e di surroga oggetto di causa, si deduce che, su tale pretesa anche il Comune è legittimato ad agire o resistere, in quanto tali provvedimenti sono ad esso imputabili, per cui l’ente locale poteva resistere alla richiesta del loro annullamento e doveva essere evocato in causa sin dal primo grado.

Ai sensi dell’art. 51 Cost., tutti i cittadini possono accedere alle cariche elettive del comune, secondo i requisiti stabiliti dalla legge per interessi generali meritevoli di tutela costituzionale, come quelli dell’art. 97 Cost., che garantisce il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, principi che potrebbero esser lesi dal comportamento di consiglieri incompatibili a causa di una loro lite pendente con il comune.

Entrambi i motivi di ricorso devono rigettarsi, perchè il Comune non è legittimato ad agire nel giudizio sulla incompatibilità dei consiglieri nell’azione popolare di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82, con la quale qualsiasi cittadino del comune può adire il giudice per accertare la sopravvenuta perdita del diritto di permanere nel consiglio comunale, per il venir meno del diritto di elettorato passivo del consigliere da surrogare con altri candidati nella stessa funzione, mancando ogni interesse dell’ente locale alla individuazione dei cittadini che, in qualità di eletti consiglieri comunali, esercitano poteri di amministrazione e gestione dell’ente locale (Cass. 28 dicembre 2000 n. 16205, 2 novembre 2002 n. 15368, 9 luglio 2003 n. 10776, 7 luglio 2004 n. 12421, 24 luglio 2006 n. 16889 e 11 dicembre 2007 n. 25496, quest’ultima richiamata dalla Corte di merito).

Come affermato da S.U. 16 marzo 2004 n. 5323, con riferimento alla analoga situazione d’incompatibilità del consigliere regionale, l’azione popolare iniziata per sentir dichiarare la illegittimità della delibera di decadenza dalla carica di consigliere, che ha fatto venir meno il diritto a permanere nella stessa di colui che agisce a tal fine, ha come unico contraddittore necessario il primo dei candidati non eletti, in quanto per l’ente gestito dall’organo elettivo non è configurabile un autonomo interesse alla regolare composizione del consiglio comunale non contestata se non in rapporto al singolo candidato di cui si deduce la ineleggibilità anche sopravvenuta e la decadenza dal diritto a coprire la carica.

In rapporto a quanto ora detto va anche rigettato il quarto motivo di ricorso che lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, dalla sentenza impugnata, ritenuta nulla dal ricorrente per non essersi pronunciata sul primo motivo di appello relativo alla improcedibilità del ricorso introduttivo dell’azione in primo grado, per non essere stato notificato al comune che, in quanto non legittimato non aveva titolo ad essere evocato in causa.

Vanno quindi respinti il terzo e quarto motivo di ricorso, che censurano il rilevato difetto di legittimazione ad agire o resistere nel presente giudizio del Comune di Colleano, il cui appello è stato dichiarato inammissibile per tale motivo ritenuto dalla Corte di merito questione preliminare prevalente anche rispetto alìimprocedibilità di cui al secondo motivo di ricorso.

1.3. Tale motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per avere dichiarato "improponibile" il gravame, per il mancato deposito nei termini di cui al D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82, della copia del ricorso in appello, con la prova dell’avvenuta notificazione di esso unitamente al decreto di fissazione dell’udienza.

Il motivo di ricorso censura una statuizione di improcedibilità del gravame della Corte di merito che non vi è, se non in via incidentale, per essere stata ritenuta superata dal rilevato difetto di legittimazione ad agire e dalla connessa inammissibilità dell’appello.

La censura comunque non chiarisce se la notificazione a mezzo posta depositata del ricorso con decreto, era stata già perfezionata anche per i destinatari di essa, alla data del deposito nei termini di legge e non invece all’udienza di discussione, come si afferma in sentenza (pag. 5), con chiara carente autosufficienza sul punto.

Pertanto il secondo motivo di ricorso deve dichiararsi assorbito dal rigetto del terzo e quarto motivo, divenendo irrilevante la censura proposta in ragione della soluzione data alla questione preliminare di merito del difetto di legittimazione dell’ente locale prevalente su ogni altra, come quella della sussistenza o meno della lite pendente, dedotta con il quinto motivo, che resta anche esso superato per essere dedotto da soggetto privo del concreto potere di agire in questo processo.

Altrettanto è a dire per il sesto motivo di ricorso, che censura la sentenza di appello in ordine al motivo di gravame da esso non deciso, contro la sentenza del Tribunale, per il mancato riconoscimento della esimente dalla causa di incompatibilità, avendo i ricorrenti agito nelle azioni al Tar Veneto nell’esercizio delle funzioni di consiglieri comunali e non avendo l’ente locale interesse ad avere in consiglio comunale l’uno ovvero l’altro dei consiglieri parti nella presente causa.

Alla condanna alle spese del Comune di Oppeano nel giudizio dinanzi al Tribunale, e alla omessa riforma sul punto di tale pronuncia in sede di appello, ha riguardo il settimo motivo di ricorso, inammissibile se intende ancora censurare il provvedimento di primo grado per saltum e infondato, se lamenta la mancata riforma della pronuncia di primo grado, che ha regolato le spese correttamente e in base alla regola della soccombenza.

Altrettanto è a dire per l’ottavo motivo di ricorso che censura la disciplina delle spese in secondo grado sulla base della regola della soccombenza.

2. In conclusione il ricorso deve rigettarsi per la infondatezza del primo, terzo e quarto motivo, essendo gli altri motivi assorbiti.

Va respinta anche la richiesta dei controricorrenti di condanna dell’ente locale per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., mancando la prova della mala fede o della colpa grave, e non apparendo opportuno,, per l’oggetto particolare del presente processo, la condanna eventuale della parte soccombente consentita dall’ultimo comma della stessa norma al pagamento di una somma equitativamente determinata, in aggiunta alle spese che si pongono a carico del ricorrente e si liquidano come in dispositivo a favore dei controricorrenti, nulla disponendosi nei rapporti con gli intimati che non hanno resistito in cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e la domanda dei controricorrenti ai sensi dell’art. 96 c.p.c., e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

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