Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-06-2012, n. 9777 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente impugna la sentenza 5.5.2010, n. 679 della Corte d’Appello di Torino che rigettò l’appello avverso la sentenza del locale Tribunale del 8.2.2008, n. 793, così confermando il non accoglimento della sua domanda volta ad accertare l’estinzione dell’obbligazione di pagamento del prezzo di cessione di tabaccheria, intervenuta con la parte venditrice C.. Per l’effetto, e riunendo due cause introdotte avanti a quel tribunale, il primo giudice dispose altresì la revoca di un decreto ingiuntivo opposto, così dichiarando V. tenuto al pagamento in favore di C. della somma di Euro 9.296,25, oltre interessi legali di mora dalla scadenza delle singole rate al saldo, riconoscendo che tale debito era stato nel frattempo pagato; rigettò le domande di restituzione avanzate da V. ed altresì quelle di risarcimento per lite temeraria; infine condannò ancora V. al pagamento delle spese delle due cause, mentre venne dichiarata inammissibile la domanda di C. diretta alla declaratoria della pattuizione del corrispettivo di cessione della tabaccheria secondo la promessa di vendita 27.3.2000.

Con una prima causa (RGN 36155/03) V. convenne in giudizio C. nella pretesa qualità, che chiese fosse accertata, di promissario acquirente di una tabaccheria in (OMISSIS), per il prezzo effettivo iniziale di L. 800 milioni, da corrispondere per 350 all’atto notarile e 450 in 60 rate mensili dal primo mese successivo all’atto, oltre ai fondi vivi (al prezzo di costo e per quanto rinvenuti alla presa di possesso), sulla base della scrittura privata 27.3.2000, ma con l’intesa – da coeva e separata scrittura privata – che le parti in atto pubblico (da redigersi entro il 31.7.2000), per ragioni di risparmio fiscale avrebbero dichiarato la minor somma di L. 450 milioni, oltre fondi vivi (così occultando un sovraprezzo in nero di L. 350 milioni). Dedusse V. che, sopraggiunta la notizia che il locatore non avrebbe rinnovato il contratto relativo al godimento dei muri alla prima scadenza dei 6 anni e nell’impossibilità di conseguire tale continuità dalla controparte (cui l’aveva contestato), le parti avrebbero concluso una modifica al loro accordo, incidente sui soli relativi termini reali, cambiando il prezzo da L. 800 a 500 milioni, cioè una mera differenza di L. 50 milioni rispetto al patto reso pubblico, con assegno bancario corrispondente dato in garanzia. Addivenuti all’atto definitivo il 6.7.2000 sul prezzo di L. 522.780.135, di cui L. 450 milioni di avviamento e attrezzature (da saldare in 60 rate mensili) ed il resto per fondi vivi da saldare in tre rate, il V. avrebbe poi accondisceso ad anticipare, come richiestogli, parte del prezzo rateale, così pagando L. 298 milioni il 7.7.2000, oltre alla somma di L. 50 milioni (riacquisendo l’assegno di garanzia) e poi il 19.7.2002 la somma di L. 493.280.000, mentre, a fronte della ricevuta disdetta per il 31.7.2003 circa la locazione dei muri, comunicava la propria sospensione dei pagamenti rateali mensili per la differenza di L. 29 milioni, ricevendo decreto ingiuntivo (chiesto) dal C. con precetto per Euro 61.820,32, cioè computato dall’ingiungente quanto alle rate non pagate sino ad ottobre 2002 (Euro 54.254,65), interessi e spese (Euro 7.565,67). V., evitando il pignoramento e facendo opposizione, pagò però l’importo precettato, ritenendosi creditore per la differenza di Euro 39.277,40 (diminuito il credito del precetto delle rate sospese) oltre agli accessori. Nel costituirsi avanti al tribunale, C. sostenne che il contratto di locazione 8.10.1997 era stato trasferito al V. insieme all’azienda, che non sussisteva volontà di risoluzione del locatore e che nessun accordo tra le parti era intervenuto circa la riduzione del prezzo, così fissato nelle iniziali L. 800 milioni, oltre ai fondi vivi, riconoscendo che V. aveva corrisposto 298 milioni in acconto, ed altri, per un complessivo di L. 473.280.000 e in corso di giudizio la avvenuta percezione di L. 20 milioni e la conseguente diversa posizione debitoria e non creditoria di V..

In un secondo giudizio (RGN 3565/04) V. propose opposizione avverso l’ulteriore decreto ingiuntivo 16.12.2003 notificatogli da C. per Euro 54.228,02, oltre interessi di mora e spese, per le 14 rate di prezzo (ciascuna Euro 3.873,43) non pagate da novembre 2002 a dicembre 2003. Per la richiesta revoca V. invocava le stesse eccezioni di adempimento ed indebito di cui alla prima causa, oltre alla malafede di C..

Ritenne invero il tribunale che, alla data del 19.7.2002 V. avesse corrisposto a C. L. 543.280.000, a fronte di un minor impegno di L. 252.780.135 per la scrittura privata autenticata 6.7.2000, e tuttavia potendosi, da un lato, presumere una simulazione di prezzo (accertata incidentalmente) conforme alle previsioni della scrittura iniziale 27.3.2000 e, dall’altro, escludere il sopravvenuto intervento di un accordo diminutivo del prezzo, essendo provata la volontà delle parti diretta a concludere la cessione per L. 800 milioni oltre ai fondi vivi, per un corrispettivo in Euro 450.753,32.

Tale importo sarebbe stato saldato da V. per Euro 254.757,86 (L. 493.280.000), ammessi da C.; Euro 26.855,76 (L. 52 milioni) in contanti il 7.7.2000; e poi Euro 54.254,65 tra il 17 febbraio ed il 31 marzo 2003 ai sensi del decreto ingiuntivo opposto in causa RGN 12078/02 (un terzo giudizio, non riunito agli altri), per un totale di Euro 335.868,27 rispetto ad un maggiore dovuto di Euro 377.158,21 (cioè Euro 218.347,71 per prezzo occultato al fisco e fondi vivi oltre a Euro 158.810,5 per le 41 rate da agosto 2000 a dicembre 2003). Così, nella causa RGN 3565/04 C. era rimasto creditore per Euro 9.296,25, oltre accessori, con estinzione però avvenuta con pagamenti nel 2006.

V. appellava la pronuncia di primo grado, dolendosi che: a) la pattuizione negoziale fra le parti doveva ricavarsi solo dal contratto definitivo e dunque, nella specie, dovendosi circoscrivere il prezzo a L. 500 milioni; b) vi era stata infatti riduzione oggettiva e documentata del prezzo rispetto alla controdichiarazione;

c) sussistevano l’intento del locatore di rientrare nel possesso dei locali e la necessità finanziaria di C., fattori idonei a giustificare l’accordo di riduzione del prezzo; d) vi era stata imputazione dell’acconto di L. 298 milioni al nuovo prezzo di 450 milioni e non al vecchio, cioè alla sua parte in nero; c) diverso era il computo del saldo in base al successivo accordo ed ai pagamenti intervenuti. C. chiedeva confermarsi la decisione.

La corte d’appello riconobbe innanzitutto, per quanto ancora qui di interesse, che pur dovendosi in generale ascrivere forza vincolante alla pattuizione definitiva, che promani da una progressività negoziale del tipo contratto preliminare-contratto definitivo, ciò non toglie che quest’ultimo possa risultare simulato ai sensi dell’art. 1414 cod. civ., anche se nella fattispecie rilevò la sussistenza di una controdichiarazione – in forma di scrittura ulteriore, una lettera – attestante la simulazione del solo elemento del prezzo del definitivo. Nè acquisì rilievo la circostanza che la controdichiarazione fosse intervenuta in un momento anteriore al definitivo, solo contando, ai fini della sua efficacia probatoria, il permanere dell’accordo simulatorio fino alla stipula del definitivo.

Da un lato allora V. non negò l’accordo simulatorio ma solo sostenne che avanti al notaio le parti si sarebbero accordate su un prezzo ridotto, dall’altro eccepì, nelle note di replica alla conclusionale in appello, la nullità di detto accordo simulatorio perchè in frode al fisco, cui replicò la sentenza osservandone la tardività e l’irrilevanza, non sottacendo la simulazione l’illiceità del contratto stesso e semmai reagendo solo sul piano della libertà di prova, senza comunque che di un’eventuale illiceità potesse giovarsi V..

La corte d’appello rilevò che V. non riuscì a dare la prova di un patto aggiunto e contrario all’accordo simulatorio scritto, non essendo stato dimostrato il fatto del mancato rinnovo della locazione a giustificazione della invocata riduzione di prezzo, nemmeno potendosi inferire tale conclusione dalla assunta (in primo grado) prova per testi, per quanto dubitabile ne sia la ammissibilità ove diretta ad infrangere la controdichiarazione, comprovata, tra le parti, documentalmente. La sentenza impugnata negò ogni concludenza alle dichiarazioni orali rese ed anzi ricostruì in senso contrario l’inesistenza di una volontà manifestata dalla società locatrice dei muri di dare disdetta alla prima scadenza del contratto in cui sarebbe subentrato V., essendo emerso che tale volontà di non rinnovo intervenne per la prima volta due anni dopo la stipula della cessione aziendale (2002) e che l’occupazione rimase in essere in fatto fino al 2009. La pronuncia evidenziò altresì la coerenza dei pagamenti, sin dal primo, quali indici confermativi della sussistenza del patto sul prezzo originario non modificato dalle parti, corrispondendo quanto pagato da V. alla stipula del definitivo – L. 350 milioni – alla somma che le parti avevano concertato di occultare all’imposizione fiscale. E pari significato confermativo potendo essere attribuito alle rate successive, per importi identici a quelli del preliminare interpretato alla luce della controdichiarazione e non del definitivo. La rilevante percentuale di riduzione sul prezzo iniziale – il 40% – che alfine C. avrebbe accettato nemmeno venne dimostrata, secondo i giudici torinesi, alla luce della dedotta necessità di finanza da parte del cedente l’azienda, in quanto asseritamente divenuto, a distanza di così poco tempo dal preliminare (4 mesi), nella necessità di incassi anticipati ed inferiori tali da compromettere l’utilità stessa dell’operazione, ma sulla base di circostanze prive di prova.

Ne derivava la correttezza della contabilizzazione dei pagamenti ricostruiti.

Il ricorso è affidato a quattro motivi e resistito con controricorso; il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1418 e 1419 cod. civ. e D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 62 TUIR ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, contestandosi il giudizio di tardività dell’eccezione di nullità della clausola relativa al prezzo della cessione d’azienda quale ritenuta in appello, trattandosi di rilievo sempre possibile ed anche d’ufficio;

la contraddittorietà della motivazione si desumerebbe invece dalla qualificazione siccome essenziale dell’unico elemento simulato (il prezzo della cessione) ed al contempo escludendosi la nullità per frode fiscale del contratto, che sopravviverebbe per le pattuizioni della controdichiarazione a prezzo maggiore e non a quello ridotto.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 2697 cod. civ. in tema di onere probatorio e degli artt. 115 – 116 cod. proc. civ. ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, contestandosi che la sentenza avrebbe mancato di dare adeguato rilievo al principio per cui è la parte che invoca l’accordo simulatorio a doverlo provare.

Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., comma 1 e dell’art. 1414 cod. civ., nonchè degli artt. 115-116 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver male ricostruito la sentenza impugnata i fatti successivi, intercorsi fra le parti dopo la stipula del preliminare di cessione della tabaccheria e della controdichiarazione.

Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 1362 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, contestandosi che il comportamento delle parti, coevo e successivo alla stipula della cessione per atto di notaio, l’evoluzione della situazione immobiliare relativa ai locali della medesima locatrice proprietaria e le necessità di liquidità del C. non siano stati analizzati correttamente in sentenza.

La controricorrente avversa la domanda ritenendo inammissibile il ricorso, perchè volto ad una mera rivalutazione dei fatti, riservata al giudice del merito e comunque respingendo, perchè infondati, tutti i motivi.

1. Il primo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Ritiene preliminarmente il Collegio doversi dichiarare l’inammissibilità della memoria, depositata dal ricorrente ai sensi dell’art. 387 cod. proc. civ., laddove essa consiste, nell’ambito di una generalizzata riproduzione dei motivi di censura già esplicitati in ricorso avverso la sentenza impugnata, nella inserzione in tale atto di copie di documenti (da pag. 7 a 9), così violandosi il divieto di cui all’art. 372 cod. proc. civ. (Cass. 7515/2011;

26784/2011). Ritiene altresì il Collegio che la sentenza impugnata abbia dato conto in modo coerente e logico della natura simulata dell’atto di cessione aziendale redatto in veste pubblica, ricostruendo la conformità degli atti solutori successivi alle sequenze ipotizzate nella scrittura privata accessoria e coeva al c.d. preliminare di cessione, da considerare alla stregua di vera e propria controdichiarazione. Il ricorrente non ha identificato con precisione la ratio decidendo della sentenza che, sul punto della nullità della clausola contrattuale per contrarietà alle norme imperative fiscali, si è limitata, pur predicandone la tardività (in quanto oggetto di eccezione solo in sede di "note di replica a conclusionale"), ad esaminare in realtà anche tale difesa, valutandola infondata in virtù della diversa regola – concretamente applicata – concernente la sopravvivenza del contratto, in generale, qualora affetto da simulazione per finalità elusive di natura tributaria. Tale conclusione non si presta a condivisibile censura, dovendosi dare continuità all’indirizzo per cui "Le pattuizioni contenute in un contratto che siano dirette ad eludere, in tutto o in parte, la normativa fiscale, non implicano di per se la nullità del contratto stesso, trovando nel sistema tributario le relative sanzioni." (Cass. 4785/07; 4024/81; 6155/79).

Il principio supera le ulteriori obiezioni del motivo, per il resto del tutto generiche ove si contrappone alla controdichiarazione scritta, pacifica, anteriore all’atto di cessione ma essa stessa del tutto autonoma – per requisiti di prova – rispetto al preliminare di cessione, una pretesa pattuizione medio tempore intervenuta, per la quale la ricorrente non ha però specificamente individuato il "il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo" (Cass. 2805/11).

2. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo vanno esaminati congiuntamente: essi sono in parte inammissibili, ove trascurano di considerare che la sentenza impugnata ha positivamente dato conto del comportamento delle parti, coevo alla stipula del definitivo e successivo ad essa, realizzativo dell’intento della scrittura prevedente l’accordo simulatorio ed infondati laddove, contestando la correttezza dell’acquisizione probatoria e la concludenza del significato ad essa ascritto dal giudice di merito, non censurano le puntuali motivazioni della corte d’appello, per la quale, desunta la volontà simulatoria dalla scrittura collaterale 27.3.2000, sarebbe stato onere della parte che la negava – che cioè avversava la permanenza di detto accordo simulatorio fino alla stipula del definitivo, condizione di efficacia della controdichiarazione del tutto compatibile con la sequenza cessione preliminare di azienda- cessione definitiva – dare la prova di un patto aggiunto e contrario.

Al fine di determinare il contenuto delle clausole contrattuali, se è vero infatti che "occorre far capo al contratto definitivo che assorbe nel regolamento d’interessi attuato dalle parti le convenzioni preliminari e le trattative contrattuali, togliendo ad esse efficacia e dettando l’unica disciplina dei rapporti, il giudice del merito al predetto fine deve tener conto anche della eventuale controdichiarazione al contratto definitivo che è idonea, sussistendo gli altri requisiti di legge (art. 1414 cod. civ.) a togliere efficacia allo stesso contratto definitivo, ed ad indicare l’oggetto del contratto realmente voluto dai contraenti come i termini e le condizioni delle obbligazioni rispettivamente pattuite." (Cass. 464/83), operando detto principio, nella specie, in relazione alla protratta vigenza obbligante non del preliminare di cessione, bensì della scrittura ad esso collaterale ed indicante un futuro regolamento negoziale di veste pubblica da attuare in modo diverso, cioè simulandone il solo prezzo. Ciò provato, la ulteriore prova di una modifica della controdichiarazione, rinviante alla dimostrazione di un evento esterno al contratto – il prospettato mancato rinnovo della locazione muraria e la sopravvenuta esigenza di liquidità del cedente l’azienda – tale da introdurre una premessa giustificativa della predetta contropattuizione, non risulta raggiunta: sia per la argomentata non concludenza delle deposizioni testimoniali pur assunte – del tutto generiche ed ambigue ed anzi positivamente valorizzate dalla sentenza impugnata a comprova della esclusione dei predetti fatti – sia per la debolezza del quadro istruttorio orale (comunque riflettente solo elementi presuntivi) rispetto alla maggiore univocità del tenore del programma negoziale scritto menzionato, sia infine per la convincente coerenza dei pagamenti del V. a C. se raffrontati all’accordo simulatorio, avendo dato la sentenza, per tutte tali circostanze, adeguata e logica rappresentazione motivazionale, senza contraddizioni e dunque finendo i motivi per risolversi altresì, ancora inammissibilmente, nella proposta di una motivazione diversa (Cass. 10554/10; 22536/07).

Il ricorso va dunque rigettato. Quanto al regolamento delle spese, se ne dispone la liquidazione, nella misura indicata in dispositivo, secondo le regole della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente Vicino s.p.a.

alle spese del giudizio di cassazione in favore del contro ricorrente, che si liquidano in Euro 6.200,00, di cui 6.000,00 per onorari e 200,00 per spese, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

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