Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-06-2012, n. 9773

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 16 giugno 2000, D.V. C. conveniva in giudizio la Banca Intesa s.p.a., della quale chiedeva la condanna al risarcimento del danni, quantificati in L. 300.000.000, da lui subiti a cagione dell’illecito protesto elevato ad un assegno, tratto su un suo conto corrente; chiedeva, altresì, a condanna della Banca a far pubblicare a sue spese, sul Bollettino del Protesti, la rettifica, vinte le spese di lite.

Deduceva, all’uopo, che l’istituto di credito aveva fatto elevare il protesto di un suo assegno dell’importo di L. 10.000.000 con la motivazione "per altri motivi" sebbene tratto su conto già chiuso e con sottoscrittura apocrifa, e facente parte di un carnet denunziato smarrito.

Si costituiva la Banca che chiedeva il rigetto della domanda perchè infondata.

Dopo l’interruzione del processo per la fusione per incorporazione della Banca Intesa con la Cariplo, il procedimento era ritualmente riassunto; si costituiva la nuova società, che chiedeva il rigetto della domanda.

Su ricorso di urgenza proposto dall’attore, e sulla scorta di un parere grafico, il giudice disponeva la pubblicazione della rettifica dell’annotazione del protesto, contenente, quale ragione giustificativa dello stesso, la dicitura "firma apocrifa".

Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 1593/05 resa il 18 gennaio/14 febbraio 2005, rigettava a domanda risarcimento del danni, confermava il provvedimento cautelare emesso e compensava tra le parti le spese di giudizio.

Interponeva gravame il D.V. che chiedeva, in riforma dell’impugnata sentenza, e previa ammissione delle prove, già richieste nella memoria ex art. 184 c.p.c., dichiararsi illegittimo il protesto per la responsabilità della Banca convenuta; per l’effetto, ne chiedeva la condanna al risarcimento di tutti i danni da lui subiti, indicati in Euro 154.936,07, ovvero nella somma minore o maggiore ritenuta equa; con vittoria di spese ed onorari del doppio grado di giudizio.

Si costituiva la s.p.a. Banca Intesa che chiedeva il rigetto del gravame, il rigetto delle richieste istruttorie.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 12.11.09, rigettava l’appello rilevando che il D.V. non aveva provato di avere informato la banca dello smarrimento e che, comunque, il protesto "per altri motivi" non era stato causa di danni.

Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il D.V. sulla base di cinque motivi.

La Banca Intesa spa ha resistito con controricorso illustrato con memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere inammissibile – o, comunque, non proponibile – l’istanza dell’appellante volta ad ottenere l’ammissione – in grado di appello – delle prove rigettate dal Giudice di prime cure.

Con il secondo motivo lamenta che la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla questione, alla stessa evidenziata, secondo cui la correzione della ragione giustificatrice della levata del protesto, disposta dal Tribunale in via d’urgenza e poi confermata con sentenza, avrebbe implicitamente riconosciuto il protesto foriero dei danni lamentati.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, oltre al vizio di motivazione, in quanto la Corte territoriale, avrebbe errato nell’applicare l’art. 1227 c.c. o, comunque, non avrebbe adeguatamente motivato sull’applicazione di tale articolo.

Con il quarto motivo di impugnazione, lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1218 e 2697 c.c., nonchè il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe errato nel ritenere la banca esente da responsabilità, in quanto, da un lato, la stessa era stata avvisata dal D.V. dello smarrimento del carnet di assegni e, d’altro lato, comunque la firma apposta sull’assegno era apocrifa.

Con il quinto ed ultimo motivo, lamenta la ricorrenza di un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso o decisivo per il giudizio. Secondo il ricorrente, nonostante il danno lamentato dal sig. D.V. fosse stato in re ipsa, fa Corte di Appello non avrebbe adeguatamente motivato sul punto.

Il primo motivo è inammissibile.

Invero la Corte ha rigettato l’ammissione delle prove richieste sulla base di una duplice ratio decidendi: la prima basata sull’osservazione che la richiesta non era stata reiterata in sede di comparsa conclusioni e la seconda sulla considerazione che avendo il giudice di prime cure rigettato implicitamente le prove richieste il ricorrente nulla aveva dedotto ed argomentato per dimostrare la rilevanza della prova e la sua incidenza sul thema decidendum.

Tale seconda ratio, che di per sè è idonea a sorreggere la decisione, non risulta impugnata onde il motivo è inammissibile.

Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso, tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

I motivi in esame pongono sotto profili diversi le questioni, sovente tra loro intrecciate, se l’avere indicato nel protesto la causale "altri motivi" anzichè "firma apocrifa" costituisse o meno fonte di illecito e di responsabilità per la banca e se da tale erronea indicazione fosse scaturito un danno per il ricorrente.

Quanto alla prima questione, va anzitutto osservato che la sentenza impugnata conferma proprio nelle sue ultimissime righe che il titolo protestato recava per errore la dizione "motivi diversi – altri motivi" anzichè quella "firma apocrifa", "come giustamente rilevato dal giudice che ha ordinato la modifica della dicitura".

In ragione di siffatto accertamento la sentenza impugnata non ha escluso la responsabilità della banca per l’erronea dizione del protesto.

La parte della sentenza con la quale è stata, infatti, rilevata la negligenza del comportamento del ricorrente consistita nel non avere riconsegnato il libretto degli assegni alla banca dopo la chiusura del conto e non avere successivamente comunicato alla banca l’avvenuta denuncia di smarrimento, è volta non già ad escludete l’illiceità del comportamento della banca, ma semplicemente ad affermare che questa aveva legittimamente elevato il protesto senza peraltro entrare nel merito della erronea qualificazione delle ragioni dello stesso.

In tal senso a pagina 5 della sentenza, al termine del citato excursus, la sentenza recita "a fronte di una richiesta di pagamento di quel titolo la banca non poteva non protestarlo essendo questo un atto dovuto per la tutela dei terzi giratori. Pertanto correttamente la Banca l’ha fatto elevare. Su tale necessità, peraltro ha concordato anche l’appellante che si è doluto allora della motivazione del protesto che gli avrebbe cagionato un danno".

La Corte d’appello dunque ha riconosciuto la legittimità della elevazione del protesto senza escludere che l’erronea elevazione dello stesso con dicitura difforme da quella dovuta potesse dar luogo ad una possibile responsabilità della banca.

Alla luce di tale interpretazione della sentenza risultante da una attenta lettura della stessa risulta l’infondatezza e, per diversi aspetti, l’inammissibilità del secondo, del terzo e del quarto motivo poichè gli stessi, non avendo tenuto conto dell’effettiva motivazione della sentenza avanzano delle censure che non colgono l’effettiva ratio decidendi.

In particolare, il terzo motivo fa riferimento ad una presunta omessa motivazione in ordine all’art. 1227 c.c., che non si rinviene affatto nella sentenza poichè questa, laddove ha fatto riferimento al comportamento negligente del D.V., lo ha fatto allo scopo di accertare la regolarità del protesto e non già per affermarne la esclusiva responsabilità al fine di escludere quella della banca.

Ciò trova conferma nei passaggi finali della sentenza ove, riconosciuta la illegittimità del comportamento della banca, si passa a verificare se da detto comportamento fossero derivati danni al ricorrente. Se infatti in precedenza la sentenza avesse affermato la responsabilità esclusiva dell’accaduto in capo al ricorrente, non sarebbe stato necessario passare a verificare se l’erroneo protesto avesse determinato o meno un danno al D.V..

La motivazione fornita è la seguente: "In primis, va rilevato che il protesto cambiario integra solo un pericolo di danno e merita, ancora, di essere rilevato che, dalla lettura della documentazione prodotta emerge che la motivazione del protesto come risultante dall’apposito bollettino è "motivi diversi – altri motivi" escludendosi, dunque la mancanza di fondi che rappresenta l’emissione di assegni a vuoto. Ed allora non si vede quale sia la responsabilità della banca o, comunque, quale danno possa avere ricevuto l’appellante dall’errata motivazione del titolo che, invece di motivi diversi avrebbe dovuto essere protestato per firma apocrifa".

In sostanza, la Corte d’appello ha escluso l’esistenza di un danno in capo al ricorrente rilevando che la dizione "motivi diversi – altri motivi" faceva escludere che il protesto fosse avvenuto per mancanza di fondi, ipotesi che si riferisce all’emissione di assegni a vuoto, e che pertanto era irrilevante che non si fosse usata la corretta dizione "firma apocrifa".

La motivazione è certamente sintetica ed involuta, ma comunque il senso della stessa è chiarissimo. La Corte d’appello ha in sostanza ritenuto che mentre la dizione "mancanza di fondi" avrebbe proiettato verso i terzi una immagine negativa del ricorrente ed a lui pregiudizievole poichè questi sarebbe risultato avere emesso un assegno a vuoto, la diversa dizione "motivi diversi", data la sua genericità ed indeterminatezza, non era in grado di proiettare tale ombra negativa sul ricorrente e che la stessa poteva ritenersi, quanto all’effetto esterno, sostanzialmente equivalente alla formula "firma apocrifa".

Tale motivazione appare sostanzialmente corretta.

Va rammentato che la circolare 30 aprile 2001 del Ministero dell’Industria, contenente l’elenco delle causali di rifiuto di pagamento dei titoli bancari (formulato tenendo conto del D.Lgs. n. 507 del 1999, che ha modificato la L. n. 386 del 1990 recante la "Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari" e, della elaborazione giurisprudenziale formatasi in materia nonchè della prassi operativa seguita dalle banche e dai pubblici ufficiali), così come gli elenchi redatti dallo stesso Ministero in precedenza, contengono una elencazione delle diverse possibili voci di protesto a seconda delle diverse ipotesi ed indicano altresì, in relazione a ciascuna di esse, il soggetto a carico del quale deve essere elevato il protesto.

Tali elenchi riportano alla fine una ultima voce, indicata come "altri motivi", che riguarda possibili ipotesi non incluse nelle precedenti voci, e, a titolo esemplificativo, viene indicato il decesso del correntista che non avrebbe quindi potuto emettere l’assegno.

Ciò posto, va osservato che l’elevazione di un protesto con l’indicazione di una voce dell’elenco non appropriata costituisce una violazione di regole amministrative ma può in certe condizioni integrare anche un illecito civile fonte di responsabilità.

Bisogna a tale proposito rilevare che le diverse causali indicate per l’elevazione dei protesti implicano ipotesi molto diverse: alcune che escludono qualsiasi responsabilità del protestato, altre che invece evidenziano un comportamento negligente ed in alcuni casi illecito dello stesso.

E’ evidente che il pregiudizio che il protestato riceve dal protesto e dalla sua pubblicazione è diverso in ragione delle diverse causali dello stesso. Come si è detto, in alcuni casi il pregiudizio in esame può essere nullo se le ragioni del protesto escludono ogni sua responsabilità, come, ad esempio, nel caso di un assegno smarrito o sottratto che sia stato emesso con la firma di un soggetto diverso mentre, in altri casi, il pregiudizio può essere molto grave come nell’ipotesi di un assegno emesso per mancanza di fondi attestante una attività illecita del protestato.

Nel caso in cui venga indicata erroneamente una causale di protesto in luogo di un’altra non necessariamente ciò può costituire fonte di danno per il soggetto protestato con una erronea dizione.

Bisogna, infatti, distinguere se la dizione erroneamente applicata preveda una ipotesi più grave o meno grave a carico del protestato rispetto a quella effettivamente applicata.

Nel primo caso il responsabile o i responsabili dell’erroneo protesto sono tenuti a rispondere del pregiudizio arrecato al protestato mentre nel secondo casi tale pregiudizio deve escludersi. Ad esempio, se in una ipotesi in cui il protesto doveva essere elevato perchè l’assegno risultava emesso dal correntista in data posteriore a quella in cui aveva avuto effetto la comunicazione di recesso alla banca dall’intero conto corrente (il ed "conto estinto"), ed invece è stato elevato con la dizione assegno, dotato di copertura, emesso da un correntista che ha impartito alla banca l’ordine di non pagare prima della scadenza del termine di presentazione (c.d. "assegno revocato"), è evidente che il protestato non potrà accampare alcuna ragione di danno poichè l’ipotesi di assegno revocato, lasciando sottendere giuste ragioni per cui il titolare del conto ritiene di non dar corso al pagamento, non rappresenta verso i terzi di regola un comportamento illecito mentre ben diversa è l’ipotesi di chi, dopo aver chiuso il conto, continua ad emettere assegni il cui incasso è divenuto ormai impossibile.

Ovviamente nell’ipotesi inversa ben a ragione il protestato potrà invocare di aver subito un pregiudizio.

Venendo al caso di specie, la Corte d’appello ha sostanzialmente ritenuto che l’erronea dizione "motivi diversi" non fosse causa di pregiudizio per il ricorrente rispetto alla dizione corretta "firma apocrifa".

Trattasi di una valutazione di merito che appare corretta e, come tale, non sindacabile in questa sede di legittimità.

Dalla motivazione fornita dal giudice di seconde cure – come già detto estremamente sintetica ed involuta – può dedursi che il detto giudice ha stimato che la dizione "motivi diversi" fosse del tutto neutra ed indeterminata e, come tale, non in grado di proiettare all’esterno alcuna rappresentazione negativa a carico del protestato o, quanto meno, non più negativa di quello risultante dalla dizione firma apocrifa.

Invero tale ultima dizione presenta un certo margine di ambiguità.

Se infatti la dizione firma apocrifa è associata ad altra causale, quale, ad esempio, assegno smarrito (causale che non fu possibile aggiungere al protesto per cui è causa perchè il giudice di seconde cura ha accertato non essere stato provato che la denuncia di smarrimento era stata comunicata alla banca), è evidente che da tale dizione del protesto si deve escludere, di regola, un comportamento illecito del traente posto che deve presumersi che, a seguito dello smarrimento, qualcuno si sia impossessato dell’assegno e lo abbia abusivamente riempito falsificando la firma del titolare del conto.

Se invece la dizione è unicamente firma apocrifa, essa può prestarsi anche ad una valutazione negativa del soggetto che ha emesso l’assegno essendo possibile ipotizzare che questi, rimasto in possesso dell’assegno, abbia voluto non pagare quanto dovuto alterando artatamente la propria firma.

In conclusione quindi il ricorso va rigettato. La novità della questione giustifica la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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