Cass. civ. Sez. III, Sent., 14-06-2012, n. 9730 Responsabilità civile per ingiurie e diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto del febbraio 1999 C.M. ha convenuto in giudizio, innanzi al pretore di Bologna, L.L., T.M. e la Nuova Sardegna s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni – da liquidarsi in lire 40 milioni – patiti da esso attore a seguito delle pubblicazioni di contenuto diffamatario apparse nei numeri del 12 e 13 marzo 1992 del quotidiano La Nuova Sardegna.

Ha riferito l’attore che il 12 marzo 1992 nella prima pagina di tale quotidiano, sotto il titolo "Uno bianca diciannove arresti", si dava notizia di una operazione di polizia eseguita dai C.C. di Bologna e, nella settima pagina, in un articolo firmato dalla T., si riportavano frasi indicanti che i diciannove arrestati – fra i quali esso attore C.M. – facevano parte di una organizzazione criminale sospettata di essere artefice anche dei delitti della uno bianca indicando i reati contestati di omicidio, rapina, detenzione e porto d’armi, spaccio di stupefacenti, mentre in realtà esso concludente era stato arrestato esclusivamente per detenzione di stupefacenti.

Il 13 marzo – ha esposto ancora l’attore – lo stesso quotidiano aveva qualificato gli arrestati banda di balordi, in maggioranza, tossicodipendente, teppisti di quartiere.

Costituitisi in giudizio sia il L. che la Nuova Sardegna hanno eccepito in primis, la prescrizione, in secondo luogo, la infondatezza della domanda attesa la inesistenza della diffamazione e il corretto uso del diritto di cronaca basato su informazioni provenienti dai C.C. e da un dispaccio dell’ANSA. A tale giudizio sono stati riuniti altri, proposti dallo stesso C. – di analogo contenuto – nei confronti sia di D.L. M., T.M. e Finegil Editoriale s.p.a. (per articoli apparsi sulla Tribuna di Treviso, il Mattino di Padova e la Nuova Venezia), sia di G.G., T.M. e la S.E.C. s.p.a. (per articoli apparsi sul quotidiano La Provincia di Cremona) sia P.C., T.M. e Finegil Editoriale s.p.a.

(per articoli sul quotidiano Il Centro di Pescara) sia, infine, di B.P., T.M. e SEA s.p.a. e EAG s.p.a. (per articoli sul quotidiano Corriere Adriatico) , giudizi nei quali, i convenuti D.L., T., Finegil, SEA e EAG nel resistere alle avverse pretese avevano tutti eccepito la intervenuta prescrizione mentre erano rimasti contumaci i convenuti G., B. e P., direttori responsabili.

Svoltasi la istruttoria del caso il tribunale di Bologna con sentenza 20 giugno 2002 per il procedimento inizialmente promosso (798/99 R.G.) ha condannato tutti i convenuti in solido al pagamento di Euro 15 mila a titolo di danno morale e altrettanto a titolo di riparazione, oltre al danno per ritardo nella misura del 7,50%, mentre nella cause 887, 1234, 1235 e 853 del 1999 (R.G.) ha condannato i convenuti, pure in solido, all’identico danno e a Euro 10 mila per dovuta riparazione. Detta sentenza ha condannato altresì la EAG s.r.l. a manlevare la s.p.a. SEA ogni condanna.

Impugnata tale pronunzia da T.M., L.L., la Nuova Sardegna s.p.a., EAG s.p.a., Finegil Editoriale s.p.a. nonchè da D. L.M., nel contraddittorio di C.M. che – costituitosi in giudizio – ha chiesto il rigetto della proposta impugnazione, nonchè di B.P., G.G., P.C. e SEA s.p.a., rimasti contumaci, la Corte di appello di Bologna con sentenza 18 aprile 2008 – 13 luglio 2009, in accoglimento dei proposti appelli ha dichiarato estinto per prescrizione il diritto al risarcimento del danno chiesto nei confronti degli appellanti da C.M., compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 13 ottobre 2010 e date successive C. M., affidato a 3 motivi.

Resistono con distinti controricorsi da un lato la Finegil Editoriale s.p.a. e T.M., dall’altro T.M., L.L. e la Nuova Sardegna. I controricorrenti hanno depositato, altresì, memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Dal testo degli articoli incriminati – hanno evidenziato i giudici di secondo grado – appare molto problematico attribuire all’articolista e alle società editrici nonchè ai direttori dei giornali, responsabilità per diffamazione per la sola citazione di C.M., senza alcun rilievo, in un elenco di persone arrestate, e con la generica indicazione derivante dalla pubblicità data dai carabinieri operanti, della sua compromissione con una banda di malfattori.

La questione di merito in senso stretto – peraltro – hanno sottolineato quei giudici – è inficiata dalla eccezione di prescrizione sollevata in primo grado da tutti gli attuali appellanti, atteso che si deve escludere che il riconoscimento per gli illeciti lamentati sia soggetto a prescrizione decennale.

La difesa del C. – ha osservato ancora la sentenza impugnata – ha eccepito la esistenza di fatti interruttivi costituiti da atti di messa in mora contenuti in missiva inviata alla T. e agli editori, ma la natura di tali atti è contestata dagli appellanti che in essi non ravvisano espressione di reciproca volontà di far valere il proprio diritto nè specifiche pretese risarcitoria.

"Non essendovi la possibilità di verificare il contenuto di quegli atti a causa del mancato deposito del fascicolo di parte C. – ha concluso la propria indagine la Corte di appello – la Corte non può che ritenere intervenuta la estinzione del diritto al risarcimento per prescrizione".

2. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza sopra riassunta denunziando art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 5. Violazione e falsa applicazione di norma di diritto (art. 2947 c.c.) erronea, applicazione del termine quinquennale di prescrizione nel caso di fatto reato non penalmente perseguito per mancanza di querela indipendentemente dalla durata del termine di prescrizione previsto per la fattispecie incriminatrice, atteso il non equivoco principio di diritto – nella specie disatteso dai giudici del merito – affermato dalla più recente giurisprudenza, anche a sezioni unite di questa Corte regolatrice.

Trattandosi di fatto – reato (diffamazione e mezzo stampa con l’attribuzione di fatti determinati) punito con pena massima di sei anni – invoca il ricorrente – al momento della sua commissione il termine prescrizionale previsto dal codice penale era stabilito in dieci anni.

3. Il motivo è manifestamente infondato.

Giusta la giurisprudenza di questa Corte invocata dalla stessa difesa del ricorrente, qualora l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche per difetto di querela, all’azione risarcitoria si applica l’eventuale più lunga prescrizione prevista per il reato (art. 2947 c.c., comma 3, prima parte) perchè il giudice, in sede civile, accerti incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi (Cass., sez. un., 28 novembre 2008, n. 27337).

Pacifico quanto sopra è palese che perchè possa applicarsi il maggior termine di prescrizione previsto dall’art. 2947 cod. civ., comma 3, non è sufficiente – contrariamente a quanto del tutto apoditticamente si invoca in ricorso – che l’attore abbia dedotto l’esistenza – in astratto – di un fatto reato, ma è indispensabile – altresì che il giudice del merito "accerti incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto- reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi".

In particolare, nella specie, i giudici del merito:

– non solo hanno accertato – in linea di fatto – con statuizione in alcun modo adeguatamente censurata da parte del ricorrente come precisato infra in sede di analisi del terzo motivo di ricorso che "appare molto problematico attribuire .. responsabilità per diffamazione per la sola citazione di C.M., senza alcun rilievo, in un elenco di persone arrestate e con la generica indicazione, derivante dalla pubblicità data dai carabinieri operanti, della sua compromissione in una banda di malfattori" negando – in buona sostanza – che sia stata raggiunta la prova della fondatezza, in fatto, della domanda azionata;

– ma hanno, altresì, sempre in fatto, escluso che gli appellanti dovessero rispondere della attribuzione di un fatto determinato (si sensi della L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 13) atteso che "l’unico fatto determinato attribuito certamente al C. era quello del suo arresto, ma ciò era perfettamente lecito pubblicare" trattandosi di notizia data dai C.C..

Deve – conclusivamente – escludersi a prescindere da ogni altra considerazione sulla stessa prova della esistenza in concreto dell’illecito, che nella specie operasse la invocata prescrizione decennale.

Considerato che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno morale da diffamazione, decorre non dal momento in cui l’agente compie il fatto illecito, ma dal momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto (cfr. Cass. 7 ottobre 2011, n. 20609) avrebbe dovuto avere, usando l’ordinaria diligenza sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1263), ritenuto che nella specie – diffamazione a mezzo stampa – deve presumersi che il C. abbia avuto conoscenza degli articoli nei giorni immediatamente successivi alla loro pubblicazione sui vari quotidiani (specie in assenza di qualsiasi eccezione e prova, da parte del C., di avere avuto notizia degli articoli stessi in epoca molto successiva alla data della pubblicazione), è palese che correttamente i giudici del merito hanno ritenuto prescritta la pretesa risarcitoria azionata (gli articoli di giornale invocati sono apparsi sui quotidiani del 12 e 13 marzo 1992 mentre l’azione giudiziaria è stata promossa unicamente nel febbraio 1999, a distanzi di circa 7 anni).

4: Con il secondo motivo il ricorrente denunziando art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo ai fini del giudizio in particolare la efficacia interruttiva delle missive non rinvenute in atti, mancata ricerca e ricostruzione del fascicolo violazione e norma applicazione di norme di diritto (art. 2947 cod. civ., art. 169 cod. proc. civ., art. 77 disp. att. cod. proc. civ.).

Si invoca al riguardo – richiamando l’insegnamento contenuto in Cass. 3 luglio 2008, n. 18237 – che se al momento della decisione della causa risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione. Ove, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare tale vizio in sede di legittimità ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa.

5. Il motivo è, per un verso, inammissibile, per altro, manifestamente infondato.

5. 1. Quanto al primo aspetto (inammissibilità) si osserva che in violazione del principio di autosufficienza il ricorrente ha omesso di trascrivere, in ricorso, il contenuto della diffida contenente l’atto interruttivo della prescrizione che ove valutato dal giudice del merito avrebbe, senza ombra di dubbio, condotto a una diversa soluzione della controversia (Cfr. Cass. 30 settembre 2011, n. 20028;

Cass. 16 ottobre 2007, n. 21621; Cass. 25 agosto 2006, n. 18506).

5.2. In ordine al secondo aspetto (manifesta infondatezza) deve evidenziarsi che nella specie il giudice di secondo grado non è stato posto in grado di esaminare i documenti prodotti dal C. nel corso del giudizio di primo grado non per smarrimento, o temporanea impossibilita, per il giudice stesso di disporre del fascicolo di primo grado – ma perchè tale fascicolo – evidentemente in forza di una scelta difensiva dello stesso difensore – non era stato depositato in atti, dalla difesa della parte appellata in occasione della rimessione della causa al collegio.

E’ palese, per l’effetto, la non riferibilità, alla presente fattispecie del principio di diritto invocato in ricorso, applicabile unicamente nella eventualità sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione.

Certo quanto sopra, non controverso che nel corso del giudizio di secondo grado mai la difesa del C. aveva denunziato l’assenza, dall’incarto processuale, del proprio fascicolo di primo grado – ancorchè regolarmente depositato in occasione della costituzione in giudizio – è palese:

– da un lato, che è irrilevante quanto invocato per la prima volta in questa sede di legittimità e cioè che il proprio difensore non aveva mai ritirato il fascicolo di parte che era regolarmente inserito nel fascicolo d’ufficio;

– dall’altro, che la sentenza impugnata non è censurabile per non avere disposto ricerche del fascicolo.

6. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha affermato – come riferito all’inizio – che dal testo degli articoli incriminati appare molto problematico attribuire all’articolista e alle editrici e direttori dei giornali, responsabilità per diffamazione per la sola citazione di C. M., senza alcun rilievo, in un elenco di persone arrestate, e con la generica indicazione derivante dalla pubblicità data dai carabinieri operanti, della sua compromissione con una banda di malfattori.

7. La censura è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 cod. proc. civ.).

Una volta, infatti, accertata la intervenuta prescrizione del diritto azionato dal C. è assolutamente irrilevante che i giudici di appello abbiano espresso perplessità sulla stessa astratta configurabilità della condotta tenuta dagli odierni contro ricorrenti, come integrante una diffamazione a mezzo stampa.

8. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE ricetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 7.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 29 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

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